2025-10-18
Incontro Trump-Putin in Ungheria. L’Ue fa i capricci, poi cala le brache
Vladimir Putin e Donald Trump (Getty images)
Prima protesta, dopo Bruxelles accoglie «con favore» il summit da Orbán: «Nessun divieto di viaggio». La Corte penale strepita: «Arrestare lo zar». I magiari invece se ne infischiano: «Lo aspettiamo con rispetto».L’Europa ci ha preso gusto a non contare nulla. In Medio Oriente non ha toccato palla; in Ucraina ha fomentato una guerra da cui non riesce a uscire. E nella quale, entro un paio di settimane, le toccherà subire lo smacco del vertice tra Donald Trump e Vladimir Putin, che sarà ospitato in uno dei pochissimi Paesi Ue non allineati all’ortodossia bellicista: l’Ungheria di Viktor Orbán. Alla faccia delle sanzioni, delle reprimende sullo Stato di diritto, nonché del mandato di cattura per lo zar, spiccato dalla Corte penale internazionale.Ieri, dopo aver borbottato un po’, da Bruxelles hanno dovuto calarsi le brache. Prima, un’anonima «fonte», ripresa dalle agenzie stampa, ha insistito sulle «logiche conseguenze» che si dovrebbero trarre dall’atterraggio dello zar a Budapest: l’arresto. «Nessuno si sorprenderebbe» se i magiari non lo facessero, ha commentato, stizzito, l’oscuro funzionario, lieto «di non essere il travel planner di Putin, perché ha bisogno di ottenere il permesso per sorvolare certi Paesi». Più tardi, però, una portavoce della Commissione ha corretto il tiro: «Non ci sono divieti di viaggio di per sé», ha precisato; le sanzioni riguardano «il congelamento dei beni», e i permessi di sorvolo sono «competenza nazionale». Quasi quasi, si potrebbero autorizzare persino gli sconfinamenti dei droni… Quanto al mandato d’arresto, esistono «deroghe che gli Stati membri possono concedere». E non è finita. Nel primo pomeriggio, un funzionario dell’Unione ha giurato che «per noi è sempre stata una questione di lavorare per la pace», tanto che «abbiamo sostenuto gli sforzi del presidente americano», insistendo sulla «distinzione tra aggressore e vittima» e sul coinvolgimento di Kiev e Bruxelles nei negoziati. Quindi, «se l’incontro di Budapest conduce in modo positivo verso questi obiettivi - e potrebbe farlo - allora è da accogliere con favore». È questa la posizione ufficiale di Ursula von der Leyen: la presidente «accoglie con favore qualsiasi passo che porti a una pace giusta e duratura», ha sottolineato l’ennesimo portavoce. «Se l’incontro proposto raggiungerà il suo scopo, lo accoglieremo con favore». Chiamate Maurizio Landini: sembra ci sia un’altra «cortigiana» di Trump. Al Parlamento europeo è andato in scena il prevedibile gioco delle parti: i popolari, benché compagni di partito della tedesca, tenera con l’interlocutore americano, si sono definiti «scettici sui possibili esiti» del summit; i Patrioti, alleati di Fidesz, la formazione politica di Orbán, hanno plaudito all’iniziativa. La verità è che, nello spazio di mezza giornata, la diplomazia e la geopolitica, che si muovono al di fuori dei saloni patinati dei burosauri, hanno spazzato via tre anni e mezzo di sanzioni, sovvenzioni, aiuti militari, provocazioni, proclami, guerre combattute fino all’ultimo ucraino. Insieme alla credibilità della Cpi, che è rimasta da sola a predicare: l’Ungheria dovrebbe arrestare Putin, poiché, pur essendosi ritirata dalla Statuto di Roma, che la istituì nel 1998, la sua uscita sarà effettiva soltanto dal 2 giugno 2026. Ma Orbán si era già infischiato del tribunale quando, lo scorso aprile, aveva accolto il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, anch’egli ricercato in quanto criminale di guerra. La Corte, per ripicca, aveva sanzionato il Paese. Non risulta che l’Ungheria sia finita in rovina. Ieri, il leader magiaro si è sentito al telefono con Putin. La Federazione aveva definito «non chiara» la logistica della trasferta. Gli ha dunque garantito le «condizioni appropriate» affinché, a Budapest, si svolga l’incontro con Trump. «Aspettiamo il presidente con rispetto, naturalmente», ha ribadito il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szjjarto, reduce da un colloquio con l’omologo russo, Sergej Lavrov. «Assicureremo», ha proseguito, che il capo del Cremlino «possa entrare, abbia colloqui con successo e poi torni a casa». «Non è necessario alcun coordinamento con nessuno», ha concluso Szjjarto, lasciando intendere quanto pesino davvero le proteste della Cpi e il beneplacito dell’Ue. La quale si prenderà ancora una settimana per varare le nuove sanzioni contro Mosca. Per la cronaca: è arrivata al pacchetto numero 19.Anche la Germania ha provato a fissare paletti: Johann Wadephul, ministro degli Esteri di Berlino, ha insistito sul ruolo di Kiev nelle trattative. Un suo portavoce ha ricordato - invano - agli ungheresi i loro doveri verso la Corte penale. Ma proprio mentre mezzo continente era diviso tra l’indignazione e il buon viso a cattivo gioco, un sondaggio svolto nella marziale Polonia ridimensionava l’eroismo dei falchi antirussi: in caso di invasione dell’Armata, il 54% dei cittadini o cercherebbe di fuggire, o non farebbe nulla (nemmeno difendersi), o non saprebbe come comportarsi. Con tanti saluti alla «Prontezza 2030» di Ursula. «Se l’Europa vuole una pace reale, i suoi piani di guerra devono essere abbandonati e tutto deve essere ricalibrato. È ora che intraprenda la strada del buon senso». Con le sue parole, Orbán ha girato il dito nella piaga di un’Unione che si è condannata all’ininfluenza: «Budapest è l’unico luogo adatto per un vertice di pace in Europa». Anche stavolta, la storia le passerà letteralmente sopra la testa.