2024-07-05
«Immobili occupati abusivamente». Sinistra italiana sommersa dai debiti
Il segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni (Imagoeconomica)
La trasmissione Mediaset «Dritto e Rovescio» ha scoperto quasi 400.000 euro di esposizione del partito nei confronti dell’Ater e dell’Inps. I militanti: «Fratoianni sa che siamo morosi, ma non ce ne andiamo». Facile fare i comunisti con le case degli altri: basta non pagare. Dopo il caso di Ilaria Salis, la «cacciatrice di nazisti» arrestata in Ungheria e tirata fuori dalle patrie galere grazie all’elezione all’Europarlamento nelle fila di Avs (Alleanza Verdi-Sinistra italiana), già titolare del brevetto Soumahoro, spuntano i debiti del partito di Nicola Fratoianni. Ma, mentre la Salis dovrebbe versare nelle casse dell’Aler lombarda «appena» 90.000 euro per i 16 anni di occupazione di un immobile di edilizia popolare in via Giosuè Borsi 14, a Milano, per quel che riguarda Si, siamo davanti a un lungo elenco di presunte violazioni, alcune delle quali accertate anche in via giudiziaria. A scovarle sono stati i giornalisti di Dritto e Rovescio, la trasmissione di approfondimento giornalistico condotta da Paolo Del Debbio, andata in onda ieri sera su Rete4.Via Pieve Fosciana 46, quartiere Magliana, a Roma. Qui nel settembre 2012 l’allora movimento Sinistra ecologia libertà (per gli amici, Sel, antesignano di Sinistra italiana) s’intrufola senza permesso in un immobile di proprietà dell’Inps. Partono le diffide ma i compagni non mollano: nel locale si tengono dibattiti politici, incontri con i parlamentari, eventi di partito. Nel giugno 2016, quindi dopo 46 mesi, Sel decide di mollare l’osso. Ma questo è del tutto ininfluente perché, frattempo, l’Inps si è rivolto alla magistratura reclamando affitti non riscossi per oltre 73.000 euro.Si arriva davanti al giudice civile che, dopo una breve istruttoria, riconosce le ragioni dell’Ente previdenziale e bolla come «illegittima» la presenza dei comunisti nell’edificio. La toga è particolarmente severa con il soggetto politico di cui Fratoianni è coordinatore nazionale all’epoca. E ravvisa «condotte sicuramente dolose e, nella fattispecie, probabilmente delittuose per la natura pubblica dell’immobile trattandosi di locale dell’Inps». La controparte processuale è un militante di Sel, eletto consigliere del Municipio XI che aveva detto in aula di non sentirsi responsabile perché era «politicamente ed eticamente» giusto utilizzare a fini sociali l’immobile. Il giudice però non si è fatto commuovere dai toni alla Che Guevara e lo ha condannato a pagare 23.000 euro più oneri legali e interessi frattempo maturati. A marzo 2025 si terrà il giudizio d’appello. Epperò i rossi non vogliono affatto saperne di mettere mano al portafogli. E ancora oggi nessuno ha saldato il dovuto.Episodio isolato? Parrebbe di no. Sinistra italiana avrebbe anche debiti con l’Ater, l’Agenzia che si occupa degli immobili popolari nella Capitale. Il commissario dell’Ente, Oscar Campo, ha dichiarato ai microfoni della trasmissione che sono stati concessi «complessivamente ai partiti politici […] 51 locali». Compresi i quattro di Si che verserebbero tutti in condizioni di morosità per una cifra complessiva di oltre 350.000 euro. Come quello di Testaccio-San Saba-Aventino, impegnato in una trattativa per il rientro di una esposizione di circa 100.000 euro. Le telecamere di Dritto e Rovescio hanno raccolto la dichiarazione di una militante che, con aria spavalda, ha rivendicato di essere dalla parte del giusto, nonostante la legge imponga altro. «Non abbiamo alcun contratto», ha riferito la donna all’inviato del programma, «certo che siamo abusivi, ma abbiamo cercato di metterci in regola». Di fronte all’impossibilità di normalizzare la loro posizione, la pasionaria ha comunque ribadito che «no, non si lascia il locale». Per carità. E Fratoianni, sacerdote laico della trasparenza e della legalità celebrate dagli scranni di Montecitorio, è a conoscenza di questa piccola infrazione? Certo che sì, risponde lei. «A volte viene anche qui», specifica, «penso che Fratoianni sappia che siamo morosi».Nel quartiere Pietralata c’è ancora un altro circoletto comunista che, in realtà, sarebbe dell’Arci però con contratto intestato ai Democratici di sinistra. Il che fa perfettamente intuire il livello di confusione che regna nella gestione degli affitti di beni pubblici ai partiti. In questo caso il debito sarebbe di 240.000 euro. «C’è una morosità, certo», spiega uno dei presenti rispondendo alle domande del giornalista di Rete4, «ma se vengono negati i diritti, i diritti io me li prendo…» rintuzza un’altra signora. Forse ignara che le casse del movimento di Fratoianni sarebbero perfettamente in grado di tenere aperte un po’ di sezioni in giro per l’Italia, se solo volesse, evitando peraltro di far rischiare maxi pignoramenti ai propri elettori e militanti inviati allo sbaraglio. Il saldo di Sinistra italiana è infatti superiore a 240.000 euro: perché allora non paga per i locali che occupa e manda al massacro donne e uomini, giovani e meno giovani, ancora infatuati dell’idea di combattere il capitalismo affamatore? Mistero. Com’è un mistero la risposta di Si che, a proposito dei debiti con Inps e altri proprietari, giura che non esistono alcun contenzioso né richieste di pagamento. D’altronde, dal pugno chiuso alla mano stesa il passo rischia di essere dolorosamente breve.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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