2019-11-20
Industria rovinata da giallorotti e pm contraddittori
Non ci fosse di mezzo il futuro di migliaia di famiglie che rischiano di essere messe sul lastrico, confesso che ci sarebbe da ridere. Il caso Ilva infatti ormai sembra una commedia all'italiana, dove ognuno recita a soggetto senza curarsi di ciò che interpretano gli altri, con risultati surreali e, soprattutto, con una totale confusione dei ruoli. Mi spiego: da anni assistiamo a un'azione della magistratura che, con il dichiarato scopo di difendere la salute dei cittadini, fa di tutto, compreso mettere a repentaglio il futuro della più grande fabbrica del Mezzogiorno, oltre che della più grande acciaieria (...)(...) d'Europa. Appena pochi mesi fa la Procura di Taranto ha disposto che l'altoforno 2 dell'Ilva venisse spento, in quanto ritenuto fuori norma e pericoloso per la sicurezza dei dipendenti. Tutto ciò mentre i governi precedenti, per scongiurare che l'azienda fallisse, hanno fatto ogni cosa, compresi alcuni decreti che evitassero lo stop dell'attività. Fra le iniziative varate pure una specie di immunità penale, per consentire che qualche imprenditore si avvicinasse all'acciaieria senza scottarsi, senza cioè rischiare di finire indagato e di conseguenza in galera per disastro ambientale e attentato alla salute dei cittadini. Nelle intenzioni governative lo scudo sarebbe servito a dare il tempo ai nuovi padroni per risanare ciò che secondo la Procura sarebbe necessario risanare. Fin qui, per quanto inusuale, il conflitto fra pm ed esecutivo poteva apparire normale: i primi si preoccupano di perseguire i reati, il secondo di assicurare, oltre al rispetto della legge, anche i livelli occupazionali. Ma poi la maionese che governa questo Paese dev'essere impazzita, perché, dopo aver discusso a lungo su quale fosse la soluzione migliore per risanare e salvare l'Ilva, cedendone infine la proprietà a un gruppo francoindiano, ha deciso di fare in modo che i nuovi proprietari se la dessero a gambe levate, lasciando nelle mani dello Stato, cioè di magistratura e politica, la patata bollente. Infatti, nel disperato tentativo di recuperare i voti perduti, un pezzo di Movimento 5 stelle si è impegnato a togliere ai manager dell'Ilva la promessa immunità penale, lasciando il destino dei dirigenti al buon cuore dei pm. Il salvacondotto per attraversare il periodo di ristrutturazione in pratica è venuto meno con un voto in Parlamento dei 5 stelle, del Pd, di Italia viva e del resto della maggioranza arcobaleno che tiene in vita il Conte bis. L'abolizione dell'immunità, come era stato ampiamente annunciato e previsto, ha avuto come conseguenza l'addio della cordata francoindiana, perché Arcelor Mittal un secondo dopo la decisione parlamentare ha annunciato di voler restituire le chiavi dell'azienda a chi gliele aveva date, cioè ai commissari governativi, spegnendo gli impianti. Forse i nuovi imprenditori hanno preso la palla al balzo, perché dopo essersi illusi di aver fatto un buon affare si sono resi conto che tra pastoie burocratiche e pasticci giudiziari in Italia era difficile andare avanti. O forse si sono semplicemente accorti che i conti non tornavano. Sta di fatto che i grilli perdenti e i loro compagni hanno offerto al gruppo straniero la via d'uscita, porgendola su un piatto d'argento.Risultato, da un paio di settimane a Palazzo Chigi Giuseppe Conte ha il ciuffo spettinato e non sa più che pochette prendere. Il nostro sarebbe anche pronto a restituire l'immunità perduta ad Arcelor Mittal, ma questa adesso non basta più, perché i francoindiani si sono accorti di avere il coltello dalla parte del manico e sono pronti a usarlo. Dunque, se anche il presidente del Consiglio riuscisse a convincere i pentarrabbiati a votare lo scudo penale, dovrebbe accompagnare la retromarcia con altri incentivi, tipo la riduzione di qualche migliaio di posti di lavoro o un aiuto in denaro, cioè svariati milioni. Siccome, a quanto pare, l'avvocato del popolo non riesce a perorare la causa, allora ecco che si fanno avanti di nuovo i magistrati, ma questa volta non sono quelli di Taranto che avevano ordinato lo spegnimento dell'altoforno 2, ma quelli di Milano, che diversamente dai colleghi dispongono che l'altoforno non sia spento. Gli imprenditori temevano che i primi li mettessero in galera se non avessero smesso di inquinare? Beh, i secondi minacciano di farlo nel caso il fumaiolo non continuasse a eruttare. L'ipotesi di reato ipotizzata a Milano è un po' fumosa, ma a Taranto non vogliono essere da meno, perciò anche nella città pugliese hanno aperto un fascicolo, indagando per «distruzione dei mezzi di produzione». Codice alla mano, si ipotizza la violazione dell'articolo 499. L'articolo punisce con la reclusione da 3 a 12 anni «chiunque, distruggendo materie prime o prodotti agricoli o industriali, ovvero mezzi di produzione, cagiona un grave nocumento alla produzione nazionale, o fa venir meno in misura notevole merci di comune o largo consumo».Domanda semplice: ma chi distrugge l'immagine di un Paese con la figuraccia in mondovisione dell'Ilva come lo puniamo?
(Guardia di Finanza)
In particolare, i Baschi verdi del Gruppo Pronto Impiego, hanno analizzato i flussi delle importazioni attraverso gli spedizionieri presenti in città, al fine di individuare i principali importatori di prodotti da fumo e la successiva distribuzione ai canali di vendita, che, dal 2020, è prerogativa esclusiva dei tabaccai per i quali è previsto il versamento all’erario di un’imposta di consumo.
Dall’esame delle importazioni della merce nel capoluogo siciliano, i finanzieri hanno scoperto come, oltre ai canali ufficiali che vedevano quali clienti le rivendite di tabacchi regolarmente autorizzate da licenza rilasciata dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ci fosse un vero e proprio mercato parallelo gestito da società riconducibili a soggetti extracomunitari.
Infatti, è emerso come un unico grande importatore di tali prodotti, con sede a Partinico, rifornisse numerosi negozi di oggettistica e articoli per la casa privi di licenza di vendita. I finanzieri, quindi, seguendo le consegne effettuate dall’importatore, hanno scoperto ben 11 esercizi commerciali che vendevano abitualmente sigarette elettroniche, cartine e filtri senza alcuna licenza e in totale evasione di imposta sui consumi.
Durante l’accesso presso la sede e i magazzini sia dell’importatore che di tutti i negozi individuati in pieno centro a Palermo, i militari hanno individuato la presenza di poche scatole esposte per la vendita, in alcuni casi anche occultate sotto i banconi, mentre il grosso dei prodotti veniva conservato, opportunamente nascosto, in magazzini secondari nelle vicinanze dei negozi.
Pertanto, oltre al sequestro della merce, i titolari dei 12 esercizi commerciali sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria e le attività sono state segnalate all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, per le sanzioni accessorie previste, tra le quali la chiusura dell’esercizio commerciale.
La vendita attraverso canali non controllati e non autorizzati da regolare licenza espone peraltro a possibili pericoli per la salute gli utilizzatori finali, quasi esclusivamente minorenni, che comprano i prodotti a prezzi più bassi ma senza avere alcuna garanzia sulla qualità degli stessi.
L’operazione segna un importante colpo a questa nuova forma di contrabbando che, al passo con i tempi, pare abbia sostituito le vecchie “bionde” con i nuovi prodotti da fumo.
Le ipotesi investigative delineate sono state formulate nel rispetto del principio della presunzione d’innocenza delle persone sottoposte a indagini e la responsabilità degli indagati dovrà essere definitivamente accertata nel corso del procedimento e solo ove intervenga sentenza irrevocabile di condanna.
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