2021-02-19
In Vaticano la profilassi è un dogma: se non ci credi rischi il posto di lavoro
Papa Francesco (Vatican Pool/Getty Images)
Un decreto pontificio avverte i dipendenti che non vogliono vaccinarsi. Una linea opposta a quella del Garante italiano della privacy. E alle recenti parole del Papa.In Italia le vaccinazioni contro il Covid-19 non sono obbligatorie, nello Stato del Papa sì. Inquieta, anzi preoccupa, il decreto in materia di emergenza sanitaria pubblica firmato dal presidente della Pontificia commissione della Città del Vaticano, cardinale Giuseppe Bertello, nel quale sono previste diverse conseguenze per chi non si vaccina. «Possono giungere fino all'interruzione del rapporto di lavoro», si legge nel testo. L'articolo 6, comma 2, prevede che se il lavoratore «senza comprovate ragioni di salute, rifiuti di sottoporsi» agli accertamenti sanitari preventivi, o a una profilassi che preveda la somministrazione di un vaccino «a tutela della salute dei cittadini, dei residenti, dei lavoratori e della comunità di lavoro», sia soggetto alle responsabilità e conseguenze previste dal rescritto «Ex Audientia Ss.mi». Il riferimento è alle «Norme a tutela della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali, da osservarsi negli accertamenti sanitari in vista dell'assunzione del personale e durante il rapporto di lavoro», e alle «Norme a tutela dei dipendenti affetti da particolari gravi patologie o in particolari condizioni psicofisiche», in vigore nello Stato del Papa dal primo gennaio 2012. Con quella legge non viene tollerato il rifiuto a sottoporsi ad accertamenti sanitari «preventivi, periodici e d'ufficio» per i lavoratori con «mansioni rischiose per la salute di terzi», come medici, odontoiatri o infermieri, ma anche con «mansioni rischiose per la sicurezza e l'incolumità di terzi», quali gendarmi, guardie svizzere, cuochi, camerieri. È comprensibile, perché in un protocollo che deve certificare l'idoneità a un determinato incarico, l'assenza di controindicazioni al lavoro diventa requisito fondamentale. È invece spiazzante l'estensione ad «accertamento sanitario d'ufficio» dell'avvenuta vaccinazione anti Covid. In Vaticano, dove è in pieno svolgimento la campagna di vaccinazione iniziata lo scorso 13 gennaio, non solo il dipendente perde il posto se rifiuta di farsi iniettare il vaccino, ma il cittadino nemmeno trova lavoro. Sempre l'articolo 6, infatti, enuncia: «Per i candidati all'assunzione, ciò equivale alla rinuncia alla costituzione del rapporto di lavoro». La cittadella del Pontefice sarà anche uno Stato sovrano, che applica le norme italiane solo se non violano «principi non rinunciabili da parte della Chiesa», ma non può ignorare le indicazioni del Garante per la privacy senza confermare, così, di essere un centro di potere assoluto e totalitario. L'Autorità proprio ieri ha infatti dichiarato che «il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale, o copia di documenti che comprovino l'avvenuta vaccinazione anti Covid-19. Ciò non è consentito dalle disposizioni dell'emergenza e dalla disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro». Aggiunge: «Il datore di lavoro può invece acquisire, in base al quadro normativo vigente, i soli giudizi di idoneità alla mansione specifica e le eventuali prescrizioni e/o limitazioni in essi riportati». Il Papa può agire diversamente? Certo, e lo si vede dal decreto che ha appena autorizzato. Però non era lo stesso Bergoglio a rassicurare i dipendenti del Vaticano alla vigilia dello scorso Natale? «Nessuno va licenziato, nessuno deve soffrire l'effetto brutto economico di questa pandemia», dichiarò Francesco nell'udienza in aula Paolo VI. Le sue parole furono accolte con sollievo: «I nostri collaboratori e voi, che lavorate nella Santa Sede, sono, siete la cosa più importante: nessuno va lasciato fuori, nessuno deve lasciare il lavoro». Li invitava a essere contagiosi nella gioia, pur nell'emergenza sanitaria e nella crisi economica che si è fatta sentire anche al di là delle Mura leonine: «Tanti di voi sono un esempio per gli altri, lavorano per la famiglia, con uno spirito di servizio alla Chiesa e sempre con la gioia che viene dalla consapevolezza che Dio è sempre tra di noi, è il Dio-con-noi». Sono passati solo due mesi, e il successore di San Pietro ha cambiato atteggiamento nei confronti dei suoi sudditi. Non c'è più fratellanza, basta solidarietà con chi rifiuta il vaccino «senza comprovate ragioni di salute», però forse per legittime, sacrosante perplessità sugli effetti di farmaci sperimentati in così poco tempo. Una decina di giorni fa, l'8 febbraio, è stato così promulgato il decreto con misure «che devono essere adottate secondo il principio di necessità», ovvero in ragione dell'emergenza sanitaria. Il Pontefice che nel libro Ritorniamo a sognare, riflette: «La crisi del Covid-19 sembra unica perché colpisce la maggior parte dell'umanità. Ma è speciale solo per la sua visibilità. Esistono mille altre crisi altrettanto terribili», pare invece mettere la pandemia al di sopra della dignità e dei diritti degli individui. Se non affronta con il vaccino la battaglia contro il coronavirus, chi vive all'ombra della Santa Sede non solo sbaglia, ma va punito togliendogli il lavoro. Eppure qualcuno plaude all'iniziativa. Il giuslavorista Pietro Ichino giudica «del tutto logica» la decisione del Vaticano. Per il professore, che già si era espresso sulla questione, un «dovere» di vaccinarsi, pur non previsto dalla legge, può sorgere come conseguenza di un contratto di lavoro, perché «la libertà dell'individuo non può spingersi oltre il limite del diritto alla salute degli altri». Nello Stato più piccolo del mondo quella libertà l'hanno fatta sparire.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)
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