
Fayez al Sarraj blinda il Paese, l'epidemia tocca 12 Stati africani. Incertezza sugli sbarchi.A poco serve che, come annunciato dal giornale Libya Observer, da ieri il leader del consiglio presidenziale libico Fayez al Sarraj abbia chiuso (davvero, poi?) i porti e gli aeroporti: il mix esplosivo tra guerra civile e coronavirus può innescare una fuga verso l'Italia che manderebbe a fondo il nostro sistema dell'accoglienza, peraltro già sotto pressione in queste settimane di crisi. Dal 13 al 15 marzo sono arrivati a Lampedusa 154 migranti ma di alcuni non c'è traccia nel report statistico del Viminale fermo a venerdì scorso con 128 sbarchi. Quanti altri non sono stati conteggiati? A che cosa è dovuto questo blackout?La maggior parte degli arrivi della scorsa settimana, circa un centinaio, si trova in quarantena nel centro di accoglienza isolano. Il resto, invece, è stato trasferito su un traghetto di linea a Porto Empedocle dove hanno trovato rifugio in un albergo, al confine con Realmonte, requisito dalla Prefettura, come scrive il sito AgrigentoOggi.it.Una situazione insostenibile che ha spinto il sindaco di Lampedusa, Salvatore Martello, a scrivere al ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, e a ribadire che «stiamo vivendo un'emergenza che impone misure severe, e queste devono essere rispettate da tutti».Sparito dai radar anche l'Sos raccolto dalla Ong Alarm Phone, sabato scorso, proveniente da un gommone nella zona Sar di Malta con 110 naufraghi a bordo. «Ci hanno detto di essere fuggiti dalla Libia e di essere a mare da più di 30 ore. La barca si sta sgonfiando e hanno bisogno di immediato soccorso», hanno scritto sui social gli attivisti della Ong prima di far calare il silenzio radio sull'argomento. Interrotto solo dalla comunicazione di un presunto respingimento («è illegale», hanno denunciato) da parte della guardia costiera maltese ai danni di un barcone di migranti.Ma torniamo alla Libia e ai centri di detenzione che scoppiano. Un detonatore che il governo occidentale del Paese sta cercando di neutralizzare adottando il sistema-Italia: serrata generale, e tutti a casa. Contromisure che non hanno convinto un funzionario del Centro medico di Bengasi, nell'est della Libia, Ahmed Abdel Hamid, che ha lanciato l'allarme: «Se il coronavirus dovesse arrivare in Libia, sarà un disastro in ogni caso». Un disastro che avrebbe ripercussioni peraltro pure in Italia. Secondo il sito specializzato Ofcs.report, che cita fonti locali, il «rischio di rimanere infettati in Libia è motivo di ansia viste le strutture sanitarie carenti che non raggiungono gli standard italiani e europei». Per ora, i casi accertati di Covid-19 sono due, ma chiaramente è una sottostima che non impiegherà molto a essere smentita. Continua non a caso Ofcs.report: «Forse i migranti, oltre che dalla guerra, fuggono anche dal rischio di rimanere contagiati ed essere costretti a curarsi in loco». Che cosa ci aspetterà nei prossimi giorni? Il ministro Lamorgese tace ma, più in generale, è tutta la situazione africana a rappresentare un potenziale disastro sanitario di cui rischiamo di pagare il conto. Malgrado gli aiuti cinesi che piovono sul continente nero (ieri il patron della piattaforma di e-commerce Alibaba, Jack Ma, ha regalato milioni di mascherine ai cittadini africani) il rischio è che il contagio si espanda velocemente in particolare nell'area sub-sahariana. Finora sono 135 i casi di infezione confermati in 12 Paesi africani: Egitto (60), seguito da Algeria (20), Sudafrica (17), Tunisia (sette), Marocco (sei), Senegal (cinque), Camerun, Burkina Faso, Nigeria (due ciascuno), Togo, Repubblica democratica del Congo e Costa d'Avorio (uno ciascuno). Tre i decessi (in Egitto, Marocco e Algeria) e 45 guariti. Appare evidente, però, che siamo all'inizio della curva dell'epidemia, purtroppo.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
iStock
A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





