2019-12-04
Il tribunale rimborsa i clandestini respinti
Sentenza choc a Roma: non si possono rispedire indietro gli extracomunitari irregolari, bensì vanno lasciati entrare in Italia affinché presentino domanda d'asilo. Non solo: avranno anche diritto a un indennizzo per essere stati rimandati in Africa. È proprio vero: in Italia nessuno è clandestino, esattamente come gridano i campioni del buonismo, gente alla Carola Rackete. È così perché i respingimenti in mare sono sempre «illegali», in quanto ogni immigrato ha sempre «diritto a presentare domanda di protezione internazionale». A dirlo non è un qualsiasi campione dei «porti aperti», tipo l'antagonista Luca Casarini. No, lo stabilisce con la forza di una sentenza la prima sezione civile del Tribunale di Roma: il 28 novembre il giudice ha ordinato che 14 naufraghi, intercettati nel giugno 2009 da una nave militare italiana nel Canale di Sicilia e riportati in Libia, meritino un risarcimento perché sono stati violati il loro diritto all'ingresso e il loro diritto di presentare domanda di asilo.Il ricorso, intitolato «Osman e altri contro l'Italia», era stato presentato nel 2016 a nome di 89 immigrati, 75 dei quali eritrei, dall'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione (Asgi) e dalla sezione italiana di Amnesty International. Non si capisce perché le due organizzazioni abbiano atteso sette anni per il ricorso, in effetti registrato dal Tribunale con il numero 5615/2016, né è chiaro se il diritto a un risarcimento per un fatto del 2009 possa essere fatto valere a 10 anni di distanza. Forse le motivazioni spiegheranno anche perché solo 14 naufraghi su 89 abbiano vinto la causa. Sta di fatto che la sentenza è lì, e apre la strada a uno tsunami di decine e decine di migliaia di ricorsi contro i respingimenti in mare. L'Asgi ricorda che i naufraghi erano partiti dalla Libia a bordo di un gommone, il cui motore era finito in avaria. I naufraghi erano stati soccorsi da una nave militare italiana, che li aveva riportati in Libia. Amnesty International sostiene che «le persone salvate erano state respinte senza alcun atto formale, e in alcuni casi mediante l'uso della forza». Non si sa ancora quale sia il risarcimento cui il governo è stato condannato dal Tribunale di Roma. Il giudice ha comunque stabilito che a 14 ricorrenti va riconosciuto il diritto di «accedere nel territorio italiano allo scopo di presentare domanda di riconoscimento della protezione internazionale». Questo perché l'articolo 10 della Costituzione «riconosce allo straniero il diritto d'asilo, che deve ritenersi applicabile anche quando questi si trovi fuori dal territorio dello Stato per cause a esso non imputabili». Nel giugno 2009 ministro dell'Interno era il leghista Roberto Maroni, che alla notizia di quel respingimento aveva dichiarato: «È una svolta storica contro i clandestini, è un nuovo modello di contrasto in mare per chi cerca di arrivare illegalmente in Italia». A varare i respingimenti in mare era stato un accordo firmato il 7 maggio di quell'anno tra l'ultimo governo del centrodestra, guidato da Silvio Berlusconi, e la Libia di Muammar Gheddafi: «D'ora in poi», aveva annunciato il Viminale, «tutte le imbarcazioni di migranti intercettate saranno rimandate in Libia». I respingimenti avevano funzionato bene: gli sbarchi, che nel 2008 erano stati 36.951, nel 2009 erano crollati a 9.573 e nel 2010 erano addirittura sprofondati a 4.406. Poi, nella primavera 2011, Berlusconi era stato costretto dalle pressioni internazionali a partecipare alla folle guerra contro Gheddafi, e nel novembre di quell'anno aveva dovuto dimettersi per la pressione dello spread teleguidato da Berlino, delle inchieste giudiziarie e della gogna mediatica sul «Rubygate». Da allora, per anni, la politica dei respingimenti era stata abbandonata anche per via delle sanzioni imposte nel febbraio 2012 dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. L'ex ministro Maroni aveva contestato la condanna dei giudici di Strasburgo definendola «una sentenza politica» e aveva obiettato: «Rifarei tutto quel che ho fatto, cioè impedire ai barconi di clandestini di partire dalla Libia, salvare molte vite umane e garantire maggiore sicurezza agli italiani». Nel 2012, comunque, gli sbarchi erano velocemente ripresi e già nel 2014 erano balzati a quota 170.100. La politica dei respingimenti (anche se a quel punto avvolti dall'ipocrita aggettivo «assistiti») era però rispuntata nel 2016, quando il ministro pd dell'Interno Marco Minniti aveva capito che l'opinione pubblica era contraria alla politica buonista del «tutti dentro» e aveva deciso che le motovedette italiane dovessero riaffidare i naufraghi ai libici. I respingimenti sono poi tornati pienamente attivi con Matteo Salvini al Viminale, dal giugno 2018 all'agosto 2019. La magistratura, però, li ha sempre frenati con processi e ordinanze che hanno cercato di svuotare i Decreti sicurezza. Si vedrà ora che cosa accadrà agli immigrati della sentenza romana. Va detto che nel 2009, in realtà, almeno uno di loro era riuscito a sfuggire al rimpatrio. Le cronache sostengono si fosse nascosto sotto un telone della motovedetta, da cui era uscito solo quando la nave aveva attraccato a Lampedusa. A quel punto era sceso a terra, indisturbato. Poi era stato fermato mentre passeggiava per le strade dell'isola e aveva ammesso: «Sono un clandestino». Sbagliava, perché come ha sentenziato il Tribunale di Roma i clandestini non esistono. Meglio ancora: da noi nessuno è clandestino.
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