2019-01-11
In Sardegna il record di telecamere ma al Garante non l’ha detto nessuno
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Entro il 2020 il 98% dei Comuni sarà dotato di videosorveglianza. La Regione investe 27 milioni e velocizza l'iter per accedere ai fondi Ue. Ci sono però dubbi sulla privacy e non risulta un parere ufficiale sul progetto.Lo speciale contiene due articoli.Entro il 2020 il 98% dei Comuni sardi sarà dotato di un sistema di vigilanza per motivi di pubblica sicurezza. Un successo, secondo gli assessori regionali Filippo Spanu (Affari generali) e Cristiano Erriu (Enti locali), ma anche uno scenario che solleva importanti e inquietanti interrogativi. Nel comunicato ufficiale diffuso il 3 gennaio scorso, la Regione informa che, grazie all'iniziativa, gli amministratori locali godranno di «una efficiente rete di controllo e di monitoraggio del territorio, allo scopo di prevenire episodi che violano i principi su cui si basa la civile convivenza». La Sardegna si colloca così come «battistrada rispetto alle altre Regioni italiane in termini di copertura del territorio con le nuove reti». Lo sforzo economico è notevole. Con deliberazione 34/15 del 3 luglio 2018, la Regione ha stanziato 20.200.000 euro, derivanti dai fondi europei Por Fesr 2014-2020, allo scopo di finanziare «progetti riguardanti impianti di videosorveglianza, per il monitoraggio di spazi aperti in luoghi pubblici, con telecamere sia di contesto che di lettura targhe». Entrando nel dettaglio della dotazione totale, si scopre che la gran parte (15,7 milioni) è destinata ai contributi per i Comuni richiedenti, e finalizzati all'acquisto e installazione di sistemi di videosorveglianza. Si va dai 35.000 euro per gli enti sotto i 1.000 abitanti, fino ai 200.000 euro per comuni con più di 20.000 residenti. Il resto della somma è destinata, nell'ordine, per integrare il precedente bando (1.225.000 euro), per estendere la rete centralizzata regionale (3.200.000 euro), e per il pagamento di risorse professionali (70.000 euro). Con la precedente edizione, informano da Villa Devoto, erano stati finanziati 110 Comuni per uno stanziamento complessivo di 7.150.000 euro. Nella conferenza stampa tenutasi a Cagliari il 9 novembre scorso, presenti i due già citati assessori, il sindaco e presidente della città metropolitana di Cagliari, Massimo Zedda, e il prefetto Romilda Tafuri, Erriu ha messo in evidenza che la «Sardegna ha fatto da apripista con le nuove reti di videosorveglianza. Abbiamo investito ingenti risorse, in totale 27 milioni di euro, a fronte dei 30 milioni che il governo ha stanziato per tutto il territorio nazionale». Sulla carta, la motivazione di tanto impegno è più che nobile. Nel febbraio del 2017, in occasione della firma tra Regione, prefetture della Sardegna e Anci, dell'Atto aggiuntivo dedicato ai sistemi di videosorveglianza, il governatore Francesco Pigliaru ha affermato che «la videosorveglianza è uno strumento di controllo e dissuasione di grande rilievo» attraverso il quale «vogliamo contribuire a contrastare gli atti criminali contro sindaci e amministratori locali e garantire a città e paesi della Sardegna percorsi di sviluppo più sereni». Dando uno sguardo alle statistiche ufficiali fornite dal ministero dell'Interno, tuttavia, si comprende come quello avvertito sia piuttosto un problema di percezione. Se consideriamo i delitti denunciati dalle forze di polizia alle autorità giudiziaria, il numero complessivo di reati compiuti sul territorio regionale nell'ultimo quinquennio è costante diminuito, passando dai 58.971 del 2013 ai 46.371 del 2017, a un ritmo (-21,4%) superiore a quello nazionale (-16%). Rientrano in questo calo un po' tutte le categorie, dai furti (-22%), alle rapine (-29%), agli incendi (-20%), compreso il reato di danneggiamento (-34%) nel quale rientrano anche gli atti di vandalismo (anche se dal 2016 quest'ultima fattispecie è stata depenalizzata).A fronte di un'effettiva diminuzione del volume degli atti criminali, fa da contraltare una certa fretta da parte della Regione. Il cronoprogramma è piuttosto serrato: l'erogazione è prevista infatti entro 90 giorni dalla chiusura del bando (avvenuta il 7 dicembre 2018), mentre i Comuni beneficiari sono tenuti ad avviare la fase progettuale entro i successivi 30 giorni, impegnandosi a completare le opere previste entro il 31 luglio 2020. Più che l'incremento della criminalità, forse, preoccupa la scadenza dei fondi strutturali europei. Sarà anche per questo che, lo scorso novembre, Erriu ha invitato i sindaci dei Comuni che ancora non abbiamo provveduto a formalizzare la richiesta di finanziamento».A prescindere dai dettagli normativi del bando, la massiccia diffusione di impianti di videosorveglianza, specie in ambito pubblico, ha sollevato nel tempo delicate questioni relative alla sfera della privacy e delle libertà individuali. Tempo fa l'Aclu, una delle organizzazioni americane più importanti nel campo della difesa dei diritti civili, aveva espresso forti perplessità sull'efficacia di questa tecnologia, sui possibili abusi e, più in generale, circa gli effetti sulla vita quotidiana. «La crescente presenza di telecamere pubbliche porterà cambiamenti sottili ma profondi al carattere dei nostri spazi pubblici», osserva l'Aclu, poiché «quando i cittadini sono sorvegliati dalle autorità - o sono consapevoli di poter essere osservati in qualsiasi momento - sono più prudenti e si sentono meno liberi». Perplessità, anche se di altra natura, erano state sollevate nel 2012 dal ministero dell'Interno, che in una circolare notava come non sempre «la diffusione dei sistemi di videosorveglianza viene accompagnata da una articolata discussione intorno alle opportunità ed ai limiti di tali strumentazioni nell'ambito delle politiche di sicurezza locali. In taluni casi, infatti, l'utilizzazione, talora impropria e non sempre funzionale di tali sistemi, genera diseconomie che originano da un inappropriato investimento di risorse pubbliche da parte degli enti locali e da una non costante corrispondenza alle effettive esigenze di sicurezza del territorio, avuto riguardo anche alla scelta della soluzione tecnologica adottata». Anche per questo, con l'approvazione del decreto ministeriale del 31 gennaio 2018, recante la firma di Marco Minniti, e il relativo stanziamento di 22 milioni di euro a favore dei comuni italiani per l'installazione di questi sistemi, l'Anci e le Forze di polizia hanno concordato un «patto tipo» per l'attuazione della sicurezza urbana.Nel caso della Sardegna, a destare preoccupazione è una delle condizioni previste dal bando per l'accesso ai finanziamenti. Tutti i Comuni che beneficeranno del contributo, infatti, saranno tenuti a garantire l'interoperabilità degli impianti con la Rete telematica regionale (Rtr), l'infrastruttura di proprietà della Regione al servizio dell'amministrazione regionale, dei suoi enti e agenzie, e delle aziende sanitarie per le esigenze di connettività dati e voce. Come si legge nella pagina dedicata al bando, «il sistema centralizzato, il cui scopo è il telerilevamento e la supervisione delle reti di sicurezza locale e di monitoraggio ambientale, è in grado di monitorare, visionare, trasferire, in tempo reale, flussi video provenienti dalle reti locali di videosorveglianza dei beneficiari, nel rispetto delle norme sulla privacy e secondo i protocolli di sicurezza, standard tecnologici e disposti per legge e, ove necessario, mediante la stipula di opportune e/o necessarie convenzioni con gli enti prepositi alla sicurezza». Tradotto, la Rtr potrà avere accesso illimitato e costante alle immagini provenienti dalle telecamere piazzate dagli enti. Una scelta discutibile, dal momento che (un po' come succede in tutta Italia) a visionare le immagini dovrebbe essere la polizia locale. Richiamati sul perché di tale scelta, da viale Trento fanno spallucce. «Senza entrare nel merito di decisioni che attengono alla sfera decisionale di natura politica», fa presente alla Verità il direttore generale dell'assessorato Affari generali, Antonello Pellegrino, «ogni territorio modula gli interventi in funzione di necessità specifiche e prioritarie (localmente gli attentati a pubblici amministratori e imprenditori sono purtroppo una realtà oggettiva che desta molta preoccupazione e crescente allarme sociale, come potrà desumere da fatti di cronaca) e delle richieste e suggerimenti delle altre autorità, in primis in questo caso Prefetture e Forze di pubblica sicurezza, oltre alle amministrazioni comunali e alle loro rappresentanze istituzionali».La questione, tuttavia, è molto più delicata. «Da come descritto nelle documentazioni ufficiali, pare evidente che si tratti di un progetto dalle caratteristiche particolarmente rischiose per i diritti e le libertà delle persone, vista la centralizzazione dei dati di videosorveglianza in tutta la Regione. È pertanto essenziale che si rispetti ogni garanzia e salvaguardia privacy per i cittadini», spiega alla Verità il presidente dell'Istituto italiano per la privacy, Luca Bolognini. La normativa vigente (decreto legislstivo 51/2018), infatti, impone ai titolari del trattamento di dati lo svolgimento di valutazioni d'impatto e la consultazione preventiva del Garante per la protezione dei dati personali, ottenendone parere. «La domanda che ha senso porsi», incalza Bolognini «è se la Regione Sardegna e il ministero dell'Interno, insieme ai comuni coinvolti, abbiano consultato ufficialmente il garante per questo progetto e se sì, dove si trova il testo del parere in questione, dal momento che non sembrerebbe formalmente richiamato nelle premesse delle delibere relative al progetto». Un quesito al quale, interpellati dalla Verità, né Pellegrino, né il data protection officer della Regione hanno ancora fornito riscontro.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/in-sardegna-il-record-di-telecamere-ma-al-garante-non-lha-detto-nessuno-2625654887.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="in-calabria-record-di-finanziamenti-a-casignana-300-000-euro-per-761-abitanti" data-post-id="2625654887" data-published-at="1758065514" data-use-pagination="False"> In Calabria record di finanziamenti: a Casignana 300.000 euro per 761 abitanti Tutti pazzi per la videosorveglianza. Non c'è solo il caso della Sardegna, regione che ha investito in questo campo, complessivamente, la bellezza di 27 milioni di euro (sfruttando i fondi strutturali europei), puntando a coprire il 98% dei comuni entro il 2020. L'installazione di questi dispositivi, negli ultimi anni, è cresciuta in maniera esponenziale. Conoscere il numero reale degli apparecchi installati è impresa impossibile, ma recenti stime parlano di due milioni di occhi sparsi in giro per l'Italia. La finalità, ovvero contribuire alla sicurezza dei cittadini, è indiscutibile. Ma davvero questo tipo di tecnologia rappresenta la ricetta giusta per far fronte alla criminalità? Partiamo dai numeri. Nell'ultimo lustro, il numero totale dei delitti denunciati dalle Forze dell'ordine all'autorità è passato dai 2.892.155 del 2013 ai 2.429.795 del 2017 (quasi mezzo milione in meno), diminuendo del 16%. Un calo che ha interessato quasi tutte le categorie, dagli omicidi (-27%), ai furti (-19%), alle rapine (-30%). A fronte di una effettiva diminuzione dei reati, i dati diffusi dall'Istat lo scorso giugno tradiscono una percezione della sicurezza piuttosto negativa da parte degli italiani. Secondo le rilevazioni dell'ufficio di statistica, infatti, il 27,6% dei cittadini si sente poco o per niente insicuro quando esce la sera, mentre per il 38,2% la paura della criminalità influenza molto o abbastanza le proprie abitudini. Le cose peggiorano quando parliamo del sesso femminile: il 36,6% delle donne dichiara di non uscire di sera per la paura (contro l'8,5% degli uomini), mentre il 35,3% quando esce da sola di sera non si sente sicura (il 19,3% degli uomini).L'utilizzo delle videocamere, da questo punto di vista, funge chiaramente da deterrente. Da qui la comprensibile scelta, operata da molti locali, di tappezzare le strade di occhi tecnologici. Nel 2012, l'allora ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri emanò una circolare per sottolineare, a fronte di un utilizzo sempre più inflazionato, i limiti di questi sistemi in termini di tutela della privacy e di rapporto tra costi e benefici. Con la legge 48 del 18 aprile 2017, il ministro Marco Minniti diede il via libera allo stanziamento di 37 milioni di euro (sette nel 2017 e quindici ciascuno per il 2018 e 2019) «per sostenere gli oneri sopportati dai comuni per l'installazione dei sistemi di videosorveglianza». Conditio sine qua non per accedere ai fondi, la sottoscrizione del «Patto per l'attuazione della sicurezza urbana» predisposto dall'Ufficio per il coordinamento e la pianificazione delle Forze di polizia del Dipartimento della pubblica sicurezza d'intesa con l'Anci. Nel documento, tra l'altro, figura nero su bianco l'impegno a rispettare le disposizioni dell'Autorità Garante per il trattamento dei dati personali e la necessità di richiedere una valutazione al Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica.Delle 428 domande finanziate (su un totale di 2.426 richieste pervenute), sul podio troviamo San Donato Milanese (920.000 euro), Milano (672.000) e Venezia (655.000). A seguire anche comuni relativamente piccoli, ma con un'incidenza elevata della criminalità. Due paesi del casertano ad esempio, Falciano del Massimo (582.000 euro per 3.600 abitanti) e Frignano (9.000 abitanti per un contributo di 492.000 euro). Se guardiamo la classifica da un altro punto di vista, cioè il finanziamento erogato per abitante, le «medaglie» vanno alla Calabria. Al primo posto c'è Casignana (Reggio Calabria, 300.000 euro per 761 abitanti), seguita da Sorbo San Basile (217.000 euro per 802 abitanti) e Cosoleto (Reggio Calabria, 221.000 euro per 848 abitanti).