2025-10-11
I pm ignorano la soluzione del caso Ramy
La Cassazione è chiara: nel caso ci sia una fuga dalle forze dell’ordine, chi deve pagare per i danni arrecati a cose o persone è chi si trova alla guida del mezzo che non ha rispettato l’alt. Eppure si continuano a fare perizie per «incastrare» i carabinieri.Pietro Dubolino, Presidente di sezione emerito della Corte di Cassazione È di pochi giorni fa la notizia che la procura della Repubblica di Milano ha richiesto al giudice per le indagini preliminari di disporre una perizia «cinematica» allo scopo di chiarire in tutti i suoi particolari la dinamica dell’inseguimento che, nella notte del 24 novembre 2024, fu effettuato da una «gazzella» dei Carabinieri, condotta da Antonio Lenoci, per raggiungere e bloccare uno «scooter» condotto da Fares Bouzidi, che non si era fermato all’intimazione di alt e aveva quindi cercato di far perdere le proprie tracce dandosi ad una folle e spericolata fuga per le vie cittadine; inseguimento, quello anzidetto che, com’è noto, si concluse con l’impatto dello scooter contro un palo semaforico e la caduta a terra del trasportato Ramy Elgami, che, nell’occorso, riportava lesioni di esito mortale. La procura della Repubblica, prima della suddetta richiesta, aveva già emesso avviso di conclusione delle indagini nei confronti di entrambi i conducenti dei veicoli in questione, cui addebitava il reato di omicidio colposo stradale previsto dall’art. 589 bis del codice penale, ravvisando elementi di colpa, con riguardo al militare conducente della «gazzella», essenzialmente per non aver egli osservato, nell’effettuare l’inseguimento, «regole di comune prudenza e diligenza», quali, in particolare, quella che avrebbe imposto di tenere una maggiore distanza dal veicolo inseguito, in modo da evitare il pericolo di collisioni.In realtà, stando alle conclusioni della consulenza tecnica che la stessa procura della Repubblica aveva affidato all’ing. Domenico Romaniello, secondo cui il conducente della «gazzella» si sarebbe attenuto «alle procedure previste nei casi di inseguimento di veicoli», non vi sarebbe stata alcuna necessità di un nuovo accertamento peritale, posto che, comunque, dovendosi escludere la concorrente responsabilità di Lenoci, sarebbe rimasta soltanto quella, comunque incontestabile, del conducente dello «scooter». La procura della Repubblica, però, non ha, evidentemente, condiviso quelle conclusioni, rilevandone la divergenza, «su diversi profili» rispetto a quelle dei consulenti nominati dalle difese di Bouzidi e dei familiari di Ramy, ed ha pertanto avanzato la richiesta di cui si è detto, a sostegno della quale ha, tra l’altro, evocato la «peculiarità e delicatezza della vicenda».Sul che nulla vi sarebbe da osservare se non fosse per il fatto che la richiesta in questione ignora totalmente un precedente giurisprudenziale che meritava, invece, di essere preso nella massima considerazione e, precisamente, la sentenza della terza sezione civile della Corte di cassazione n. 4963/2025, di cui mette conto riportare la massima ufficiale, che è del seguente, testuale tenore: «In tema di circolazione stradale, ove il conducente di un veicolo non ottemperi all’ordine di arresto della marcia intimato, a norma dell’art. 192 c.d.s., dagli agenti della forza pubblica addetti ai servizi di polizia stradale, dandosi alla fuga con una condotta di guida idonea a cagionare pericolo per la pubblica incolumità, e si verifichi una collisione con il mezzo della forza pubblica che si sia posto al suo inseguimento, dei danni subiti dagli stessi agenti rispondono integralmente il conducente del veicolo fuggitivo e il suo proprietario, ex art. 2054, comma 3, c.c. - nonché, se il veicolo responsabile non è assicurato, l’impresa designata per il Fondo di Garanzia delle Vittime della Strada - quand’anche lo scontro sia stato determinato da un’azione cosciente e volontaria degli agenti di pubblica sicurezza, purché proporzionata al pericolo da evitare, non potendo trovare applicazione l’art. 2054, commi 1 e 2, c.c. trattandosi di condotta doverosa e, pertanto, scriminata dall’art. 51 c.p. (In applicazione del principio la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza che aveva escluso la concorrente responsabilità degli agenti che, per fermare il veicolo fuggitivo, lo avevano deliberatamente tamponato)».Com’è agevole rilevare, la dinamica del fatto descritto nella massima è pressoché la fotocopia di quella del caso di cui si occupa la procura di Milano, con la sola, rilevante, differenza che, in essa, è dato addirittura per pacifico che l’urto fra il veicolo inseguito e quello inseguitore fu costituito da un tamponamento da parte di quest’ultimo, effettuato con «azione cosciente e volontaria e, quindi, «deliberatamente», dal suo conducente. Condotta, quest’ultima, che la sentenza ritiene non solo legittima ma, addirittura, «doverosa», ai sensi dell’art. 51 del codice penale, in quanto rispondente alle finalità d’istituto che il suo autore in quel momento stava perseguendo. Ed è anche da notare che l’art. 2054 del codice civile, di cui la sentenza della Corte ha escluso giustamente l’applicabilità nel caso da essa esaminato, dà come presunta la pari responsabilità dei conducenti di veicoli che abbiano colliso tra loro, facendo quindi carico a ciascuno di essi di dare, se ci riesce, la prova che la responsabilità sia solo dell’altro. Dovendo, quindi, ritenersi inapplicabile anche nel caso Ramy, alla luce del precedente costituito dalla suddetta sentenza, l’art. 2054 cod. civ., a maggior ragione dovrebbe ritenersi inapplicabile, a carico del conducente della «gazzella», il contestato reato di omicidio colposo stradale, per il quale non può operare alcuna presunzione di colpa, dovendo questa essere invece provata integralmente, secondo i principi generali, dalla pubblica accusa.E può aggiungersi che, sempre alla luce del suddetto precedente, il conducente della «gazzella», lungi dal dover rispondere - come invece si vorrebbe - del danno cagionato a chi si trovava sul veicolo inseguito, avrebbe avuto titolo ad ottenere dal conducente di quest’ultimo il risarcimento per le lesioni che, in ipotesi, avesse egli stesso riportato a seguito dell’urto, comunque determinatosi, con quello da lui condotto. Nell’ordinamento italiano, com’è noto, non è obbligatorio attenersi ai principi affermati dalla Cassazione - salvo che nel caso specifico che ha dato luogo alla loro pronuncia - ma non è consentito, a chi opera nel campo della giustizia, di ignorarli; cosa che, invece, sembrano aver fatto, nel caso Ramy, i magistrati del pubblico ministero, ai quali, pertanto, andrebbe consigliato di dedicare una maggior attenzione alla ricerca dei precedenti giurisprudenziali, facilmente accessibili nel sito internet della Cassazione; il che avrebbe forse consentito di risparmiare le spese che saranno necessarie per un adempimento come quello della richiesta perizia, da riguardarsi, stando al precedente citato, come del tutto inutile.
Marco Risi (Getty Images)
Nel riquadro, la stilista Giuliana Cella
Eugenia Roccella (Imagoeconomica)
Mario Venditti. Nel riquadro da sinistra: Oreste Liporace e Maurizio Pappalardo (Ansa)