2023-11-09
Inghilterra, Canada e Svezia in retro. La svolta verde finisce nel cassetto
Sì alle nuove perforazioni e all’aumento di CO2 emessa: cadono tutti i totem ideologici.Il primo discorso del re di Carlo d’Inghilterra deve essere stato particolarmente difficile da digerire per il sovrano. Martedì scorso il nuovo monarca, noto per le fervide posizioni ambientaliste, ha letto al Parlamento in Westminster il testo preparato dal governo, che illustra il programma di Rishi Sunak fino alle elezioni dell’autunno 2024.Tra le altre cose, nel programma spicca un progetto di legge per aumentare la concessione di nuove licenze di esplorazione e coltivazione di giacimenti di petrolio e gas nel Mare del Nord. Annualmente saranno concessi nuovi permessi per trivellare il fondo marino in cerca di idrocarburi, con buona pace della transizione energetica e dei suoi aedi. Già due mesi fa Sunak aveva tirato bruscamente il freno sulla transizione, rinviando al 2035 l’introduzione del divieto di vendita di automobili con motore diesel e benzina e mandando in soffitta l’obbligo per i proprietari di case di cambiare le caldaie a gas con sistemi elettrici o a idrogeno. Non solo. Sunak aveva anche fermato quattro leggi che entravano pesantemente nella vita delle persone: numero minimo di persone a bordo di un’auto, raccolta differenziata con sette tipi diversi di raccolta, riduzione del consumo di carne, carbon tax sui trasporti aerei.Con il discorso del re di martedì, il governo inglese attua quanto aveva già promesso proprio lo scorso settembre, ossia la concessione di nuove licenze di perforazione per avere maggiori quantità di petrolio e gas nazionali e aumentare, quindi, strategicamente, la propria sicurezza energetica. Come dimenticare, del resto, l’episodio verificatosi nel febbraio scorso, quando in Scozia alcune turbine eoliche furono alimentate in emergenza con generatori diesel dopo un guasto sulla rete.Mentre l’opposizione laburista (in netto vantaggio nei sondaggi) grida allo scandalo, Londra dà segno di accodarsi ad altri governi che in queste settimane stanno venendo a patti con la realtà.In Svezia, per esempio, il governo ha annunciato che taglierà la spesa legata alle politiche climatiche. Inoltre, il governo di Stoccolma ha annunciato che le emissioni nazionali di CO2, nel breve termine, sono destinate ad aumentare. Dati gli stretti vincoli di bilancio, il governo ha annunciato di voler dare priorità nella spesa pubblica alla difesa, considerato l’ingresso nella Nato, al sostegno alle famiglie appesantite dall’inflazione, alle spese per giustizia e per l’ordine pubblico. Il problema delle baby-gang in Svezia è, infatti, diventato un’emergenza nazionale, tanto che è stato chiamato pure l’esercito per fronteggiare la situazione.Anche il governo canadese di Justin Trudeau è costretto a prendere atto della difficoltà politica e tecnica nel raggiungimento di obiettivi di riduzione delle emissioni che appaiono sempre più velleitari. Qualche giorno fa, Trudeau ha deciso di sospendere per tre anni l’applicazione di una tassa sull’uso del gasolio per il riscaldamento, utilizzato soprattutto nelle regioni sull’Atlantico. La sospensione della tassa aiuta le famiglie a pagare meno per scaldarsi, ma ha subito provocato la levata di scudi degli ambientalisti che temono una frenata delle politiche di decarbonizzazione. Inoltre, due giorni fa il commissario canadese per l’ambiente ha emesso un rapporto nel quale afferma che, nonostante tutte le tasse e i divieti imposti ai cittadini, il Canada non raggiungerà gli obiettivi climatici nel 2030. Secondo il rapporto, Ottawa riuscirà a ridurre le emissioni del 36%, contro il 40-45% cui il governo si era impegnato ad arrivare.Peccato, però, che il Canada sia anche il quarto produttore mondiale di petrolio. La presa di coscienza dei costi esorbitanti ma necessari per arrivare agli obiettivi «ambiziosi» di decarbonizzazione si sta diffondendo tra i governi. In vista della Cop28, prevista per fine mese a Dubai, è possibile che questi e altri rallentamenti nella transizione possano spingere i Paesi in via di sviluppo a rallentare a loro volta. L’onere della transizione è, infatti, soprattutto su di loro, tanto che le discussioni sul fondo che dovrebbe finanziare la transizione sono accesissime. La Cop28 rischia di diventare un Vietnam per i verdi.
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