
L’ad di Golden Goose spiega che, con le norme già vigenti, si può abbattere l’impatto delle barriere. E De’Longhi capisce l’antifona geopolitica: «Andremo via dalla Cina».Aspettando Godot, al secolo Ursula von der Leyen e Maros Sefcovic, rispettivamente presidente della Commissione europea e commissario Ue al Commercio, gli imprenditori italiani si fanno gli affari loro, consapevoli che gli eurocrati e la nostrana sinistra - da Elly Schlein alla coppia di fatto Bonelli-Fratoianni - non capiscono un dazio. Anche i mercati - vedremo come reagiranno da stamani le Borse - ormai scontano come tattiche le sparate di Donald Trump sulle tariffe. Il presidente americano lamenta che mentre il britannico Keir Starmer, gli indiani e i giapponesi e perfino Xi Jinping hanno cercato accordi, Bruxelles sulle trattative per adeguare i rapporti - l’Europa ha un surplus commerciale di circa 198 miliardi di euro rispetto a Washington, in gran parte a vantaggio della Germania - è al solito rapida come un bradipo. Da qui il rilancio di dazi al 50% sulle merci europee. Ma è davvero una tragedia o è un evento su cui ragionare?La risposta l’ha data ad esempio al Corriere della Sera - che si è però ben guardato dall’evidenziarla - Silvio Campara, amministratore delegato di Golden Goose gruppo leader nella moda che fa 655 milioni di fatturato, che ha incrementato il volume di affari nel 2024 del 13% e ha in quello americano uno dei bacini migliori e più dinamici. A domanda: «Non teme i dazi Usa?», replica: «Per niente. Negli Stati Uniti dal 1998 esiste il First sale rule: se produci appositamente per l’America il dazio si applica sul costo non sul prezzo. Un 20% di tariffa diventa perciò un impatto del 4%. Il problema non sono i dazi, ma l’ignoranza su come si calcolano». È quello che dice gran parte degli imprenditori che operano sul mercato americano. C’è sempre chi, per dirla alla partenopea - visto che il Napoli ha vinto lo scudetto - «chiagne e fotte», ma la maggioranza è concorde nel riconoscere che la domanda del Made in Italy è anelastica. Nicola Bertinelli - presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano - ha illustrato i risultati dell’anno appena trascorso: hanno fatto 3,2 miliardi di fatturato, il 50% all’estero e gli Usa, dove sono cresciuti del 15%, sono il loro primo mercato. «Se Trump vuole mettere i dazi per sviluppare i prodotti americani», ha notato, «sa da solo che non gli serve a nulla: perché il Parmigiano Reggiano lo facciano solo noi e dalle nostre parti. Dobbiamo invece cercare di far riconoscere e tutelare dall’Ue quelle produzioni che sono in Vermont, in Massachusetts, in Wisconsin, fatte con latte crudo». È un po’ diverso dal mostrare i muscoli come fa l’Ue, che però abbaia e non può mordere. Perché dovrebbe spiegare agli irlandesi che mette i dazi sulle Big tech americane che sono quelle che Dublino, ma anche Amsterdam e Lussemburgo, coccolano, con sconti sulle tasse da paradiso fiscale.Ascoltando gli imprenditori, Fabio De’Longhi - uno dei leader dei piccoli elettrodomestici - spiega su Repubblica: «Veniamo via dalla Cina e torniamo a fabbricare in Europa e nel Sud Est asiatico i prodotti destinati al mercato americano e così non sottostiamo alle tariffe che Trump impone sulle produzioni cinesi». A veder bene è un vantaggio: sia a Mignagola, nel Trevigiano, sia in Romania, gli impianti girano a pieno regime per incrementare il fatturato De’Longhi di quasi 756 milioni.La baronessa Von der Leyen fa fatica a ragionare di dazi perché ci deve rimettere di tasca. Donald Trump contesta l’applicazione dell’Iva sulle merci americane vendute in Ue, mentre negli Usa esiste la Sales Rule. L’Iva si applica su prezzo di vendita e la Sales Rule invece sui costi di acquisto. In alcuni casi balla fino al 15% di differenza e gli americani tutti i torti non li hanno. La baronessa non può smontare l’Iva all’import perché è una sua fonte primaria di finanziamento, che vale all’incirca 60 miliardi all’anno. Per una che è al verde e s’inventa ogni giorno una tassa europea, rinunciare a questi soldi per fare un piacere non a Trump, bensì alle imprese esportatrici, è un bel problema. Ma la nostra sinistra che non capisce un dazio non lo sa.
Nel riquadro, la stilista Giuliana Cella
La designer Giuliana Cella: «Ho vissuto in diversi Paesi, assimilandone la cultura. I gioielli? Sono una passione che ho fin da bambina».
Eugenia Roccella (Imagoeconomica)
Il ministro della Famiglia Eugenia Roccella: «Il rapporto delle Nazioni unite sulla surrogata conferma che si tratta di una violenza contro le donne e che va combattuta ovunque. Proprio come ha deciso di fare il governo, punendo i connazionali che ne fanno ricorso all’estero».
Mario Venditti. Nel riquadro da sinistra: Oreste Liporace e Maurizio Pappalardo (Ansa)
- Il presunto capo dei carabinieri agli ordini di Venditti era vicino a un generale e due imprenditori sotto processo per appalti truccati.
- Chiesti controlli bancari anche sulla toga che archiviò Sempio e su quelli delle Cappa.
Lo speciale contiene due articoli.
Ramy Elgaml (Ansa)
La Cassazione è chiara: nel caso ci sia una fuga dalle forze dell’ordine, chi deve pagare per i danni arrecati a cose o persone è chi si trova alla guida del mezzo che non ha rispettato l’alt. Eppure si continuano a fare perizie per «incastrare» i carabinieri.