2022-05-12
Il turismo si rilancia con meno tasse, non con più immigrati
Massimo Garavaglia (Imagoeconomica)
Cinque buoni motivi per bocciare l’idea del ministro Massimo Garavaglia. Il mercato del lavoro ko finché ci sarà il reddito di cittadinanza.Ha destato un certo stupore l’intervista rilasciata a Repubblica dal ministro leghista del Turismo Massimo Garavaglia. Il quale, va detto a suo onore, ha posto pubblicamente tutte le domande giuste, a maggior ragione all’inizio della stagione turistica: sulla carenza di personale, sulla scarsità in particolare di cuochi e camerieri, sulla necessità di disporre di figure formate e qualificate. Ed è certamente da applaudire il buon senso con cui Garavaglia spinge per l’allungamento della stagione turistica, unica via per evitare che tutto si riduca a poche settimane utili: «Non sta scritto sulla pietra che a settembre devi smontare tutto: abbiamo la possibilità di allungare tranquillamente la stagione del mare ma anche di favorire lo sviluppo del turismo montano estivo». E ancora, in modo altrettanto condivisibile, il ministro ha messo in fila spunti sullo sfruttamento delle mezze stagioni e sull’uso del cosiddetto fondo nuove competenze «per formare velocemente le figure che mancano». Tutto sacrosanto, fin qui.Ciò che invece stupisce è la risposta principale offerta dal ministro (non a caso valorizzata da Repubblica nel titolo): aumentare il flusso di lavoratori stranieri. Secondo Garavaglia, non basterebbe la proroga fino al 30 settembre già decisa per il decreto flussi, ma occorrerebbe aumentare ancora il contingente di stranieri ammessi: «Dovremo prendere degli stranieri, altrimenti avremo problemi di personale per la stagione».Poco dopo Garavaglia, che è persona che capisce l’economia reale, si avvicina al cuore del problema, ma, per evidenti ragioni politiche di convivenza nell’attuale maggioranza, si ritrae subito dopo: «Se mancano 300-350mila lavoratori e hai tanti disoccupati, c’è qualcosa che non funziona. E non sto parlando solo del reddito di cittadinanza, ma dell’insieme delle regole». E sta proprio qui il nodo, che potremmo riassumere in cinque criticità, tutte purtroppo eluse dal ministro.Primo. Come si fa a non vedere che un eventuale afflusso molto maggiorato di lavoratori stranieri avrà un effetto inevitabile, e cioè quello di deprimere ulteriormente i salari? Per ovvie ragioni, un lavoratore straniero accetterà ogni tipo di condizione per lavorare, com’è assolutamente comprensibile dal suo punto di vista.Secondo. Come si fa a non vedere che lasciare la politica del Lavoro al ministro Andrea Orlando significa avere la garanzia di una curvatura anti impresa, pro tasse, pro-rigidità? Né purtroppo si scorge, da parte del centrodestra di governo, una capacità di fare da contrappeso rispetto a quelle spinte e a quella cultura.Terzo. Non si vede una chiara direzione di marcia su dove la classe dirigente italiana intenda portare il Paese. Si sottovaluta il tema dell’inflazione e del costo della vita, o lo si attribuisce solo al fattore peggiorativo legato alla guerra. Ma illudersi di affrontare tutto con cerotti e sussidi appare surreale.Quarto. L’unica vera carta da giocare sarebbe quella di un consistente taglio di tasse. Per tutti: per gli autonomi e le imprese, e naturalmente per i dipendenti. È quella la strada maestra per lasciare a tutti i cittadini più soldi in tasca e – di fatto – per aumentare anche i salari. Ciò che è stato fatto in questo senso nell’ultima legge di bilancio (sul cuneo fiscale) appartiene purtroppo alla categoria dell’omeopatico, dell’impercettibile. Troppo poco.E infine quinto, ed è il proverbiale elefante nella stanza. Il ministro Garavaglia, intellettualmente onesto com’è, ci chiederebbe con quali risorse aggredire la pressione fiscale eccessiva. La risposta sta nel punto sfiorato (ma subito abbandonato) proprio dal ministro, e cioè la montagna di soldi stanziati per il reddito di cittadinanza.E qui ci corre l’obbligo di trascrivere l’incredibile norma contenuta nell’ultima finanziaria: quella che, in aggiunta agli 8,8 miliardi annui che già erano stati stanziati per il sussidio grillino, l’ha rifinanziato e proiettato all’infinito. Ecco qua: «L’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 12, comma 1, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, è incrementata di 1.065,3 milioni di euro per l’anno 2022, 1.064,9 milioni di euro per l’anno 2023, 1.064,4 milioni di euro per l’anno 2024, 1.063,5 milioni di euro annui per l’anno 2025, 1.062,8 milioni di euro per l’anno 2026, 1.062,3 milioni di euro per l’anno 2027, 1.061,5 milioni di euro per l’anno 2028, 1.061,7 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2029». Sono oltre 10 miliardi l’anno per 8 anni (e siamo già a 80 miliardi). E in più, con riferimento all’ultimo anno considerato (il 2029), è stata messa nero su bianco l’espressione «a decorrere dal 2029», ponendo le basi per protrarre la misura tendenzialmente all’infinito, a meno che un governo e una maggioranza non chiudano il rubinetto.Se non si agisce lì e se ci si volta dall’altra parte, si va in direzione sbagliata. O vogliamo far finta che non sia così? Quanti giovani, davanti a uno stipendio di 1100-1200 euro (per cui però dovrebbero lavorare), preferiscono invece 500 euro di sussidio, più 500 euro della pensione della mamma, più 500 euro di un lavoretto in nero, e cioè una somma che supera l’eventuale salario regolare?
Francesca Albanese (Ansa)
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