2020-06-12
In attesa della trappola del Mes siamo noi a regalare soldi a loro
Ursula von der Leyen (Thierry Monasse:Getty Images)
Italia, Francia e Germania sconteranno al Fondo salvastati i tassi sui depositi lasciati presso le banche centrali: un favore che vale molti milioni. Eurogruppo: per il dopo Mario Centeno in pole la spagnola Nadia Calvino.Entro pochi giorni i due gruppi dovranno smorzare i timori di Bruxelles sulla loro unione da 50 miliardi di dollari È solo l'ultimo bastone fra le ruote dell'Ue alle strategie aziendali italiane.Lo speciale contiene due articoliIeri i ministri delle Finanze dell'Eurozona sono saltati da una videoconferenza all'altra, senza nemmeno cambiare stanza. Prima hanno indossato la giacca di membri del consiglio dei governatori del Mes e poi quella di membri dell'Eurogruppo.La prima riunione era finalizzata all'approvazione del bilancio 2019 del Mes e le sorprese, nonostante lo sforzo propagandistico, non sono mancate. A partire dai sontuosi 177.000 euro annui di costo medio dei suoi 186 addetti. I cui sforzi per esaltare le virtù dell'istituzione in cui lavorano non convincono affatto. Come i 14 miliardi di risparmio realizzati dalla Grecia grazie ai tassi favorevoli dei prestiti del Mes, rispetto a un ipotetico ricorso al mercato. Peccato che tale mercato di fatto non esista e, quando c'è la Bce, i tassi li orienti lei e non ce n'è per nessuno. Il bilancio rivela un sostanziale immobilismo del Mes nel 2019:1Non ha erogato nuovi prestiti, né ha ricevuto rimborsi. Ha solo emesso obbligazioni per rimborsare quelle in scadenza. Tutto questo al modico costo di 72 milioni l'anno di costi operativi (personale incluso).2 Detiene circa 99 miliardi tra liquidità e strumenti finanziari, per buona parte derivanti dagli 80 miliardi di capitale versati dagli Stati membri, e cerca di impiegarli al meglio sui mercati. Tra i diversi impieghi possibili c'è anche quello del deposito presso le banche centrali di Germania e Francia che però applicano un tasso negativo pari al -0,50%. Ma, per tenerlo indenne da questo costo, una decisione dei rispettivi Parlamenti nazionali ha disposto il rimborso al Mes di 238 milioni. Tutto questo avrebbe avuto forse un senso se il bilancio fosse stato in perdita. Ma invece i 238 milioni si sommano a ulteriori 52 per costituire l'utile totale di 290 milioni. Incredibilmente, l'Italia ha pensato bene di aderire a questo sistema di sovvenzione del Mes che, si ribadisce, serve solo per imbellettare il suo bilancio. Infatti, i commi 537-539 della Legge di bilancio 2020 dispongono che la Banca d'Italia, quando comunicherà al Tesoro gli utili del 2020, evidenzierà la quota (circa 77 milioni) riferibile ai depositi del Mes. Il Tesoro quindi rinuncerà a quella quota e provvederà a girare la somma al Mes.3 Ai limiti del grottesco il documento pubblicato a proposito della valutazione delle conseguenze dell'intervento in Grecia. L'ex commissario Ue Joaquin Almunia, nella veste di valutatore indipendente, ha accertato che l'intervento (tenere la Grecia nell'euro) è riuscito ma il paziente è morto (8 anni di riduzioni di bilancio hanno prodotto conseguenze sociali devastanti). Per dimostrare comunque la sua utilità, il Mes ritorna a parlare della sua riforma. E lo fa puntando sul suo ruolo di «paracadute» del fondo comune di risoluzione delle crisi bancarie. Nel caso quest'ultimo avesse esaurito i fondi necessari per il salvataggio di una banca, il Mes farebbe un prestito a 3 anni fino a 68 miliardi per sostenerlo. Peccato che se saltasse una banca significativa quei soldi sarebbero noccioline e comunque dovrebbe intervenire lo Stato. Negli altri casi, ci sono già le procedure nazionali. Come si vede, è proprio complicato trovare un ruolo per il Mes. Ma anche l'Eurogruppo non se la passa molto bene. Da qualche settimana appare relegato in un ruolo periferico tra Bce, il vero attore decisivo per attutire l'impatto della crisi da Covid-19, e Commissione Ue, che ha ora il pallino in mano con la proposta del 27 maggio sul Recovery fund. Tanto che ne hanno discusso solo ieri, dopo alcune settimane dalla proposta franco-tedesca. Ieri è pure partita la selezione del prossimo presidente che vede favorita la spagnola Nadia Calvino. Ma questi tre mesi di defatigante confronto per trovare strumenti idonei a fronteggiare la crisi, hanno lasciato sul campo solo sfiducia reciproca. E allora l'Eurogruppo, per confermare la sua vocazione di istituzione divisiva, vuole rientrare in gioco proprio sul tema esplosivo delle riforme a cui sarà condizionata l'erogazione del Recovery fund. I ministri hanno discusso della relazione tra il piano di aiuti e le raccomandazioni del semestre europeo. Questa è la vera posta in gioco. Il blocco nordico sta maturando la convinzione che la promessa dei fondi, i cui tempi di erogazione sono molto in là nel tempo, è una formidabile occasione per disciplinarci e costringerci a sottostare alla caterva di raccomandazioni all'insegna dell'austerità espansiva che cercano di somministrarci da anni e che invece concorrono solo alla nostra crescita asfittica. Ad aprile di ogni anno, il nostro governo è costretto a dargli retta nelle centinaia di pagine del Piano nazionale delle riforme, ma i risultati non arrivano, e allora quale idea migliore di quella di costringerci ad applicarle nella forma di un programma di aggiustamento macroeconomico stringente che condizioni il Recovery fund? L'Eurogruppo ieri ha cominciato a lavorarci.Potrebbe essere un modo per tenere buoni anche i 4 Paesi del patto di Visegrad che ieri hanno ribadito che i «fondi devono essere distribuiti equamente», con Repubblica Ceca e Ungheria tra i più critici.Il richiamo alla realtà ieri è arrivato dai risultati delle aste dei Btp: 9,5 miliardi raccolti sulle scadenze di 3, 7 e 15 anni con rendimenti rispettivamente pari a 0,46%, 1,10% e 1,91% in netta discesa di circa 40 punti base rispetto alle precedenti aste. La Bce ha ribadito che non tollererà frammentazioni del mercato finanziari. Et de hoc satis.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/in-attesa-della-trappola-del-mes-siamo-noi-a-regalare-soldi-a-loro-2646169883.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-lantitrust-europeo-vuole-rovinare-le-nozze-miliardarie-tra-fca-e-psa" data-post-id="2646169883" data-published-at="1591913904" data-use-pagination="False"> E l’Antitrust europeo vuole rovinare le nozze miliardarie tra Fca e Psa L'Antitrust europeo rende più ripido il cammino verso l'altare delle nozze da 50 miliardi di dollari tra Fca e Psa. Entro pochi giorni i due gruppi automobilistici dovranno smorzare i timori a Bruxelles sulla loro unione nel «redditizio» segmento dei piccoli van, altrimenti Bruxelles avvierà un'indagine. La scadenza per la Commissione per prendere una decisione è il 17 di giugno. Unendo le divisioni van, Fca e Psa controllerebbero un terzo del mercato europeo, più del 16% di Renault e Ford. «Le due società sarebbero state riluttanti a vendere le divisioni, che sono molto redditizie», ha scritto il Financial Times riportando per primo le indiscrezioni sulla mossa dell'authority Ue. Protagonista di un film che rischia di diventare assai simile a quello visto negli ultimi tre anni sull'operazione Fincantieri-Stx lungo l'asse Roma-Parigi. Con sullo sfondo il fortino alzato da Emmanuel Macron a tutela e difesa degli asset nazionali che sembra destinato a portare i rapporti con il nostro Paese in tutt'altra direzione. Il 26 maggio l'Eliseo ha lanciato un piano di otto miliardi di euro per mettere benzina al mercato rimasto a secco con il lockdown. Ha deciso di finanziare direttamente i progetti di sviluppo della mobilità elettrica d'Oltralpe, vincolandoli però a una forte connotazione nazionalistica. Renault ha quindi aderito e riceverà dei fondi, rendendo più complessa la partita per Psa, che nella nuova costruzione societaria avrà la sede legale in Olanda come Fca. Che, parallelamente sta portando avanti una sua piattaforma già al lavoro a Mirafiori, da dove dal 4 luglio usciranno le prime 500 Bev. «I termini della fusione sono scritti nella pietra», ha sottolineato nelle scorse settimane il presidente del Lingotto, John Elkann, mandando così un messaggio anche all'Eliseo. Per altro a poche settimane da quando è saltata la cessione della controllata della cassaforte di famiglia Exor, PartneRe, alla francese Covea perché questa all'ultimo momento ha chiesto uno sconto di 2,5 miliardi sui 9 miliardi del prezzo pattuito. Ora potrebbero esserci degli effetti anche sull'operazione a sostegno della filiera dell'automotive varata con il prestito da 6,3 miliardi concesso a Fca da Intesa Sanpaolo che prevede la garanzia pubblica sull'80 per cento. Nel frattempo, il rischio che le nozze fra le case automobilistiche debba passare le forche caudine di un'analisi lunga e su vasta scala da parte delle autorità comunitarie ha affondato i titoli in Borsa. Fca ha chiuso la seduta di ieri lasciando sul terreno di Piazza Affari il 7,7% a 8,07 euro, Cnh Industrial ha addirittura accusato un tonfo di quasi il 12% dopo essere stata anche sospesa per eccesso di ribasso, mentre a Parigi Psa Peugeot ha ceduto il 10 per cento. «Il closing si sposterebbe dal primo al secondo trimestre del 2021», evidenziano gli analisti di Equita, secondo cui «sapendo che sia Carlo Tavares che Mike Manley hanno sempre dichiarato che avrebbero fatto qualunque cosa pur di arrivare a risolvere i problemi sollevati dall`Antitrust». Per gli analisti di Banca Akros possibili soluzioni potrebbero passare per la cessione del 38% in Tofas, una partecipata turca di Fca che produce veicoli leggeri, o per quella di Sevel, la joint venture tra i due gruppi. Ma, aggiunge lo studio, si potrebbe anche pensare che «sia un modo per prendere più tempo per finalizzare il deal» e limare alcuni punti, compreso l'extra dividendo di 5,5 miliardi di Fca atteso nel 2021. La tabella di marcia iniziale prevedeva di mettere il sigillo alle nozze entro il primo trimestre del prossimo anno. Ma con l'eventuale istruttoria Ue i tempi potrebbero allungarsi di quattro mesi. Se non di più. Perché gli orologi di Bruxelles a volte si fermano. Come è successo per la fusione varata ormai tre anni fa tra Fincantieri e Stx (Chantiers de l'Atlantique) perché le due società non sono riuscite a fornire le informazioni richieste nei tempi previsti a causa della crisi del coronavirus. Nei giorni scorsi la responsabile dell'Antitrust Ue, Margrethe Vestager, ha detto che misurare l'impatto sul mercato dell'offerta della società italiana di cantieristica navale si sta rivelando difficile e probabilmente richiederà del tempo. Intanto, il rischio di blocco delle grandi fusioni italo-francesi- nei cantieri e nelle auto - si intreccia con una possibile redistribuzione dei fondi destinati alla Difesa attraverso il Recovery fund e può quindi avere dei riflessi anche su questo settore strategico, nonché sugli equilibri geopolitici. I piani della difesa devono essere inquadrati all'interno di un panorama più ampio che tocca necessariamente la Nato. «Vanno rispettati tempi e livello di bilancio previsti dalla Commissione europea per l'European defence fund», ha spiegato l'ad di Leonardo, Alessandro Profumo, al Parlamento nei giorni scorsi. Il riferimento è diretto alla Francia che ha presentato un suo piano di rilancio del settore aerospaziale, senza dimenticare che Macron ha più volte colpito la Nato per attaccare le scelte Usa.