2019-11-18
Il vero antisemitismo è quello islamico
Dilaga nel mondo l'ostilità dei musulmani verso gli ebrei con attentati e omicidi firmati dagli integralisti. E i giudici chiudono gli occhi davanti alle intolleranzeGli studiosi concordi: tra fondamentalisti e moderati non ci sono differenze, la sinistra muta per paura d'inimicarsi gli immigratiL'ex presidente della sinagoga di Milano Ugo Volli: «L'intimidazione islamista è duplice perché ha motivi religiosi e anche politici».Lo speciale contiene tre articoliL'antisemitismo preoccupa Europa e Stati Uniti, dove si moltiplicano gli osservatori di intolleranza, odio, aggressioni nei confronti degli ebrei. Secondo il Kantor Center per lo studio dell'ebraismo europeo contemporaneo dell'università di Tel Aviv, nel 2018 gli attacchi sono cresciuti del 13% in tutto il mondo. Impennate in Francia (+74%), Italia (+ 66%), Australia (+59%), aumenti nel Regno Unito (+16%) e in Germania (+6%). Lo scorso anno le città di New York e Berlino registrarono rispettivamente + 22% e + 14% di episodi ostili. Il 25% degli ebrei danesi e il 28% di quelli svedesi ha assistito a un attacco antisemita negli ultimi 12 mesi. Da più parti si è concordi nel riconoscere la forte influenza del Web nella diffusione di minacce, insulti, istigazione alla violenza. L'atteggiamento prevalente, però, è quello di ricondurre l'onda minacciosa alla destra estremista e, con più ipocrita prudenza, alla sinistra radicale ostile a Israele «sostenuto dagli americani». Quella sinistra che giudica gli ebrei responsabili della «colonizzazione razzista della Palestina». Viene invece pesantemente sottovalutato l'atteggiamento di molti musulmani, spesso immigrati, che considerano gli ebrei il nemico, l'incarnazione di una minaccia esistenziale all'islam. Nel 2014, la Lega anti diffamazione (Adl) aveva condotto un'indagine in oltre 100 Paesi scoprendo che l'atteggiamento anti ebrei era due volte più comune tra i musulmani che tra i cristiani. L'ultimo rapporto dell'Ue sull'antisemitismo riporta i risultati di un sondaggio condotto tra 2.700 ebrei di età compresa tra 16 e 34 anni di 12 Paesi europei (Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Spagna, Svezia e Ungheria), in cui vive oltre il 96% della popolazione ebraica. Il 31% dei giovani che ha subìto molestie o aggressioni di stampo antisemita (il 45% degli intervistati), ha identificato l'autore come «qualcuno con una visione estremista musulmana». Dichiara il think tank Gatestone institute: «In Francia, dire la verità sull'antisemitismo islamico è pericoloso. Per un politico, è un suicidio». L'istituto di analisi ricordava quanto affermò l'ex primo ministro francese Manuel Valls: «Per almeno due decenni, tutti gli attacchi contro gli ebrei in cui l'autore è stato identificato provengono da musulmani». La sinistra però preferisce ignorare la matrice islamica, con vergognosi episodi di accettazione come il silenzio politico e intellettuale che ha avvolto la pièce Moi, la mort, je l'aime, comme vous aimez la vie dell'algerino Mohamed Kacim, che nel 2017 portò nei teatri francesi una rappresentazione delle ultime ore del terrorista Mohammed Merah, autore della strage all'asilo di Tolosa. Voleva provare a spiegare «i disagi» sociali di un assassino, pochi si indignarono. Partiamo proprio da quella mattanza, per ricordare alcuni dei più odiosi episodi di antisemitismo islamico nell'ultimo decennio. Nel 2012, Mohammed Merah uccide due fratellini ebrei di 6 e 3 anni, il loro padre rabbino e una bambina di 7 anni davanti a una scuola ebraica di Tolosa. Il killer, cittadino francese nato da genitori algerini, aveva trascorso un periodo nei campi di addestramento per i terroristi islamici prima di andare a combattere a fianco dei talebani. Due anni dopo, nell'attentato al museo ebraico di Bruxelles compiuto dal franco algerino Mehdi Nemmouche, tornato in Europa dopo un anno di guerra in Siria, muoiono quattro persone, due delle quali erano turisti israeliani. Nel 2015 Amedy Coulibaly, figlio di immigrati musulmani originari del Mali, assalta un supermarket kosher, tiene in ostaggio 17 persone, ne uccide quattro. Tutti ebrei. Aveva giurato fedeltà all'Isis. A Parigi, nel 2017 il giovane musulmano Kobili Traore picchia selvaggiamente e getta da una finestra al terzo piano del palazzo Sarah Halimi, un'insegnante ebrea di 66 anni, urlando: «Ho ucciso il demonio. Allah akhbar». I giudici esitarono molto prima di aggiungere alle accuse l'aggravante dell'antisemitismo. Ma c'è di peggio: lo scorso maggio il magistrato è arrivato alla conclusione che Traore era sotto l'effetto di stupefacenti quando commise il delitto, quindi troppo mentalmente instabile per subire un processo. Nel 2018 un altro feroce omicidio di stampo islamico sconvolge Parigi. Mireille Knoll, 85 anni, sfuggita nel 1942 alla più grande retata di ebrei in Francia, viene pugnalata 11 volte dal vicino di casa musulmano, Yacine Mihoub che aiutato da un complice poi dà fuoco alla poveretta malata di Parkinson. La comunità ebraica francese è ancora la più grande in Europa, ma si sta rapidamente riducendo. Agli inizi di questo secolo contava 500.000 membri, la cifra è ora inferiore a 400.000. Rientrano in Israele. Osserva il politologo Dominique Reynié, direttore di Fondapol, Fondation pour l'innovation politique: «Gli ebrei sono pochi, elettoralmente non contano e non esiste un loro specifico comportamento di voto. I musulmani sono più numerosi e i politici si muovono con prudenza». Quella francese è in effetti la più grande comunità islamica d'Europa, 6 milioni di individui (il 9% della popolazione). Pochi giorni fa hanno manifestato a Parigi contro l'islamofobia, eppure sono influenti, islamizzano la società francese con moschee, scuole, associazioni. Fuori dalla Francia il clima non è migliore. Nel 2015 la grande sinagoga di Copenaghen viene presa di mira da un terrorista islamico, che in uno scontro a fuoco uccide una guardia giurata. Dieci giorni fa, più di 80 lapidi sono state vandalizzate nel cimitero ebraico Ostre Kirkegard, nella città danese di Randers. Sui social non hanno dubbi, come scrive in un post Rebecca Holt: «Questo accade per colpa di tutti gli islamici mediorientali che l'Europa ha accolto. Odiano gli ebrei». A settembre, studenti israeliani che si trovavano a Varsavia sono stati aggrediti da alcuni uomini originari del Qatar che hanno urlato slogan come «Palestina libera». Lo scorso marzo, ad Amsterdam due ebrei, padre e figlio, sono stati pugnalati da un musulmano radicalizzato. «Abbiamo visto islamisti commettere attacchi omicidi contro le comunità ebraiche in Francia, Belgio, Austria, Copenaghen», dichiarava a luglio John Mann, subito dopo essere stato eletto consigliere sull'antisemitismo da Theresa May. Secondo Mann, fino a oggi simili episodi non si sono verificati nel Regno Unito perché il Paese «è meglio preparato attraverso il lavoro del Community security trust», associazione fondata nel 1994 per garantire la sicurezza della comunità ebraica.Il sondaggio 2015 della Lega anti diffamazione mise in luce che il 56% dei musulmani in Germania nutriva atteggiamenti antisemiti, rispetto al 16% della popolazione complessiva. In una strada di Berlino, nell'aprile 2018 un rifugiato siriano di 19 anni si tolse la cintura e iniziò a frustare un giovane israeliano che indossava il kippah, tradizionale copricapo circolare. Dopo quell'episodio, il presidente del consiglio centrale degli ebrei tedeschi, Josef Schuster, dovette ammettere che era pericoloso indossare in pubblico il kippah. Ostentare bandiere palestinesi invece non è proibito dalle autorità. Lo scorso giugno, centinaia di manifestanti hanno sfilato a Berlino per la marcia «al-Quds Day», organizzata dal 1979 per chiedere la cancellazione definitiva dello Stato ebraico. Nonostante l'iniziativa abbia l'appoggio di un gruppo terroristico come Hezbollah, non è stata vietata neppure quest'anno. Lo scorso maggio Wenzel Michalski, direttore a Berlino di Human rights watch, organizzazione non governativa che si occupa della difesa dei diritti umani, ha raccontato al Magazine del New York Times che quando il suo ultimogenito Salomon rivelò a scuola di essere ebreo e di andare in sinagoga, in classe scese il gelo. Aveva fatto amicizia con un compagno arabo, condividevano la passione per la musica rap ma l'indomani il ragazzino gli disse che «ebrei e musulmani non potevano essere amici». Da quel momento iniziarono pesanti episodi di bullismo.Patrizia Floder Ritter<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-vero-antisemitismo-e-quello-islamico-2641370626.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-nascita-disraele-ha-radicalizzato-le-ragioni-dellodio" data-post-id="2641370626" data-published-at="1757935355" data-use-pagination="False"> La nascita d’Israele ha radicalizzato le ragioni dell’odio Il politologo tedesco Matthias Küntzel afferma che l'antisemitismo europeo «era estraneo all'immagine originale degli ebrei nell'islam». I musulmani li consideravano impuri, li trattavano «con disprezzo o con tolleranza condiscendente» ma, a differenza dell'antisemitismo cristiano, non venivano accusati «di malvagità diabolica», di «avvelenare i pozzi né di diffondere la peste». Su L'informale Küntzel ha scritto che «l'antisemitismo islamico non si sviluppò spontaneamente ma fu inventato e usato come un mezzo per un fine. Questo processo iniziò circa 80 anni fa nell'ambito dei tentativi arabi di fermare l'immigrazione sionista in Palestina». Il primo testo che diffuse tra gli islamici l'odio verso gli ebrei sarebbe stato un opuscolo in lingua araba dal titolo L'Islam e gli ebrei, pubblicato al Cairo nell'agosto del 1937. Nel pamphlet si leggeva: «Tenete duro, lottate per il pensiero islamico, per la vostra religione e la vostra esistenza! Non riposate finché la vostra terra non sarà priva di ebrei». Una copia del libretto venne distribuita a ogni partecipante al Congresso nazionale arabo, di Bludan, in Siria, e poi diffuso e ristampato per anni in tutta Europa. Presunto autore del libretto sarebbe stato Haj Amin Al Hussaini, leader del nazionalismo arabo palestinese e gran muftì di Gerusalemme (una delle più alte autorità dell'islam sunnita). Da quel libretto sarebbe iniziata la divulgazione di un hadith, una sacra scrittura «dalle promesse genocide» che incitava a combattere gli ebrei fino all'annientamento. Questo il testo: «Disse il Profeta, su cui sia la pace: l'ora della resurrezione non arriverà fino a quando i musulmani non combatteranno gli ebrei e i musulmani li uccideranno, finché gli ebrei si nasconderanno dietro pietre e alberi, e le pietre e gli alberi diranno: Oh musulmano, servo di Allah, c'è un ebreo dietro di me, vieni e uccidilo!». Lo storico Maurizio Ghiretti scrive così sull'Osservatorio antisemitismo del Cdec, centro di documentazione ebraica: «In seguito alla vittoria israeliana della guerra dei Sei giorni l'attività antisemita subisce un'impennata. Le folgoranti vittorie provocano una brusca metamorfosi nell'opinione pubblica occidentale, soprattutto in quella di sinistra, nei confronti di Israele e degli ebrei che sostengono la sua politica. Le schiaccianti vittorie su nemici tanto più numerosi e potenti smentiscono lo stereotipo dell'“ebreo" debole e spaventato». Ghiretti spiega che «la ripresa dell'antisemitismo a partire dagli ultimi anni del secolo scorso» si manifesta anche nel mondo islamico: «L'animosità antiebraica espressa sia dall'islam fondamentalista sia da quello moderato (entrambi transnazionali) assumono le caratteristiche dell'ebreofobia più radicale: Israele, i suoi cittadini, il sionismo e gli ebrei incarnano il male assoluto. La nuova ideologia antisemita islamica è metastorica; nasce nelle moschee dirette da divulgatori di odio (non necessariamente fondamentalisti), è propagandata dalle organizzazioni islamiste, da rappresentanti politici e religiosi dei paesi arabi, dai media, dai demagoghi dei nuovi piccoli gruppi della sinistra radicale, da quelli della “nuova sinistra" terzomondista e da quelli delle frange radicali dell'estrema destra: tutti fanaticamente antisionisti e antisraeliani e, in ultima analisi, antiebraici». Scriveva un paio di settimane fa sulla rivista britannica Spiked Alaa al-Ameri, pseudonimo di un economista libico che vive nel Regno Unito: «È la censura di fatto della sinistra dei critici dell'islamismo che ha permesso agli islamisti di integrare il loro antisemitismo». Time ha ricordato che «i funzionari europei sottostimarono per lungo tempo l'antisemitismo tra i musulmani in Europa, forse per paura di alimentare il sentimento anti immigrato». «L'antisemitismo non è relegato all'estrema destra, o all'estrema sinistra, attraversa ogni categoria sociale. In più non vengono fatti rilievi sulle nuove migrazioni», evidenziava pochi giorni fa su Repubblica lo storico Gadi Luzzatto Voghera, direttore del Cdec. Aggiungeva: «Se vado nella comunità musulmana e chiedo che cosa pensano degli ebrei, la dinamica che scatta è ancora più allarmante. Ma è non tanto l'islam come religione, quanto il mondo islamista, che usa l'ideologia per colpire la minoranza ebraica, a favorire questo odio e far aumentare il rischio». Il Web contribuisce pesantemente a diffondere il sentimento anti ebrei. Katharina von Schnurbein, coordinatrice della Commissione europea sulla lotta all'antisemitismo, dichiarava lo scorso luglio che Internet «è diventato anche un melting pot (crogiolo, ndr) di estremismo. Un'alleanza empia di neonazisti, islamisti e estremisti di estrema sinistra nel credere in una cospirazione ebraica, nel controllo dei governi, dell'economia e dei media». Non possiamo non aggiungere che nei cortei del 25 Aprile per ricordare la liberazione dal nazismo, molte volte l'Anpi ha fatto entrare militanti della resistenza palestinese, diretti discendenti del nazionalismo arabo. Patrizia Floder Ritter <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-vero-antisemitismo-e-quello-islamico-2641370626.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="la-minaccia-peggiore-dal-corano" data-post-id="2641370626" data-published-at="1757935355" data-use-pagination="False"> «La minaccia peggiore? Dal Corano» Nel Regno Unito 24 intellettuali guidati da John Le Carré hanno annunciato che alle elezioni generali del 12 dicembre non voteranno per Jeremy Corbyn accusandolo di non aver voluto o saputo frenare le tendenze antisemite all'interno del suo Partito laburista. In Francia l'intervista di sabato del Corriere della Sera al filosofo Alain Finkielkraut, che ha parlato di un antisemitismo di sinistra, che «oggi per ragioni elettorali ha scelto il partito dell'islam politico», ha riacceso il dibattito. E in Italia? Ne abbiamo parlato con Ugo Volli, professore ordinario di semiotica del testo all'università di Torino ed ex presidente della sinagoga riformata Lev Chadash di Milano. Dice Volli: «Esistono, nel nostro Paese e in Europa, alcuni isolati ed esagitati neofascisti e neonazisti che fanno cose inaccettabili, dal profanare i cimiteri alla minaccia di compiere stragi. Ma sono pochissimi, residuali e poco organizzati. Folcloristici quando fanno cose un po' nostalgiche come a Predappio. Ma è evidente che non esiste un pericolo per la democrazia». Neppure per le comunità ebraiche? «Le comunità ebraiche in Europa sono minacciate principalmente dagli islamisti, che rappresentano una minaccia per motivi sia religiosi sia politici, con l'antisemitismo che si sovrappone all'odio per Israele. La polizia e l'esercito davanti alle sinagoghe ci difendono essenzialmente da questa minaccia. Che cosa si nasconde dietro a questo allarme fascismo? «Una speculazione politica da parte di forze che hanno perso capacità di attrazione, non solo in Italia ma in buona parte d'Europa. Molti di loro sono sinceramente preoccupati dai neofascisti. Ma questa paura deriva dalla scarsa comprensione di che cosa sia il fascismo. È il vecchio vizio della sinistra: gli avversari politici sono sempre tutti sbagliati, criminali, ubriachi, donnaioli, mostri e di conseguenza anche fascisti. Ma il fatto che siano sinceri non rende il tutto meno preoccupante. Da qui, il tentativo di creare allarmi sperando di allargare l'elettorato. Ma ci sono due problemi. Il primo: queste grida “al lupo, al lupo" non impressionano nessuno. Il secondo: la sinistra non sa più rispondere su questioni molto concrete come il modo di vivere e l'identità nazionale, per esempio». È delegittimazione o anche una forma di censura? «Alla vecchia egemonia della sinistra in Occidente corrisponde un'egemonia che continuano ad avere sulla grande stampa. Ma questa è in grave crisi negli ultimi anni. E così nasce l'idea che la sinistra non venga capita perché il popolo segue altre idee in Rete che subito vengono bollate come fake news. Da qui il tentativo di censurare, di impedire che altre idee circolino sulla Rete». Hanno perso il controllo del mezzo e cercano di controllare il messaggio? «C'è un recente libro di Christian Rocca intitolato Chiudete Internet (Marsilio). È solo un esempio della tendenza a pensare che sia stato un grave errore far nascere questa cosa diffusissima che è Internet per via delle cose che circolano su quel mezzo. E poiché non piacciono, vengono definiti discorsi di odio, senza qualunque criterio oggettivo. Anche perché se ci fosse un criterio oggettivo i primi discorsi di odio da proibire sarebbero quelli di Vauro, che ha appena pubblicato Sette modi per uccidere Salvini oppure di questo cuoco, Rubio, che si chiama chef». E la Commissione Segre come si inserisce in questo contesto? «Questa commissione, che porta un po' impropriamente il nome della senatrice Liliana Segre, va esattamente nella direzione di creare le basi per rendere possibile la censura. La senatrice è stata usata per proporre un'agenda che mi ricorda quello che Bertolt Brecht proponeva in maniera ironica nel 1953 ai comunisti della Germania Est dopo gli scioperi operai, cioè sciogliere il popolo. Oggi c'è il tentativo di non fare votare, di impedire la libertà di espressione sulla Rete e molto altro perché c'è una profonda diffidenza e un forte disprezzo nei confronti dell'elettorato. E si tratta di un'involuzione pazzesca per i partiti che si proclamano progressisti e al fianco dei più deboli». Non la stupisce la totale assenza dal dibattito pubblico della minaccia islamista? «Nelle perversioni mentali della sinistra c'è l'idea che, perso il mondo operaio anticapitalista che oggi vota per altri, si debbano trovare alleati contro l'Occidente. E gli islamici sono gli alleati perfetti. Che poi se la prendano in particolare con gli ebrei e con Israele va anche bene, visto che corrisponde a un profilo di antisemitismo che sta riemergendo a sinistra». Gabriele Carrer
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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