2019-10-21
Il tesoro perduto. Tutti i soldi che l’Italia butta via perché non sa sfruttare i suoi giacimenti di gas e petrolio
L'incapacità di sfruttare giacimenti di gas e petrolio costa all'Italia 300 milioni di entrate fiscali l'anno. E con l'aumento dei canoni di concessione previsto dal precedente governo, gli investitori fuggiranno verso i Paesi vicini (Grecia e Albania), aumentando la nostra dipendenza energetica dall'estero.A febbraio 2019, con il dl semplificazioni, l'ex governo capitanato dal premier Giuseppe Conte e dal duo Matteo Salvini - Luigi Di Maio aveva dichiarato guerra alle concessioni petrolifere. Oggi, il nuovo esecutivo giallorosso ne ha preso l'eredità iniziando un piano di transizione dalle energie di origine fossile a quelle più pulite. Alle basi dell'emendamento c'erano l'aumento di 25 volte dei canoni annuali di coltivazione e stoccaggio degli idrocarburi per tutte le compagnie petrolifere e uno stop alle ricerche di 18 mesi per realizzare il «piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee». A oggi, in realtà, non c'è ancora traccia di nulla. Il piano, va detto, dovrà essere pronto entro il 2021, ma gli aumenti dei canoni avrebbero dovuto essere già operativi dall'inizio di giugno di quest'anno. Finora, infatti, gli operatori non hanno ancora messo mano al portafoglio, né su quelli di ricerca né su quelli di coltivazione e stoccaggio. Le riscossioni per le ricerche sono in effetti ferme perché essendoci una moratoria che blocca quelle già autorizzate (in attesa del piano) non sarebbe equo chiedere tanto i canoni quanto un loro aumento. La situazione, insomma, è in stallo. Dando uno sguardo, però, al Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse (Buig) stilato ogni mese dal ministero dello Sviluppo economico, tutte queste norme hanno creato un fuggi fuggi generale degli operatori interessati a trovare nuovi giacimenti o a proseguire le operazioni di estrazione (di gas o petrolio). Nel 2017, 2018 e una parte del 2019 sono state cancellate 44 concessioni nel nostro Paese.In particolare, il decreto semplificazioni di febbraio prevedeva che le aziende coinvolte dovessero corrispondere 1.481 euro per chilometro quadrato per la concessione di coltivazione (prima era di 59 euro) e 2.221 per chilometro quadrato per la concessione di coltivazione in proroga (invece di 88 euro). Stando alla relazione tecnica sulla norma, la rimodulazione di questi due tipi di canoni avrebbe prodotto «complessivamente maggiori entrate per il bilancio dello Stato nell'ordine di circa 16 milioni di euro per l'anno 2019 e 28 milioni per ciascuno degli anni successivi». Un aumento importante. Basti notare che il gettito del 2018 derivante dalle concessioni è di 1,3 milioni.Secondo l'ultimo bollettino aggiornato al 30 settembre, solo nel 2019 sono state chiuse (o per scadenza naturale o per decreto) 5 concessioni: 4 per scadenza naturale non rinnovata e 1 per accettazione della rinuncia. A Melzo, non lontano da Milano, il 2 settembre sono stati cancellati permessi di ricerca a seguito di un decreto di accettazione della rinuncia. A Codogno, sempre in Lombardia ma in provincia di Lodi, un'altra concessione di ricerca è giunta a scadenza naturale senza essere rinnovata. Altre 3 concessioni di coltivazione sono state cancellate perché hanno raggiunto la scadenza naturale. Si tratta di quelle di Tresigallo, in provincia di Ferrara, di San Damiano nei pressi di Piacenza e della concessione di Manche di Cimalia in Calabria. Dando uno sguardo ai dati sul 2018, solo in quell'anno lo Stato ha detto addio, a vario titolo, a 18 permessi di ricerca a cui si deve aggiungere la cessazione di altre 5 concessioni di coltivazione. Addio ai permessi di ricerca di Colle della Guardia (Bologna) e Scarpizzolo (Brescia), entrambi fermati per decreto di decadenza del titolare e cessazione del permesso di ricerca. Cancellate invece per scadenza naturale (e non rinnovate) le concessioni di Colfelice (Frosinone) , Monte Negro (Campobasso), Montemarciano (Ancona), Pescopennattaro (Isernia), Villa Gigli (Macerata), Molino, Opera (Milano), Torrente Nure (Piacenza), B.R269.GC noto come Ombrina Mare), Crocetta, Monteluro (Pesaro Urbino), Pannocchia (Parma), Zappolino (Bologna), Tozzona (Imola), Carisio (Vercelli), Casale Cocchi (Bologna). Cancellate anche le concessioni di coltivazione di Macchia di Perno (Foggia), Monte Vrecciaro (Foggia), Alfonsine (Ravenna), Santa Maria Imbaro (Chieti) e D.C 3.AG (piattaforma marina). Non è andata meglio nel 2017 con la cancellazione di altri 15 permessi di ricerca e una cancellazione di coltivazione. Addio alla ricerca di gas o petrolio per scadenza naturale a Bosco, Bibbiano (Reggio Emilia) , Castelverde (Cremona), Colle dei Nidi (Teramo), Dardagnola (Modena), Faenza (Ravenna), Masseria Montarozzo (Foggia), Posta Nuova, Recanati (Macerata), Ronsecco (Vercelli), San Vincenzo (Livorno), Sassuolo (Modena), Torrente Acqua Fredda (Bologna), Torrente La Vella (Prato) e Torrente Parma (Parma).Con la cancellazione di tutte queste concessioni, dunque, il rischio concreto che si corre è quello di trasformare l'Italia in un Paese ancora più dipendente dall'energia prodotta da altri. Senza considerare le perdite di gettito fiscale che il taglio delle concessioni impone, oltre a quelle in termini di fatturato per tutti i colossi italiani del petrolio, da Eni a Saras passando per Saipem, solo per citare alcuni grandi nomi. Il problema è che molte di queste società hanno già trovato il modo di aggirare il problema. Ecco una metafora che renda l'idea: l'Europa (in realtà tutto il globo) va considerata come un enorme bicchiere di granita nel cui fondo sono presenti gas e petrolio. La prima cannuccia che arriva a fondo è quella che può iniziare a «pescare» per prima. Così, se l'Italia cancella le concessioni su ricerca ed estrazione, gli operatori non devono fare altro che andare dai Paesi limitrofi e mettere la loro cannuccia partendo da quei confini. È esattamente quello che è successo con il giacimento Fortuna Prospect più o meno a metà tra fra il «tacco» di Santa Maria di Leuca e l'isola greca di Corfù. Alla richiesta della Global Med di scavare per trovare petrolio, il Mise ha incrociato le braccia. Così è bastato andare a fare due chiacchiere con il governo greco che è stato ben felice di rilasciare i permessi. Per Atene si tratta di un regalo bello e buono: il governo si prende i soldi delle concessioni e, come se non bastasse, le aziende coinvolte potranno venderci la loro energia a peso d'oro. La svolta ecologista del governo Conte (sia il primo che il secondo) che ha scelto di non favorire il mondo degli idrocarburi per alimentare l'Italia, si sta dimostrando di fatto un autogol. L'unico risultato certo fino ad ora è quello di eliminare gettito utile per le tasche degli italiani e di dire addio a tutto l'indotto che genera posti di lavoro e fatturato per le aziende nazionali.
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