2024-01-24
Gli intellettuali latitano? È solo colpa loro
Giuseppe Laterza (Imagoeconomica)
Sulla «Stampa», l’editore Giuseppe Laterza lamenta la scomparsa di voci culturali autorevoli nei dibattiti più rilevanti. Fa finta tuttavia di non sapere che, quando si fanno vivi, artisti e scrittori sposano solo battaglie corporative o faziose. Come sul Teatro di Roma.Ah, non ci sono più gli intellettuali di una volta, signora mia. Quelli che non solo erano colti e raffinati, ma anche perennemente engagé e capaci di sfoggiare un dolcevita senza sembrare un pescatore di aringhe. Oggi, pare che siano stati sostituiti da giornalisti-opinionisti e influencer, il cui discorso vacuo e rumoroso sarebbe intervallato giusto dall’incursione di qualche tecnico. E i pochi intellettuali ancora in circolazione oscillerebbero tra la tentazione di cedere al potente di turno, o di ritirarsi sdegnati sull’Aventino. Questo, in sintesi, l’allarme dell’editore Giuseppe Laterza, affidato ieri alla Stampa in una pagina intitolata «Maledetti intellettuali». A dire il vero, il problema oggi non è se i famosi intellettuali vanno in televisione a partecipare al circo delle opinioni in libera uscita, perché ci sono sempre andati, come ai convegni. Il problema è che spesso hanno la fissa di firmare petizioni e prendere posizione sulla qualunque, anche quando sanno poco o nulla della vicenda in oggetto, come sta accadendo sulla nomina di Luca De Fusco alla direzione generale del Teatro di Roma. Laterza inizia la propria lamentazione osservando che «a giudicare da certi talk show televisivi e dai social», il posto degli intellettuali è ormai occupato da giornalisti e influencer «in tempi e modi tali da tenere viva l’attenzione (sempre più volubile) del pubblico. In realtà, il deficit di attenzione del pubblico non è detto che sia figlio di un qualche disturbo collettivo, ma potrebbe anche essere figlio del fatto che, mediamente, quegli ignorantoni dei giornalisti e dei loro amici influencer sanno farsi capire e magari non parlano solo per se stessi o per la conventicola alla quale appartengono. Si tratta di un semplice dubbio, in omaggio al fatto che lo stesso Laterza ha dedicato mezzo articolo a Norberto Bobbio, elogiato proprio come maestro del dubbio. L’editore pugliese, poi, non mostra particolare simpatia neppure per i «competenti», chiamati in causa dai media perché «titolari di competenze specifiche», «per offrire soluzioni a problemi concreti, dalla diffusione dei virus al riscaldamento climatico». Laterza osserva che parlano non in qualità di intellettuali, ma di tecnici. L’intellettuale sarebbe qualcosa di più ampio e in fondo è vero che chi si presenta come semplice tecnico rinuncia a qualcosa. Ed è vero che anche il più fiero tecnico può essere portatore di idee politiche ed esserne un perfetto strumento. Lo si è visto con chiarezza ai tempi della pandemia cinese con il coro delle virostar ministeriali e da talk show. E però quanta solitudine si provava a dubitare del verbo dei Crisanti e dei Burioni. In ogni caso non è certo a un giornale come La Stampa degli Agnelli Elkann che può interessare un’analisi critica dell’impazzimento degli esperti. Oggi Laterza rimpiange la politica «che coinvolgeva milioni di persone sia attraverso l’attività dei partiti sia per impulso dei movimenti». E in questo flusso avevano un ruolo importante le case editrici, i giornali e le riviste, capaci di essere «il luogo di confronto tra chi lavorava nella scuola e nell’università e chi operava nell’economia, nella società e nella politica». Tutto vero, anche se Laterza dimentica di citare una piccola locuzione come «egemonia della sinistra». Oggi lo scenario è cambiato, si lamenta Laterza, che di certo non ha tutti i torti se si pensa ai partiti e ai sindacati di oggi o, più banalmente, al livello di non-discussione che impazza sui social. Tuttavia sarebbe il caso di capire se anche gli intellettuali rimpianti dal prestigioso editore non abbiano qualche colpa. Il rapporto con la televisione, per esempio, è altalenante da sempre. Il problema oggi non è se gli intellettuali vanno tanto o poco sul piccolo schermo. Il problema è quando pensano di uscire dalla caverna, una caverna baronale nella quale spesso si sono cacciati da soli parlando come la Sibilla Cumana, vanno a caccia di popolarità e cavalcano qualsiasi battaglia pur di farsi pubblicità. Il tutto, spesso, senza neppure conoscere esattamente il tema per il quale protestano.Non serve andare troppo indietro per vedere manifestazioni del genere. In questi giorni fa molto rumore la nomina di De Fusco alla direzione generale del Teatro di Roma, nonostante il prescelto abbia un curriculum inattaccabile. Contro di lui sono scesi in campo il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, e il presidente del Teatro Francesco Siciliano, che non ha partecipato alla votazione del cda e, oltre ad avere a sua volta un bel curriculum, casualmente è anche figlio di un grande intellettuale della sinistra come Enzo Siciliano. Contro De Fusco si sono scatenati il Pd e una serie di artisti, attori e registi, con un appello firmato tra gli altri da Sonia Bergamasco, Elio Germano, Saverio Costanzo, Matteo Garrone, Fabrizio Gifuni, Luca Zingaretti, Valeria Solarino e Jasmine Trinca. Tutto lecito, ma c’è un piccolo particolare: la nomina è avvenuta a seguito di una procedura giuridicamente inattaccabile. E più che il denunciato «colpo di mano della destra» c’era stato un goffo tentativo di melina di Siciliano, che sapeva di andare sotto in cda. È una vicenda minima, con tutto il rispetto per il Teatro di Roma, e le polemiche rientrano nella consueta lamentazione italica per cui lottizzazione è solo quella che fanno gli altri. Ma è una vicenda che dice molto sul livello degli «intellettuali» di oggi e che purtroppo non è colpa né dei giornalisti opinionisti né degli influencer, ma della scarsa voglia degli intellò di approfondire un tema prima di schierarsi per forza e fare gli splendidi.
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