2019-12-09
«Il Vaticano è un circo che condanna a morte la verità e la giustizia»
Ariel Levi di Gualdo, teologo e volto tv: «Se il Papa parla di fede e morale gli debbo obbedienza. Ma sui migranti disapprovo, come i vescovi africani».Tra i fondatori della rivista telematica L'Isola di Patmos, dalla quale è poi nata l'omonima casa editrice, padre Ariel S. Levi di Gualdo è un sacerdote sempre più ascoltato: la sua rivista online dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2018 ha superato i 30 milioni di visite. Tosco-romano, 56 anni, teologo dogmatico e storico del dogma, volto televisivo, è autore di diverse pubblicazioni tra cui il libro E Satana si fece trino, edito agli inizi del 2011 e ripubblicato nel 2019. Come mai ha pensato di aprire questa rivista? «L'idea nacque da me che la proposi ai sacerdoti e teologi Antonio Livi e Giovanni Cavalcoli, domenicano. Poi si aggiunsero il teologo cappuccino Ivano Liguori e il giovane teologo domenicano Gabriele Giordano Scardocci».Che motivi ci sono all'origine?«La necessità di trasmettere i fondamenti della fede, ma anche come antidoto alla schizofrenia che oggi impera. Diceva Enrico Medi agli inizi degli anni Settanta: “Non temo il nucleare, l'inquinamento e i tumori, ma la follia collettiva verso la quale il mondo sta precipitando"».Perché proprio Patmos?«È il luogo dell'ultima rivelazione dove l'apostolo Giovanni scrisse in esilio il libro dell'Apocalisse. Urge creare un'isola che conservi il pensiero cattolico inteso come deposito della fede e del perenne magistero della Chiesa, da non confondere con i ghetti e i circolini chiusi degli “eletti tra gli eletti". Bisogna fare come quei monaci che durante l'incendio che la avvolse cercarono di salvare i più preziosi manoscritti dalla Biblioteca di Alessandria». Lei crede che la Chiesa sia in pericolo?«Terribilmente. Stiamo vivendo una situazione di profonda decadenza per la quale non sono riuscito a individuare precedenti storici, solo qualche cosa di vagamente simile: la crisi dell'eresia ariana del IV secolo e la caduta dell'Impero Romano sul finire del V secolo. Un'epoca sta finendo e spero finisca presto».Quando è cominciata la crisi della Chiesa?«Più che crisi, è una sintesi di tutte le grandi crisi storiche, un po' come l'eresia modernista che fu condannata da San Pio X nell'enciclica Pascendi Dominici Gregis come “sintesi di tutte le eresie". Questa crisi è generata da una crisi della dottrina che ha generato una crisi della fede, dando poi vita a una crisi morale che sta devastando il nostro clero».Ritiene che Papa Francesco abbia responsabilità?«Ha responsabilità enormi come tutti i suoi predecessori, a partire dall'apostolo Pietro. Il quale, scelto da Cristo in persona e non da un conclave di cardinali, ne combinò di peggio: rinnegò Cristo per tre volte e tentò la fuga anche nella vecchiaia, questa volta a Roma, durante le persecuzioni di Nerone. Egli morì crocifisso sul colle Vaticano. E oggi il Vaticano è un circo nel quale si eseguono altre condanne capitali a carico della verità e della giustizia, il tutto in nome della misericordia, s'intende».Si riferisce al sinodo sull'Amazzonia?«In realtà, quello panamazzonico è stato un sinodo pantedesco. La Chiesa tedesca è da mezzo secolo alla deriva protestante, con le chiese sempre più vuote e una grande emorragia di fedeli, ma con un “fatturato" che oscilla sui 7 miliardi di euro all'anno derivato dalla kirchensteuer, la tassa di culto che ogni cittadino cattolico paga. Una “azienda" con ingenti capitali e proprietà ma carente di “personale", che dunque preme per avere preti sposati. I viri probati di cui si è parlato a proposito dell'Amazzonia, non servirebbero in realtà a questa regione ma alla Chiesa tedesca».E si piega la teologia a questioni gestionali?«I tedeschi usano l'America Latina come incubatrice di teologie come quelle della liberazione o del popolo. Con i risultati che vediamo: i Paesi latinoamericani fagocitati dalle sette evangeliche. Le ideologie tedesche, come prova la storia, sono state sempre fonte di fallimenti. All'appello mancava la Chiesa cattolica».Che cosa pensa dell'invito del Papa ad accogliere i migranti?«Se il Romano pontefice si esprime in materia di dottrina, di fede e di morale, io sono tenuto a prestargli obbedienza con adesione di fede. Se però si mette a giocare con Eugenio Scalfari, ho il diritto di disapprovare e di dire che avrebbe fatto meglio ad accogliere un uomo di Dio come il defunto cardinale Carlo Caffarra e gli altri tre suoi fratelli cardinali che domandavano chiarimenti e risposte mai ottenute. La delinquenza che gli eserciti di migranti ci hanno portato, in particolare le bande di nigeriani, è nei fatti di cronaca e negli atti giudiziari. Oggi abbiamo vescovi e preti che minano la dottrina della fede, ma si soprassiede; se tuttavia fai un sospiro sul nuovo “dogma" migratorio rischi di essere linciato, sempre con misericordia, s'intende».Si sente discriminato?«Come qualsiasi ecclesiastico che osi sollevare un sospiro di dissenso. I primi a non essere ascoltati sono stati i vescovi africani, contrari a questi flussi migratori, in testa quelli nigeriani. Anche l'arcivescovo di Mosul in Iraq, Amel Nona, mise in guardia dai rischi di accoglienza indiscriminata soprattutto verso i musulmani. Ma anziché a lui, la berretta cardinalizia è stata data al gesuita Michael Czerny, che nel suo stemma ha messo una barca carica di migranti e si è fatto fare una croce pettorale con il legno di una barca che trasportava clandestini. Come nell'antico teatro greco, dopo la tragedia viene sempre la farsa grottesca».Lei ha usato parole pesantissime contro il vescovo di Belluno («puttana», «apostata», «invertitore satanico») che ha domandato scusa ai divorziati risposati in nome della Chiesa. Perché tanta violenza verbale?«Noi abbiamo sempre accolto i peccatori e continueremo a farlo, è nostro dovere evangelico. Altra cosa è accogliere il peccato e ammettere i peccatori ai sacramenti. Per questo ho usato verso quel vescovo indegno un linguaggio severo tipico di certe pagine dell'Antico e del Nuovo testamento. Ciò che questo vescovo afferma e offre è contrario non solo al magistero perenne della Chiesa, ma anche ai passi di quelle sacre scritture che per noi sono fondamento della rivelazione che nemmeno il Successore di Pietro può correggere».La Chiesa italiana non interviene più sulla situazione del Paese come ai tempi del cardinale Camillo Ruini. È un bene secondo lei?«Non rimpiango la stagione di Ruini, che in oltre vent'anni di presidenza della Cei ha regalato alla Chiesa italiana alcuni tra i peggiori vescovi mai avuti, sempre assenti per i loro preti, latitanti dinanzi ai problemi delle loro diocesi, ma sempre pronti a bivaccare nei salotti politici e trafficare con la politica, non ultimo per lucrare benefici e prebende. Io sono sempre stato contrario alla interferenza della Chiesa e del clero nelle questioni strettamente politiche e amministrative del Paese».Libera Chiesa in libero Stato?«Noi abbiamo il dovere di intervenire e far sentire la nostra voce se sono messi in discussione e a serio rischio elementi che toccano da vicino il cuore di quel sentimento cattolico che varia dal rispetto della vita al rispetto del diritto naturale».È opportuno il ritorno di un partito dei cattolici?«Meglio lasciar perdere, si rischierebbe di creare una parodia satirica della vecchia Democrazia cristiana. Uno dei suoi ultimi esponenti, che aveva due divorzi alle spalle e varie amanti, andava a offrire sostegno al cardinale Ruini per difendere i valori intangibili della famiglia. E Ruini gli sorrideva beato».Come si sente quando la invitano in televisione? È la pecora evangelica in mezzo ai lupi?«Assolutamente no! Posso dire che Giuseppe Cruciani è una bella e profonda persona. Con il giovane Francesco Mangiacapra, che ha svergognato pubblicamente diversi preti omosessuali e che ho incontrato negli studi Mediaset, ho fatto amicizia e ogni tanto ci sentiamo: sono colpito dalla sua intelligenza e preparazione».Sulla rivista si legge che lei in tv non perde le staffe per impulso emotivo, ma per scelta calibrata. Che significa?«Lo ha scritto padre Ivano Liguori, facendo tra l'altro una analisi profonda, come lo è lui per sua natura. Io non sono un emotivo né un istintivo: se, come suol dirsi sempre in linguaggio ecclesiastico forbito, decido d'incazzarmi, lo faccio a ragion veduta, in modo scientifico».Di che cosa ha bisogno oggi la Chiesa?«Sempre con linguaggio ecclesiastico aulico, direi che le serve la “fede dei coglioni". Non dei fessi, ma di persone con gli attributi che sappiano dire “sì" quando è sì e “no" quando è no, perché il di più, ma di questi tempi anche il di meno, ossia l'omissione colposa, proviene dal Maligno».Chi indicherebbe oggi come modello ai cattolici italiani?«Non ho risposte da dare. Per proporre modelli bisogna produrre autentici modelli. E al momento la Chiesa produce soprattutto opportunisti e ruffiani in carriera sulle barche dei migranti, lasciapassare sicuro per l'accesso all'episcopato e alla porpora cardinalizia in una Chiesa sempre più ridotta al regime cambogiano, altro che misericordiosa “Chiesa ospedale da campo"».