2020-05-21
Il vice di Mattarella scarica il Giglio ma non può negare le cene con Lotti
David Ermini e Sergio Mattarella (Ansa)
In un'intervista il numero due del Csm prende le distanze dai suoi vecchi sponsor: «Mi sono sottratto a richieste e desideri», ma non dice quali e di chi. E ammette l'incontro per la sua nomina con il dem, che era già indagato.Il vicepresidente del Csm, David Ermini, ha rilasciato ieri al sempre disponibile Corriere della Sera un'intervista che merita di essere attentamente analizzata. Il Nostro, eletto grazie a un colpo di mano del Giglio magico, i cui uomini, con una mossa da pokeristi professionisti, spaccarono il Csm pur di piazzarlo, oggi prende le distanze dai suoi mentori e dal suo vecchio partito: «Mi sono sottratto alle richieste e desideri di chi voleva eterodirigere il Consiglio», ha dichiarato rabbuiato. Accidenti, che fegato. Sembra un lontano ricordo il timido avvocato con i calzini bucati deriso dall'ex compagno di partito e di corrente Luca Lotti. Ma, questo Ermini versione Re Leone non ci fa sapere chi gli fece le irricevibili proposte. È stato chi lo aveva messo lì, alla guida del parlamentino dei giudici? Ha denunciato alla magistratura i tentativi illeciti di condizionarlo? Mistero. Ermini ci fa sapere solo che «sempre le elezioni del vicepresidente sono state il frutto di un accordo fra le varie componenti del Csm» e che lui si sottrasse alle successive avances «perché l'accordo politico per l'elezione di un vicepresidente non si può trasferire sulla scelta di un procuratore o di altri incarichi direttivi». Il giornalista, con coraggio, gli fa notare che nelle chat è rimasta traccia di una «cena riservata» (così definita dai commensali) propedeutica alla sua nomina, di cui La Verità aveva dato notizia già a febbraio.Ma Ermini non si scompone: «Fu una cena con due capicorrente riconosciuti e un esponente del Pd, lì mi dissero che l'accordo era chiuso». Peccato che ad annunciare il lieto evento fossero quattro persone che con quel Csm non avevano nulla da spartire. Il padrone di casa, Giuseppe Fanfani, esperto di cucina toscana, e Palamara non erano più componenti del parlamentino e l'altro «capocorrente», Cosimo Ferri, era un parlamentare dem. Senza contare che «l'esponente del Pd», Lotti, in quel momento era l'indagato eccellente (sul punto di diventare imputato) dell'inchiesta Consip.Nonostante ciò, a giudizio di Ermini le notizie che stiamo pubblicando, traendole da atti regolarmente depositati, sarebbero un attacco al Consiglio superiore della magistratura: «Si vuole screditare me per delegittimare l'istituzione, ed è un tentativo tuttora in atto. Hanno capito che per far cadere questo Csm devono far cadere me». Un'accusa gravissima per chi vuole semplicemente ricostruire nella loro completezza i fatti accaduti intorno agli ultimi due Csm, così come risultano dalle carte depositate a Perugia.In compenso, per Ermini, le continue fughe di notizie dell'anno scorso, frutto della violazione del segreto d'ufficio, che portarono al ribaltamento della maggioranza politica del Consiglio (secondo il vicepresidente, però, si trattò di un semplice «rinnovamento») non avevano alcunché di illegittimo. Forse perché permisero di far credere al popolo italiano che il suk delle nomine fosse un fenomeno circoscritto a poche mele marce, frettolosamente espulse dal Csm sull'onda di una campagna mediatica, senza che ci fossero stati processi, né tanto meno condanne. Un autodafé originato dalla partecipazione a un paio di sonnacchiosi dopocena con Lotti e Ferri, guarda un po' la coincidenza.Ovviamente Ermini esclude totalmente di aver affrontato il tema delle nomine negli incontri privati con «il capocorrente» Palamara, avvenuti anche dopo la sua nomina.Dice anche che il tentativo di screditarlo starebbe «nella strumentalizzazione di alcuni dialoghi del tutto irrilevanti», come quelli relativi alla scelta del suo consigliere giuridico, o «nella risibile vicenda» di un discorso che si sarebbe fatto scrivere da Palamara. «È semplicemente falso e sono già pronte le querele», scandisce. Prima di evocare l'immancabile complotto: «Mi pare evidente che si tratti di una manovra, di cui non conosco gli ispiratori, che mira a confondere fatti rilevanti e gravi con le chiacchiere e i pettegolezzi solo per colpire me perché mi sono sottratto ai condizionamenti».Dunque le chat in cui Palamara e Ferri individuano, con successo, il suo consigliere giuridico, mica il suo barbiere, sarebbero «dialoghi del tutto irrilevanti». In un altro passaggio sull'inchiesta di Perugia il vicepresidente denuncia che «quanto non è stato valutato rilevante sotto il profilo penale» rischia di distogliere l'attenzione «dai fatti contestati che rimangono molto gravi». Bisognerebbe ricordare al garantista Ermini che in Umbria le accuse contro Palamara si sono molto ridimensionate e che la contestazione più pesante non è più quella di aver intascato una mazzetta per facilitare una nomina, bensì di aver ricevuto in dono biglietti d'aereo e soggiorni in hotel da un amico imprenditore senza che sia stato individuato un «do ut des». Eppure il vice di Sergio Mattarella ci invita a concentrarci su quelle spese del valore di qualche migliaio di euro anziché sul quadro sconfortante che emerge dalle centinaia di chat depositate dai pm, un sistema opaco fatto di trattative, attacchi, veti incrociati, minacce, ricatti, per non parlare di piccoli e grandi benefit economici (cene, biglietti dello stadio, ma anche visite mediche).Lo stesso spaccato che l'anno scorso ha portato alla sospensione di Palamara dalla funzione e dallo stipendio da parte della sezione disciplinare del Csm. Una sanzione che arrivò non tanto in conseguenza dei reati penali, ma perché «in violazione dei doveri di correttezza ed equilibrio» avrebbe «tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti di alcuni colleghi magistrati». In conclusione, il pm è stato punito per quello spregiudicato risiko delle nomine di cui sono piene le chat. Per tale motivo consigliamo a Ermini di esaminarle con attenzione, anziché sminuirne la gravità, e, in particolare, di soffermarsi su quelle che riguardano i consiglieri in carica del parlamentino che presiede. Buona lettura.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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