2019-09-08
In Lombardia lauree componibili su misura
Secondo la classifica Qs, le università milanesi sono al primo posto in Italia e al 36° su 1.000 nel mondo. Funzionano l'integrazione con il territorio e l'internazionalizzazione. A Bergamo, il percorso si costruisce scegliendo i singoli corsi. Come in Germania.Nella scelta di un'università non c'è solo il «cosa», ossia la facoltà alla quale iscriversi, ma c'è anche il «dove». Per i neodiplomati italiani la decisione è quasi obbligata: è sulla Lombardia, in particolare su Milano che bisogna scommettere. L'autorevole graduatoria Qs, che ogni anno valuta le performance delle prime 1.000 università del pianeta, colloca il capoluogo lombardo al 36° posto nella classifica delle migliori città per gli studenti, assegnandogli il primato italiano. Non a caso ogni anno a Milano gli immatricolati sono non meno di 150.000. Come gli abitanti di una città di medie dimensioni. Anche i dati sui fuorisede la dicono lunga: gli studenti provenienti dalle altre regioni e dall'estero sono in aumento in tutti gli atenei milanesi. Alla Bocconi, per esempio, i primi sono il 55,5% degli iscritti (14.272), che sommati agli stranieri (15,4%) mettono decisamente in minoranza gli studenti lombardi (29,1%). Per quanto concerne le altre città, se sorprende poco che a Pavia, una delle università più antiche del mondo (fu fondata nel 1361), uno studente su tre non sia lombardo, la circostanza risulta meno ovvia nel caso dell'università di Bergamo, che di anni ne ha solo 50 (ma anche l'84,5% di occupabilità a un anno dal conseguimento del titolo di studio...). Ma quali sono le ragioni di questo successo? Partiamo da Milano. Ebbene, più di ogni altra città ha saputo svecchiare il concetto di università da torre d'avorio esclusivamente dedita alla ricerca pura a realtà strettamente interconnessa con il tessuto urbano e sociale circostante, con beneficio di entrambe. E dei neolaureati, che quando si affacciano sul mondo del lavoro si ritrovano in una realtà con cui hanno già avuto modo di confrontarsi. «Si tratta di un grande lavoro di infrastrutturazione», racconta ad Arbiter Marco Tursini, a capo dell'azienda immobiliare Investbiz che tanta parte ha avuto nella realizzazione di Bovisatech, polo scientifico del Politecnico di Milano, «l'incubatore di startup Polihub, recentemente trasferitosi negli spazi di Bovisatech, ha attratto 700 giovani nell'orbita di un “ecosistema" in grado di gemmare nuove aziende. In termini di creazione di nuovi posti di lavoro, è l'equivalente di una piccola manovra economica. Il tutto con il tutoring del Politecnico, che da un anno a questa parte ha istituito un fondo d'investimento per aiutare il decollo delle start up». Inutile sottolineare quale formidabile motore economico tutto ciò rappresenti anche per il Comune di Milano e per il quartiere, con il sorgere di negozi, locali e servizi e il relativo aumento dell'indotto, degli affitti e del valore degli immobili. Complice il fatto che non di rado le nuove strutture sono capolavori di urbanistica, firmati da archistar del calibro di Alessandro Mendini (è il caso di Bovisatech) o dei giapponesi Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa, come avviene nel nuovo campus Bocconi. L'esperienza del Politecnico Bovisa tende a ricalcare il modello delle «cittadelle scientifiche» diffuse all'estero: «Si è guardato sia al Mit statunitense sia soprattutto all'High tech campus di Eindhoven, nei Paesi Bassi, dove si raggiunge il massimo livello di interscambio tra l'università e le aziende», precisa Tursini. Dall'Olanda viene pure il concept degli Its, scuole di alta tecnologia strettamente legate al sistema produttivo, che anche in Italia stanno prendendo piede; in Lombardia ne sono già attivi 20. Anche dal punto di vista dell'aggiornamento dei piani di studio alle esigenze del giorno d'oggi, gli atenei lombardi dimostrano di avere le idee molto chiare: «Bisogna partire dalla constatazione che il 65% degli studenti oggi iscritti a una scuola superiore eserciterà al termine del suo percorso un lavoro che ancora non esiste», spiega ad Arbiter Remo Morzenti Pellegrini, rettore dell'università di Bergamo nonché presidente del comitato dei rettori della Lombardia, «per converso, dei dieci lavori che fino a poco tempo fa venivano descritti come le professioni del futuro, sette già non esistono più: è un dato di fatto che gli algoritmi, per esempio, hanno già preso il posto di buona parte degli operatori di Borsa e dei gestori di patrimoni finanziari ed è per questo che i lavori futuri, e quindi la programmazione dell'offerta formativa delle università, richiedono di integrare creatività e un sofisticato intreccio di competenze tecniche e relazionali. A fronte dell'obsolescenza professionale, il compito primario degli atenei oggi non deve essere quello di insegnare un mestiere, bensì di dotare gli studenti di un metodo (che non invecchia mai), munendoli nel contempo di competenze nuove, diverse e, soprattutto, interdisciplinari». Proprio quell'interdisciplinarità e attitudine al pensare interconnesso che i giovani di oggi, vittime dell'atomizzazione del sapere, fanno tanta fatica a sviluppare. Pertanto, non pago di un sistema lombardo della formazione universitaria che primeggia in Italia per offerta di discipline (con le 44 facoltà milanesi a fare da traino), Morzenti Pellegrini è riuscito a far approvare al Miur (il ministero per l'Università e la ricerca) nuovi percorsi in aggiunta a quelli già esistenti. Numerose le attività in attivazione a partire da ottobre: per esempio, il corso di laurea interdipartimentale in geourbanistica dell'ateneo bergamasco, primo nel suo genere in Italia: formerà professionisti capaci di applicare gli studi di geografia e le competenze sulla pianificazione urbanistica ai fenomeni che caratterizzano la nostra epoca, dal cambiamento climatico all'importanza della rivoluzione digitale nelle pratiche di governance. È un approccio, questo, affine a quanto avviene nelle università dei Paesi di lingua tedesca, dove è consentita una gamma assai ampia di combinazioni tra le discipline (laureandosi comunque nella materia principale).Al via anche tre nuovi curricula magistrali: il dipartimento di lettere, filosofia e comunicazione amplia la sua offerta con l'indirizzo «Informazione e giornalismo», il dipartimento di scienze umane e sociali si arricchisce di «Psicologia della salute nei contesti sociali» mentre quello di ingegneria avvia il percorso in inglese «Ste - Smart technology engineering».Un ulteriore aspetto da sottolineare è che «questi nuovi percorsi vengono sviluppati anche per rispondere alle esigenze che si manifestano sul territorio, per comprendere le quali non ci sottraiamo al dibattito con le parti sociali». La via lombarda all'eccellenza della formazione passa anche per la tradizionale apertura al mondo di questa regione, che si traduce per esempio nell'attivazione in questi anni da parte dell'ateneo orobico dell'International medical school (Ims), corso di laurea in medicina e chirurgia erogato in lingua inglese e realizzato in collaborazione con l'università di Milano Bicocca in veste di sede amministrativa, l'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e l'università del Surrey. È superfluo ricordare in proposito quanto il potenziamento degli aeroporti e la crescita delle compagnie low cost abbiano letteralmente messo le ali alla mobilità sia dei docenti sia dei discenti, il che spiega in buona parte i dati relativi ai fuorisede. Un'occasione più unica che rara, favorita da programmi Erasmus triennali, magistrali nonché tirocini d'eccellenza e iniziative varie, per accumulare esperienze che valgono oro ai fini della futura collocazione professionale. È un po' un ritorno all'antica prassi dei clerici vagantes, gli studenti che nel Medioevo percorrevano in lungo e in largo l'Europa per frequentare le lezioni di loro interesse. Con un biglietto aereo in tasca, oggi, e l'Alma mater langobardorum nel cuore. Ma, soprattutto, nella testa.