
Da Éric Sadin a Jean Claude Michea fino a Jaron Lanier e Catherine Price, un manipolo di intellettuali prepara la controrivoluzione digitale per dire no al progresso senza limiti e riprendersi il diritto all'umanità.Era inevitabile: dopo la grande ubriacatura digitale, è arrivato il rigurgito. Lo straripante ottimismo tecnologico che abbiamo dovuto sorbirci in questi anni - un'ossessione al limite del fanatismo religioso - ha prodotto un'ondata potente di rifiuto. Scrittori, giornalisti, filosofi e intellettuali, in Europa e negli Stati Uniti, stanno dando vita a quello che appare come un movimento di ribellione, una vera e propria «controrivoluzione» che si oppone alla «silicolonizzazione del mondo». L'ha chiamata così Éric Sadin, corrosivo filosofo francese di cui è appena uscito in Italia l'affilato manifesto (intitolato appunto La silicolonizzazione del mondo. L'irresistibile espansione del liberismo digitale, Einaudi).«Lo spirito della Silicon Valley», spiega Sadin, «genera colonizzazione - silicolonizzazione. Una colonizzazione nuova, più complessa e meno unilaterale di quelle da cui è stata preceduta, giacché una delle sue caratteristiche principali è di non essere vissuta come violenza ma come forte volontà di sottomissione». Già, tutto il mondo si è inginocchiato di fronte allo strapotere dei guru digitali. Che lo volessimo oppure no, la rivoluzione tecnologica ha sommerso le nostre esistenze, cambiandole radicalmente. C'è stato detto che era giusto così, che «non c'è alternativa», che «il progresso deve andare avanti». Ma, in realtà, le alternative esistono eccome. E la marcia dell'innovazione, a un certo punto, deve essere arrestata, prima che faccia troppi danni. «Il limite che stiamo oltrepassando», dice Sadin, «è molto chiaro: si tratta della proliferazione in atto di sensori integrati ai nostri corpi, al nostro ambiente domestico, lavorativo, urbano, e ben presto, se non ci stiamo attenti, praticamente ovunque nel mondo. Non solo bisogna dire forte e chiaro: “Vai troppo in là", ma soprattutto: “C'è un limite oltre il quale non andrai"». Il pensatore francese riprende le frasi di Albert Camus e del suo uomo in rivolta, ma in questo caso la ribellione è invocata in nome di un antico principio conservatore. È la cultura del limite a ispirare i nuovi «controrivoluzionari». L'idea che ci siano soglie che non vanno varcate se non si vuole perdere la propria umanità. Quello di Sadin, in sostanza, è un «Gran rifiuto». Che nel libro è enunciato sotto forma di piano di battaglia. «Noi rifiutiamo la posa di contatori elettrici cosiddetti “intelligenti" nei nostri domicili»; «Noi rifiutiamo i televisori connessi a Internet che analizzano non soltanto le nostre abitudini ma persino i discorsi, in un intollerabile controllo della nostra privacy»; «Noi rifiutiamo gli “assistenti vocali", che fingendo di “facilitarci" la vita rappresentano solo un'ulteriore forma, in un certo senso complementare, dell'indirizzamento algoritmico dell'esistenza»; «Noi rifiutiamo l'impianto urbi et orbi di sensori negli spazi lavorativi, che ci riducono sempre di più a esseri capaci solo di reagire a comando e mirano alla “misurazione della performance"». L'elenco è lungo, e si fa mano a mano più deciso. «Noi rifiutiamo l'informatizzazione sistematica delle pratiche scolastiche e l'uso generalizzato dei tablet, attraverso cui l'insegnante viene relegato a un ruolo subalterno»; «Noi rifiutiamo di portare braccialetti in grado di misurare flussi fisiologici, oggetto di sfruttamento da parte di start up che suggeriscono prodotti e offerte “personalizzati" sulle nostre condizioni di salute». Come vedete, non si tratta di posizioni estremiste. Non siamo, qui, nel solco del primitivismo tracciato da autori come l'americano John Zerzan. Ci troviamo, piuttosto, al cospetto di autori che non hanno pregiudizi o un'ostilità a prescindere nei confronti del progresso tecnologico. Semplicemente, si sono resi conto che le innovazioni che dovrebbero migliorarci l'esistenza ce la stanno in realtà rovinando. Succede perché, scrive (citando Roldolphe Topffer) Jacques Bouveresse - filosofo del linguaggio al Collège de France - nel saggio Il mito moderno del progresso (Neri Pozza), «il progresso, la fede nel progresso, il fanatismo del progresso è il tratto che caratteriza la nostra epoca, rendendola così magnifica e così povera, così grande e così miserabile, così meravigliosa e così noiosa». Questa ideologia del progresso è la stessa che gli studiosi francesi Pierre André Taguieff e Thibault Isabel chiamano «bougisme», ovvero «il culto del movimento fine a sé stesso. In mancanza di una causa per cui battersi si celebra la novità». Isabel ha dedicato all'argomento un libro splendido intitolato Il campo del possibile (Controcorrente) ed è uno dei teorici di punta di questa ondata controrivoluzionaria. Restando sempre nei dintorni di Parigi, non possiamo dimenticare il mostro sacro Jean Claude Michéa, di cui Neri Pozza ha appena pubblicato Il nostro comune nemico. Michea è sulla stessa linea di Sadin quando bastona il matrimonio tra capitalismo sfrenato e cultura progressista avvenuto in quella «Silicon Valley che, da decenni, rappresenta la sintesi più perfetta della cupidigia degli uomini d'affari liberali e della controcultura californiana dell'estrema sinistra dei Sixties (Steve Jobs e Jerry Rubin sono due ottimi esempi)». Scrive Michea: «È in questa nuova Mecca del capitalismo globale - grazie, tra l'altro, al finanziamento di Google - che oggi si pone in essere il delirante progetto “transumanista" [... ] di mettere tutte le moderne risorse della scienza e della tecnologia - scienze cognitive, nanotecnologie, intelligenza artificiale, biotecnologie, ecc. - al prioritario servizio della produzione industriale di un essere umano “aumentato" (e se possibile immortale) e del nuovo ambiente robotizzato che ne stabilirà la vita quotidiana persino nei suoi aspetti più intimi». Il Gran rifiuto del digitale, però, non si basa soltanto su speculazioni filosofiche e slanci d'immaginazione. Ci sono pure argomentazioni forse più banali, ma sicuramente molto concrete. Per esempio quelle che elenca Jaron Lanier in Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social (Il Saggiatore, in uscita domani). Quali sono queste ragioni? Eccole: «Stai perdendo la libertà di scelta»; «Abbandonare i social media è il modo più mirato per resistere alla follia dei nostri tempi»; «I social media ti stanno facendo diventare uno stronzo»; «I social media stanno minando la verità»; «I social media tolgono significato a quello che dici»; «I social media stanno distruggendo la tua capacità di provare empatia»; «I social media ti rendono infelice»; «I social media non vogliono che tu abbia una dignità economica»; «I social media stanno rendendo la politica impossibile»; «I social media (ti) odiano (nel profondo del)l'anima». Sono più o meno le stesse argomentazioni utilizzate da Catherine Price in Come disintossicarti dal tuo cellulare (Mondadori) e da Jean M. Twenge in Iperconnessi (Einaudi). Abbiamo davanti autori di orientamento diverso, ci sono marxisti, conservatori, persino qualche liberal. Ma tutti sono concordi: il digitale, pur con apparente dolcezza, ci sta distruggendo. È venuto il momento di dire no, e di ribadire che esiste un limite. Se lo superiamo, smettiamo di essere uomini.
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)
Oggi a Vercelli il ministro raduna i produttori europei. Obiettivo: contrastare gli accordi commerciali dell’Ue, che col Mercosur spalancano il continente a prodotti di basso valore provenienti da Oriente e Sud America: «Difendiamo qualità e mercato».
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
Alla vigilia del vertice di Bruxelles che deciderà il destino dell’auto Ue, la casa italo-francese vende lo stabilimento di Cento dove si realizzano motori e annuncia nuovi stop della produzione a Melfi e Cassino. Intanto l’ad Filosa chiede incentivi e flirta con Trump.
2025-09-12
Dimmi La Verità | Marco Pellegrini (M5s): «Ultimi sviluppi delle guerre a Gaza e in Ucraina»
Ecco #DimmiLaVerità del 12 settembre 2025. Il capogruppo del M5s in commissione Difesa, Marco Pellegrini, ci parla degli ultimi sviluppi delle guerre in corso a Gaza e in Ucraina.
(IStock)
Nuovi emendamenti al ddl: «Il suicidio assistito mai a carico dello Stato». Ira dei dem: «Così è impossibile una mediazione».