2019-10-06
Il vero motivo dei dazi contro l’Ue: Airbus paga 6.000 aziende cinesi
Il conflitto tra il colosso francotedesco e Boeing esiste da 14 anni. Ma Donald Trump ora alza il muro per fermare il passaggio di tecnologia verso Pechino. Il conto arriva anche all'Italia, che viene «avvertita» in vista del 5G.La posizione di Margrethe Vestager rischia di penalizzarci ancora di più. Ursula Von der Leyen invece sa che nemmeno la Germania può rinunciare al mercato a stelle e strisce.Lo speciale contiene due articoli.Quando, anni fa si trattò di decidere l'adesione dell'Italia al progetto Airbus, Pier Francesco Guarguaglini, all'epoca a capo di Finmeccanica si dimostrò molto dubbioso. A posteriori possiamo dire che su un aspetto politico aveva ragione. Saremmo stati trattati in modo marginale. Ultimi, addirittura dopo gli spagnoli. Adesso che il colosso franco tedesco dell'aviazione è stato ritenuto colpevole di aiuti illeciti da parte degli Stati, l'America ha potuto far scattare i dazi. L'ammontare per il momento è di 7,5 miliardi e una fetta (compresa tra i 500 milioni e i 3 miliardi) colpirà il nostro Paese attraverso il canali dell'agroalimentare. Fermarsi al dente per dente non aiuta a capire che cosa sta accadendo attorno alla partita della supremazia tecnologica. Il tira e molla tra Boeing ed Airbus va avanti da oltre 14 anni e non avremmo assistito a colpi di scena se tra i due litiganti non si fosse inserita la Cina. Ciò che la Casa Bianca non accetta è il maxi trasferimento di know how in corso tra la Francia, la Germania e il Dragone. Pechino ha affermato un mercato di sviluppo ad Airbus e in cambio ha chiesto di ospitare in patria intere piattaforme logistiche e tecnologiche. Gli usa non hanno paura delle tecnologia di Airbus, ma che questa finisca ai cinesi per osmosi. E non è un timore infondato. Tutt'altro. Mentre lo scorso anno Francia e Germania fingevano di scandalizzarsi per la firma del memorandum sulla Via della Seta a Roma, da tempo le due nazioni europee avevano iniziato importanti scambi in materia nucleare e satellitare. Due esempi su tutti: quello firmato da Emmanuel Macron con la Cnnc (China national nuclear corporation) e l'avvio nel 2018 del Cfosat (Chinese franch oceanic satellite). Le sinergie maggiori si tracciano però nell'ambito del colosso aeronautico. La fabbrica Airbus di Tinjin ha assemblato il suo quattrocentesimo A320 nell'ambito di un mercato continentale che da solo vale 229 aeroporti. Così i cinesi hanno aperto i loro aeroporti e in cambio hanno ottenuto l'accesso ai progetti e al grande mondo dei fornitori. A quanto apprende la Verità a oggi ci sono ben 6.000 aziende cinesi certificate come subfornitrici di Aibus Aircraft vehicles. È un numero incredibile che spiega perchè alcune ambasciate americane abbiano acceso sul tema una red flag. Una bandierina rossa che significa tante cose. la trasmigrazione di tecnologia nasconde anche passaggi di progetti tendenzialmente duali? Il termine sta indicare quelle tecnologie che si possono utilizzare sia in ambiente civile che militare. Il nocciolo dei dazi sta tutto in questi dettagli che sono nascosti agli occhi dei più ma che fanno la differenza nello sviluppo tecnologico dei prossimi trent'anni. Gli Usa non vogliono perdere la supremazia dei cieli, né condividerla con altri Paesi extra Nato. La Francia è libera di schiantarsi contro il muro della Casa Bianca ma l'Italia deve porsi gli interrogativi di fondo. Se agli alert della diplomazia e dell'intelligence Usa possono seguire i dazi a stretto giro di posta, che cosa rischiamo tenendo il piede in due scarpe? Non ci riferiamo solo al 5G, ma anche a tutti i progetti congiunti come il Comac che vede impegnata Leonardo e lo stabilimento di Pomigliano. Mai come in queste ore e in questi giorni la politica italiana dovrebbe discutere la questione prioritaria della Difesa. Il nostro colosso dell'Aeronautica ha aderito al Tempest, il caccia di ultima generazione. Francia e Germania sono ancora incagliati in un progetto paritetico. Il Tempest ha la tecnologia, ma se si consuma la Brexit non avrà i finanziamenti Ue. Il progetto franco tedesco al contrario avrebbe il denaro ma sembra essere privo del quid tecnologico necessario per portarlo al livello della sesta generazione. L'Italia rischia così di rimanere incastrata a metà. Pagare per le colpe dell'Europa senza avere alcun beneficio e perdere pure la spinta degli Usa furiosi per i rapporti italocinesi. In una guerra economica bisogna avere due armi. La tecnologia e i soldi. Se manca una delle due gambe è come essere nudi. La Francia in questo gioco sporco e in modo altrettanto abile. Usa i soldi dell'Europa e cerca di sommare alla propria tecnologia anche quella dei partner europei. Attenzione se poi questa tecnologia finisce fuori dall'Ue a beneficio di una o al massimo due nazioni agli altri Paesi restano i gusci vuoti e il conto da pagare.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-vero-motivo-dei-dazi-contro-lue-airbus-paga-6-000-aziende-cinesi-2640857941.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="leuropa-deve-mediare-con-gli-usa" data-post-id="2640857941" data-published-at="1762778951" data-use-pagination="False"> L’Europa deve mediare con gli Usa Al Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: cortesemente, inviti Margrethe Vestager – alleata con il partito di Emmanuelle Macron - con delega alla concorrenza nella futura amministrazione, ad evitare anticipazioni sulla risposta dell'Ue alla minaccia Usa di dazi su produzioni europee come ritorsione per gli aiuti di Stato forniti ad Airbus, prima che sulla materia si pronunci il Consiglio europeo nonché il Commissario con delega al commercio estero in carica dal 1° novembre. Vestager, infatti, ha anticipato una risposta dura e simmetrica dell'Ue, che non è al momento una posizione condivisa, e che aumenta il rischio di un conflitto a ridosso dell'avvio dei negoziati per un trattato commerciale bilaterale tra Ue stessa e Usa. Tale trattativa è complicata da problemi tecnici di protezionismo e dalla posizione dell'Ue nel conflitto per la supremazia globale tra America e Cina. Il primo tema è risolvibile, ma ci sono dubbi che il secondo possa esserlo e ciò merita attenzione. Macron punta alla creazione di una «sovranità europea» guidata da Parigi che collochi l'Ue come terza forza autonoma negli affari globali con capacità di spostarsi verso America o Cina a seconda delle convenienze. La Germania ha una postura di terza forza, ma, diversamente dalla Francia, strutturalmente neutrale e di «potenza etica» per fini mercantilistici dovuti al fatto che la sua economia è sovradattata all'export, che contribuisce per il 52% alla formazione del Pil, generando l'interesse prioritario di poter commerciare con tutti. Ma ha anche il terrore di perdere l'accesso al mercato statunitense, cosa che implica una sovranità europea meno marcata e più atlantica con il problema di come mantenere le relazioni commerciali con la Cina a fronte delle pressioni limitative dell'America. A Berlino, infatti, c'è uno scontro tra filoatlantici, tra cui i non irrilevanti «deep state» e apparato militare tedeschi, ed eurosovranisti in parte neutralisti e in parte convinti che alla fine l'Ue sarà germanizzata. In questa situazione Angela Merkel, nota per capacità tattiche, ma non strategiche, sta attuando il suo tipico «cerchiobottismo»: ha ri-perimetrato, ma non sostanzialmente ridotto, la convergenza con la Cina e la divergenza sull'Iran per non irritare l'America, ma ha accettato di costruire una caccia franco-tedesco, e conseguentemente di non comprare l'F35 statunitense, pur rintuzzando la pressione francese per la creazione di una Difesa europea post-Nato e premendo per il trattato di libero scambio con l'America che trova forte opposizione a Parigi. L'Italia, dove l'export contribuisce per quasi il 40% alla formazione del Pil, ha una posizione molto simile a quella tedesca, ma complicata da maggiori influenze esterne. Cina e Francia spendono cifre considerevoli per influenzare la politica, il business e il giornalismo italiani. Tuttavia, questo gruppo di pressione pro sovranismo europeo a guida francese e con un'inclinazione filocinese trova contrapposto un altrettanto forte gruppo pro-atlantico e pro-Nato che comunque costringe la politica italiana ad un «cerchiobottismo», ma un po' più filoatlantico di quello tedesco per la prevalenza degli interessi militari, industriali e finanziari in questa direzione. Parigi non sta valutando che il fare favori a Trump non cambierà la postura di guerra statunitense contro la Cina. Questa è anche sostenuta perfino con più forza dalla sinistra che conta – per esempio Nancy Pelosi - e dal «deep state», influentissimo, che fa riferimento ai democratici nonché alla componente centrista del Partito repubblicano. Pertanto la relazione tra Ue e Stati Uniti è e resterà anche in caso di post-Trump principalmente condizionata dalla questione cinese. Von der Layen, se vuole segnalarsi come tutrice dell'interesse paneuropeo e non di singole nazioni, dovrebbe indagare sul vero motivo delle sanzioni americane a causa degli aiuti di Stato ad Airbus, non limitandosi a credere che sia solo per favorire la concorrenza di Boeing, chiedendo di vedere i contratti di trasferimento tecnologico che Airbus stessa ha siglato con imprese statali cinesi, allargando l'indagine ad altri accordi di gruppi francesi con Pechino nei settori strategici dell'energia nucleare e spazio, tema affrontato in questa pagina nell'articolo di Claudio Antonelli. Il punto: dovrebbe trovare un modo per rassicurare gli Stati Uniti che l'Europa non darà alla Cina tecnologie di superiorità, nel frattempo chiedendo a Washington di sospendere il contenzioso e la formula selettiva dei dazi che mette le nazioni europee una contro l'altra. E alla fine iniziare il negoziato per il trattato di libero scambio Ue-Usa depurato dalla questione cinese. Da cui poi derivare un modo concordato con Washington per mantenere un certo livello di relazioni economiche dell'Ue con la Cina (e la Russia). www.carlopelanda.com
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
Continua a leggereRiduci