
Donald si è evoluto dopo la prima esperienza al potere: ha stretto legami con altri leader e, pur non rinunciando alla carica anti sistema, ha imparato a dialogare con gli apparati. Inoltre ha di fatto già preparato la sua successione, con il giovane vice Vance.a una forma di populismo antisistema che trovava il suo principale bersaglio nel professionismo politico. In quella fase, il trumpismo aveva come punto focale quello del «forgotten man»: l’uomo «dimenticato» dalla globalizzazione, sulla base di un’espressione che risaliva a Franklin D. Roosevelt.All’epoca, si trattava di un fenomeno, magari non totalmente disorganizzato, ma di certo non ancora adeguatamente strutturato, per svolgere una piena azione di governo. Da questo punto di vista, basta ricordare i problemi che, da presidente, Trump ebbe con alcuni pezzi degli apparati governativi, che gli remavano, spesso efficacemente, contro. In quella stagione, il trumpismo ha avuto il merito storico di aver ridato linfa vitale a un Partito repubblicano agonizzante e sempre più preda delle lotte intestine tra un establishment centrista e un conservatorismo settario. Trump ha fatto uscire il Gop dal fortino in cui si era arroccato, iniziando a contendere elettori al Partito democratico. Il problema di quella stagione fu tuttavia una certa confusione che inceppò, in più di un’occasione, l’azione di governo.Poi, negli ultimi quattro anni, il trumpismo ha affrontato una vera e propria traversata nel deserto. Una traversata che, iniziata con una fase di forte crisi, ha man mano rafforzato questo fenomeno, che è progressivamente maturato. Attenzione: nessuno nega che conservi alcuni aspetti della sua carica originariamente anti establishment. Tuttavia oggi il trumpismo è cresciuto ed è molto più di questo. Parliamo di una crescita che è andata di pari passo con la progressiva crisi dell’amministrazione Biden-Harris, tramutatasi poi in una crisi del Partito democratico in quanto tale. Ecco di che cosa stiamo parlando.In primis, il trumpismo sta iniziando a guardare al futuro, gettando delle basi politico-ideologiche che siano in grado di andare oltre la figura dello stesso Trump. Non a caso, durante la Convention nazionale repubblicana di Milwaukee, JD Vance non è stato presentato soltanto come il candidato vice ma come il vero e proprio delfino del tycoon. Una scelta, quella di Vance, piuttosto strategica. Il diretto interessato ha appena 40 anni e, nel 2028, potrebbe essere in pole position per la nomination presidenziale repubblicana. Inoltre, si tratta di un profilo molto attrattivo per i colletti blu della Rust Belt: è principalmente guardando a quest’area che Trump, nonostante lo scetticismo di molti analisti, lo ha scelto come running mate. Una scommessa che si è rivelata vincente: il tycoon è infatti riuscito a conquistare gli Stati operai di Pennsylvania, Wisconsin e Michigan. Ma ciò non gli ha impedito di riscuotere al contempo l’apprezzamento da parte di Wall Street per le sue ricette fiscali.In secondo luogo, il trumpismo si pensa in una dimensione sempre più internazionale. In questi mesi di campagna elettorale, il tycoon ha mantenuto i contatti o avuto incontri con Viktor Orbán, Andrzej Duda, Benjamin Netanyahu e Mohammad bin Salman. L’entourage di Trump guarda con simpatia anche a Giorgia Meloni. Senza poi dimenticare Nigel Farage e alcuni settori dei Tory britannici. Non si tratta della solita e stantia «internazionale sovranista»: si tratta di una rete che coinvolge capi di Stato e di governo. Il trumpismo, in altre parole, ha capito di non potersi permettere l’isolamento internazionale.In terzo luogo, pur non rinunciando del tutto alla sua carica antisistema, il trumpismo si è aperto agli apparati governativi. Elon Musk non è stato solo un sostenitore e un alacre finanziatore del tycoon: è anche il proprietario di SpaceX, che vanta significativi contratti di appalto con il Pentagono. Quel Pentagono che, a livello di alta burocrazia, è entrato in rotta con l’amministrazione Biden dopo la crisi afgana del 2021. Ricordiamo inoltre che, lo scorso aprile, Trump salvò di fatto lo Speaker della Camera, Mike Johnson, da una mozione di sfiducia interna: con quella mossa, il tycoon fece indirettamente sì che il Congresso approvasse il nuovo pacchetto di aiuti a Kiev da 61 miliardi di dollari. Tutto questo, senza trascurare che la guida del Pentagono potrebbe essere affidata da Trump al suo ex direttore della Cia ed ex segretario di Stato, Mike Pompeo, che è salito sul palco a parlare durante l’ultimo giorno della Convention di Milwaukee.Infine, ma non meno significativo, anche sul versante culturale e valoriale il trumpismo sta mutando. Si nota una forte presenza cattolica attorno al tycoon: Vance è un cattolico recentemente convertito e Trump stesso, da presidente, ha nominato due giudici cattolici alla Corte Suprema. Inoltre, in campagna elettorale, ha spesso fatto riferimento a immagini e simboli legati alla cultura cattolica. Attenzione: non stiamo dicendo che il trumpismo è diventato un fenomeno esclusivamente cattolico. Notiamo però che questa componente sta diventando sempre più visibile. E potrebbe costituirne una sorta di collante ideologico-culturale. Il trumpismo, insomma, si è fatto adulto. Ed è entrato nelle istituzioni. Non è più semplicemente una protesta più o meno estemporanea. È un fenomeno complesso e articolato, che è venuto via via strutturandosi (anche) in opposizione all’estremismo woke tanto in voga tra i San Francisco Democrats. Una nuova «tenda» che gli elettori americani, martedì, hanno mostrato di apprezzare.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





