2020-11-22
«Il vaccino non ci salverà (per ora). Guai a snobbare i dubbi degli italiani»
Il farmacoepidemiologo del Mario Negri: «Gli standard di sicurezza sono stati rispettati, però i produttori ancora non pubblicano dati precisi. La terza ondata verrà, ma molta più gente potrebbe essere immunizzata».Antonio Clavenna è il responsabile dell'unità di farmacoepidemiologia all'Istituto Mario Negri di Milano.Che aspettativa ripone nei vaccini annunciati?«Tutto ciò che sappiamo finora si basa sui comunicati delle aziende alla stampa».Quindi, non avete dati scientifici dettagliati?«Abbiamo solo i dati presenti nei comunicati stampa. Non siamo in grado di compiere verifiche sull'efficacia di questi farmaci. Sono procedure che verranno svolte dalle agenzie di controllo». Tra Pfizer e Moderna, parliamo di una percentuale di efficacia che oscilla tra il 90% e il 95%. È paragonabile a quella dei vaccini già noti?«Lo è: è paragonabile a quella del vaccino per il morbillo, che già alla prima dose ha un'efficacia di circa il 95%. E alla seconda dose, l'efficacia aumenta ulteriormente».Anche per il vaccino contro il Covid serviranno più dosi?«Sì. Lo prevedono tutti gli studi, tranne quelli relativi a un vaccino cinese».Con che frequenza?«La distanza tra le somministrazioni varia da due settimane a quasi due mesi».L'efficacia potrebbe variare tra fasce d'età?«È possibile che nella popolazione anziana si registri una minore efficacia, perché in quella fascia d'età il sistema immunitario ha una risposta meno efficace».E tra i giovani?«Ci sono pochissimi dati sui minori di 18 anni».Ma i vaccinati, pur non potendosi ammalare, saranno contagiosi?«Non c'è una risposta certa, per ora. Ma c'è anche un'altra domanda fondamentale».Quale?«Quanto dura la protezione dall'infezione? La supposta efficacia del 95%, che di per sé è molto alta, è misurata nelle due settimane successive alla seconda dose. Non sappiamo cosa succede a un mese, due mesi, sei mesi di distanza».Cosa potrebbe cambiare?«Se la protezione dura, vaccinando su larga scala i più giovani, specie se la somministrazione riduce le potenzialità infettive, si riescono a tutelare anche le categorie più a rischio. Se la protezione è di breve durata, il vaccino copre chi l'ha ricevuto durante i picchi, ma non aiuta a ridurre la circolazione del virus».Insomma, per adesso, nonostante in molti lo presentino come la terra promessa, non possiamo riporre tutte le speranze nel vaccino.«Confermo. Il vaccino è uno strumento promettente. Ma non possiamo pensare che risolverà la situazione».Se la protezione sarà limitata nel tempo, come ovvieremo al problema?«Una possibilità è che accada come con il vaccino antinfluenzale: ogni anno potrebbe essere necessario fare dei richiami, finché l'epidemia non sarà esaurita».Andrea Crisanti ha sollevato dubbi sulla sicurezza dei farmaci. «Gli standard sono simili a quelli degli altri vaccini. I tempi sono stati compressi, perché ciascuna delle fasi è stata programmata già nel corso delle sperimentazioni per la fase precedente, in modo che si potesse proseguire senza interruzioni. Anche per quanto riguarda la numerosità dei campioni, siamo in linea con quella degli altri vaccini». Questo cosa significa?«Che i ricercatori possono già osservare gli effetti collaterali che si verificano con una frequenza molto bassa».Lei a gennaio se la farebbe una dose? O aspetterebbe un paio di mesi?«Un paio di mesi non sarebbero sufficienti per accertare effetti collaterali molto rari. Il punto è un altro».Cioè?«Essere messi in condizione di consultare dati pubblici, per effettuare verifiche non solo sulla sicurezza dei vaccini, ma anche sulla loro efficacia, o sulla durata della protezione. In assenza di questi elementi, in questo momento non le dico né sì né no. Mancano le basi per poter decidere».Gli italiani sono spaventati dal Covid, ma sembrano diffidenti anche verso i potenziali vaccini.«In tanti hanno la percezione di una fretta eccessiva. A maggior ragione, la trasparenza sarebbe d'aiuto». Condivide le loro preoccupazioni?«È importante rispettare, accogliere e rispondere ai dubbi delle persone. Al netto di una minoranza che ha pregiudizi contro i vaccini, credo che in molti nutrano timori comprensibili. Se vogliamo che al vaccino si sottopongano quanti più italiani possibile, dobbiamo chiarire i loro dubbi, non liquidarli come No vax».Ricapitolando: è assodato che il vaccino non ci porterà fuori dalla pandemia entro primavera.«Esatto».In effetti, il principale all'Istituto Mario Negri, il professor Giuseppe Remuzzi, ha spiegato che dovremo attendere il momento in cui il Covid sarà diventato un raffreddore. Il che avviene per selezione naturale: le varianti di virus più aggressive muoiono con gli ospiti e, alla fine, rimangono in circolazione quelle che creano meno danni. Ma allora, quanta gente dovrà ancora morire prima che dalla polmonite bilaterale arriviamo al semplice raffreddore?«In realtà, nella maggior parte dei casi, Sars-Cov-2 non è un virus così aggressivo. La vicenda di altre pandemie e la storia di altri coronavirus, poi, ci dicono che, con il passare del tempo e l'incremento percentuale dei contagi, si crea una sorta di “memoria immunitaria". Si verifica un adattamento reciproco tra uomo e virus, per cui l'attesa è che, nell'arco di qualche stagione, forse di qualche anno, il Sars-Cov-2 darà manifestazioni simili a quelle di un raffreddore».Anche in chi presenta comorbidità?«In quei casi, permarrebbe un rischio maggiore. Capita anche con gli altri coronavirus, che nella maggior parte della popolazione causano solo il raffreddore».Possiamo immaginare che mascherine e distanziamento resteranno necessari anche oltre il 2021?«È possibile. Sicuramente fino alla prossima estate, probabilmente anche oltre. Ma bisognerà vedere in che misura serviranno queste cautele».Nei mesi invernali dobbiamo attenderci un'extra mortalità come quella osservata a marzo-aprile in Lombardia?«La stiamo già rilevando dai dati parziali di ottobre e novembre, che arrivano da alcune città campione. Però, l'entità della differenza nel tasso di mortalità rispetto agli anni precedenti non è dell'ordine di grandezza registrato la scorsa primavera a Bergamo».La seconda ondata, che conta molti più contagi, ha un tasso di mortalità inferiore alla prima, o a primavera facevamo meno tamponi e, quindi, censivamo meno casi?«Attribuirei le differenze a questo secondo fattore. A marzo e aprile la sottostima era notevolmente più elevata. Gli studi sulla sieroprevalenza nella Bergamasca, tra cui quello dei colleghi del Mario Negri di Bergamo, hanno rivelato che i casi rilevati erano 20 volte meno di quelli reali».Secondo alcune ricerche, il virus circolava in Italia già da settembre 2019. Perché, allora, il sovraccarico del sistema sanitario è arrivato, all'improvviso, solo mesi dopo?«Un'altra domanda per cui non c'è ancora una risposta. Non c'è univocità nemmeno sul momento effettivo in cui il virus ha iniziato a circolare. Alcuni dati parlano di un picco di ricoveri per polmoniti a dicembre in ospedali lombardi e del Piacentino. Ma è difficile capire perché, di punto in bianco, si sia determinato il sovraccarico. Possiamo supporre che l'impatto sulle strutture sanitarie abbia una latenza di due o tre settimane rispetto all'aumento dei contagi».La terza ondata arriverà? «È molto probabile che arrivi, anche se è controverso parlare di ondate: non siamo mai arrivati a una situazione di pieno controllo del virus. Comunque, la lettura dei dati ci induce a un timido ottimismo».Ci faccia sognare.«Torno alla mia Lombardia: i dati mostrano che le province che erano state “risparmiate" a marzo-aprile, oggi sono le più colpite. Al contrario, Bergamo oggi ha l'incidenza più bassa di Covid».Dunque, se chi è stato risparmiato a marzo, è stato investito dal virus adesso, quando arriverà la terza ondata, l'immunità acquisita sarà diffusa ovunque.«Esatto. È un'ipotesi, ma non si può escludere che con la terza ondata non vedremo i picchi drammatici di oggi».
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