2019-05-27
In Ungheria c’è solo Orbán. Fidesz arriva al 56%. «Mi ispiro al modello Italia»
Il premier magiaro guadagna un altro 4%: è il simbolo del sovranismo continentale. Ha messo al centro famiglia e lotta all'immigrazione. Pronto l'asse con la Lega. Vola il Brexit party di Nigel Farage. I gretini trascinano i Verdi tedeschi. L'euroscettico britannico quasi al 32%. In Germania Angela Merkel giù di 7 punti. A picco l'Spd, in risalita la destra di Afd In Spagna conferma per Pedro Sánchez. In Grecia Alexis Tsipras perde e si dimette. Lo speciale comprende due articoli. Alla chiusura delle urne, gli exit poll cancellano il luogo comune della costante disaffezione per il voto al Parlamento europeo dell'Ungheria. I cittadini che si sono recati alle urne - il 30,52% contro il 19,53% del 2014 - hanno fatto diventare il Paese magiaro una roccaforte sovranista assegnando a Fidesz, il partito nazionalista del premier Viktor Orbàn, ben il 56% dei voti, pari a 14 dei 21 seggi assegnati all'Ungheria nel Parlamento europeo. Le opposizioni restano molto distanziate. Per il secondo posto c'è un testa a testa fra tre partiti: Jobbik, Coalizione democratica (Dk) e Partito socialista (Mszp), che otterrebbero due seggi ciascuno. Jobbik, partito di destra ultranazionalista ma anti Orbán, appare in calo rispetto al 19% ottenuto alle politiche del 2018. Confermano la crisi delle forze progressiste i socialisti e Dk, partito social-liberale nato nel 2010 da una scissione proprio dei socialisti. I liberali di Momentum, lista giovanile nata dalle mobilitazioni contro la candidatura olimpica di Budapest, potrebbero superare la soglia di sbarramento del 5% e ottenere un seggio. Seggio quasi impossibile per gli ambientalisti verdi di Lmp. Fidesz è un partito conservatore, populista, euroscettico e cristiano. È membro del Partito popolare europeo, che tuttavia dal 2019 lo ha sospeso, dell'Unione democratica internazionale (conservatori) e dell'Internazionale democratica centrista. Dai numeri resi noti da Europe Elects, Fidesz però crescerebbe sia rispetto alle elezioni nazionali del 2018 (49,6%), sia rispetto alle europee del 2014 (51,4%). Insieme, il premier magiaro Orbàn e il leader della Lega Matteo Salvini, sono considerati i due capofila del fronte sovranista che vuole cambiare i rapporti di forza politici a Bruxelles per creare una nuova maggioranza con i Popolari, tagliando fuori i Socialisti con i vari partiti nazionali di centrosinistra in crisi in un po' tutta l'Unione: «Al centro le identità che i nostri governi rappresentano, ognuno con la sua storia», avevano detto Salvini e Orbàn durante l'incontro avvenuto a Milano lo scorso agosto. La sintonia perdura: «Il modello austriaco è finito. Ora siamo passati al modello italiano», ha dichiarato ieri Orbàn recandosi al seggio. Come nelle politiche 2018, anche nella campagna elettorale per Bruxelles il partito del primo ministro ha cavalcato le campagne a favore della natalità e quella anti immigrazione, oltre ad un battage pubblicitario contro Jean Claude Juncker, George Soros e la sospensione dal Ppe. Nel maggio 2018, Juncker partecipò a una celebrazione che commemorava i 200 anni dalla nascita di Marx, dove tenne un discorso in memoria del filosofo. Come risposta, i parlamentari europei provenienti da Fidesz scrissero: «L'ideologia marxista ha portato alla morte di decine di milioni di persone e rovinato le vite di miliardi di individui. La celebrazione del suo fondatore costituisce un insulto alla loro memoria». Per ritorsione contro le sanzioni dell'Ue - che accusa Budapest di non garantire lo Stato di diritto - Orbàn ha ritirato l'appoggio allo «spitzenkandidat» dei popolari di Manfred Weber, elemento di ulteriore avvicinamento al segretario del Carroccio. Malgrado la commissione Ue, Orbàn esce rafforzato da questo voto europeo confermandosi il leader della politica ungherese da oltre 20 anni. Nel 1998, infatti, a soli 35 anni, divenne per la prima volta il premier dell'Ungheria, nazione «con 10 milioni di abitanti, un Prodotto interno lordo di 114 miliardi di euro e solo 20.000 soldati». Nato a Székesfehérvár, la «città dei re» iniziò l'esperienza politica giovanile in una organizzazione comunista cambiando idea subito dopo il diploma, si laureò in Scienze politiche a Oxford grazie a una borsa di studio della fondazione del magnate George Soros con una tesi di laurea su Solidarnosc, il sindacato polacco anticomunista fondato da Lec Walesa. Sposato, grande sostenitore della natalità, ha cinque figli. Durante il suo primo mandato l'Ungheria entrò nella Nato e in campo economico aprì alle liberalizzazioni all'occidentale. Restò 8 anni all'opposizione e nel 2010 prese il 52,73% conquistando i due terzi del Parlamento. Con questi numeri realizzò una riforma costituzionale riducendo da 386 a 199 i seggi all'assemblea nazionale, cambiò il sistema dell'istruzione, dell'informazione e quello giudiziario con il Csm che finì sotto il controllo del governo. Nel terzo mandato, nel 2014, divenne molto critico e intransigente verso l'Ue soprattutto sul tema dei migranti. Confermato nelle elezioni del 2018, sempre contando sulla maggioranza in Parlamento, come primo atto ha emanato la cosiddetta «legge stop Soros», che prevede una tassa del 25% alle donazioni straniere in favore di organizzazioni non governative che supportano i migranti. Molto discussa è stata anche la riforma del lavoro: la possibilità di fare fino a 400 ore di straordinari l'anno, ha fatto scendere in piazza i sindacati. Dal fronte progressista, Viktor Orbàn viene considerato il peggiore dei sovranisti, un fascista che, alla stregua di Vladimir Putin, grazie alle modifiche costituzionali ha controllo assoluto sul Paese, mette la mordacchia ai giornalisti, tiene sotto controllo il potere giudiziario, costruisce muri di filo spinato, almeno prima della chiusura della rotta balcanica, per chiudere l'ingresso degli immigrati. Una posizione di blocco condivisa dai Paesi di Visegrad (Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca) che però si oppongono alla ripartizione e alla revisione del Trattato di Dublino. Ieri come oggi, l'idea di Orbàn è sempre la stessa: «Il pericolo mortale che minaccia gli ungheresi è l'arrivo di migliaia di migranti musulmani, con il ricollocamento obbligatorio voluto dall'Ue. Soltanto oggi, con i risultati definitivi, sapremo se Viktor Orbàn avrà più peso nel Ppe e sarà un alleato più influente per Matteo Salvini e Marine Le Pen. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/in-ungheria-ce-solo-orban-fidesz-arriva-al-56-mi-ispiro-al-modello-italia-2638206825.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="vola-il-brexit-party-di-nigel-farage-i-gretini-trascinano-i-verdi-tedeschi" data-post-id="2638206825" data-published-at="1757890622" data-use-pagination="False"> Vola il Brexit party di Nigel Farage. I gretini trascinano i Verdi tedeschi Paese europeo che vai, risultato più o meno sorprendente che trovi. Se nella maggior parte dei casi i risultati delle elezioni europee forniscono una fotografia relativamente puntuale delle singole situazioni locali, è pur vero che non mancano situazioni inattese e destinate nel prossimo futuro ad alimentare il dibattito sia a livello nazionale che europeo. Non bisogna dimenticare infatti che l'appuntamento di quest'anno assumeva una rilevanza storica per via del particolare momento economico e geopolitico nel quale ci troviamo immersi. Rimane sensazionale, per quanto largamente prevista, la vittoria a mani basse del Brexit party nel Regno Unito (73 seggi all'Europarlamento). Nelle ultime settimane, infatti, l'ascesa del partito di Nigel Farage ha assunto le sembianze di una vera e propria cavalcata trionfale. Con due terzi dei collegi scrutinati, il Brexit party viene dato al 31,8%, una cifra largamente superiore alla somma delle preferenze prese dai laburisti (13,9%) e dai conservatori (9,1%). Un risultato storico che suona anche come una risposta molto chiara ai tentennamenti nella trattativa con Bruxelles e, soprattutto, alle voci su un possibile secondo referendum teso a scongiurare l'uscita del Regno Unito dall'Ue. Secondo gradino del podio per i liberaldemocratici (21,1%). Bene anche i Verdi, al quarto posto con il 12,4%, una delle costanti di questa tornata elettorale europea. Male in Germania (96 seggi, delegazione più numerosa al Parlamento europeo) il partito di Angela Merkel (Cdu-Csu) che pur confermando il primo posto con il 28,4% delle preferenze fa registrare un tonfo notevole. Cinque anni fa, infatti, quando i due partiti si presentavano divisi, la somma delle preferenze era pari al 35,3%. La discesa fatta registrare è dunque di poco inferiore a 7 punti percentuali. Se parliamo in termini di seggi, l'apporto al Ppe fornito da Cdu-Csu è previsto in calo di 5 seggi. Malissimo i socialdemocratici del Spd, crollati al 15,5% rispetto al 27,3% del 2014, con un danno per la corrispondente pattuglia europea pari a 12 seggi. Straordinaria invece l'esplosione dei Verdi, che raggiungono il 20,7% contro il 10,7% del 2014. Scontata l'influenza sul risultato della campagna di sensibilizzazione contro il cambiamento climatico messa in piedi da Greta Thunberg e soci, e che ha portato decine di migliaia di ragazzi in piazza nei venerdì di protesta per l'ambiente. Ma anche un segno di malcontento nei confronti dell'industria automobilistica nazionale che negli ultimi anni, a dispetto dei proclami, ha dimostrato di tenere molto più al profitto che alla sostenibilità. La mente corre subito agli scandali (Dieselgate su tutti) che hanno investito le case produttrici nazionali e capaci di gettare scompiglio nella scena politica. Risultato discreto, infine, per la destra di Afd alleata con Matteo Salvini, che raccoglie il 10,9% in leggera risalita rispetto al 2014 (quando prese il 7%) ma lievemente in calo rispetto alle politiche del 2017 (in quell'occasione i consensi furono pari all'11,5% nel maggioritario e al 12,6% nel proporzionale). Per quanto riguarda la Spagna (54 seggi), vincono i socialisti di Sanchez (32,8%) con più di dieci punti di vantaggio sui popolari. Ottima performance in Polonia (51 seggi) di Diritto e giustizia (Pis), formazione che aderisce ai conservatori europei ma strizza l'occhio a Matteo Salvini. Il partito del presidente Andrzej Duda e del premier Mateusz Morawiecki supera agevolmente il 42%, facendo registrare un risultato superiore alle europee del 2014 (31,8%) ma anche delle politiche del 2015 (37,6%). Batosta in Grecia (21 seggi totali) per il partito di Alexis Tsipras. Syriza si ferma infatti al 23,8%, surclassata dal partito di opposizione Nuova democrazia (33,3%) il cui leader, Kyriakos Mitsotakis, ha immediatamente chiesto le dimissioni del governo in carica: «La Grecia ha bisogno di un nuovo governo. Il primo ministro si deve assumere la piena responsabilità, rassegnando subito le dimissioni e il Paese deve andare alle urne il prima possibile». Nella tarda serata, il premier Tsipras ha ammesso la sconfitta invocando lo svolgimento di elezioni anticipate già nel prossimo giugno. E sempre in tema di Paesi nei quali il governo è in bilico, in Austria (18 seggi) si fa sentire fino a un certo punto l'effetto dello scandalo del vicecancelliere Heinz-Christian Strache, dimessosi la scorsa settimana dopo essere stato «beccato» a discutere di affari loschi con una donna che si spacciava per la nipote di un facoltoso oligarca russo. Ebbene, la formazione di cui Strache era leader e che reggeva il governo del cancelliere Sebastian Kurz, il Partito della libertà austriaco (Fpo) è calata (17,5%) ma meno di quanto ci si potesse legittimamente attendere dopo il clamore fatto registrare in patria dalla vicenda. Vince il partito di Kurz (34,5%) che fa capo ai Popolari, seguito dai socialdemocratici. Una situazione a tre poli, oggi potenzialmente incompatibili tra loro, che lancia un segnale di forte instabilità le prossime politiche.
Jose Mourinho (Getty Images)