2022-05-14
Il sultano gela Svezia e Finlandia: «Niente ingresso nella Nato»
Recep Tayyip Erdogan (Ansa)
Veto di Recep Tayyip Erdogan sui candidati: «Ospitano terroristi». Centrale il ruolo di garanzia di BoJo. Mosca: «Basta elettricità a Helsinki».È uno di quei giorni in cui l’espressione «ecco, è il solito Erdogan» può essere letta in due sensi opposti. O nel senso della perenne attitudine del leader turco a negoziare su tutto, a minacciare veti per poi trattare e monetizzare, ad avere in mente un sì finale ma solo dopo aver ricavato dalla trattativa ciò che si prefigge (si pensi alla questione immigrazione). Oppure, nel senso che Erdogan sta con un piede nella Nato e un altro fuori, che ha con la Russia una serie di partite aperte, di tavoli a cui non intende rinunciare. E forse c’è del vero nell’uno e nell’altro dei due punti di vista.Sta di fatto che ieri Recep Tayyip Erdogan ha bollato come un «errore» l’eventuale adesione di Finlandia e Svezia alla Nato, proprio come, a suo avviso, fu un errore quello dell’ingresso della Grecia nell’Alleanza atlantica. «Non voglio che si ripeta lo stesso errore commesso con l’adesione della Grecia», ha infatti detto ieri Erdogan ai giornalisti, passando poi ad accusare Stoccolma ed Helsinki «di essere come una guest house per organizzazioni terroristiche«. Infine, lasciando intendere l’avvio di un negoziato non semplice, il presidente turco ha concluso: «Non abbiamo un’opinione positiva».A onor del vero, Finlandia e Svezia hanno intenzione di discutere con tutti, a partire dalla Turchia, nella prossima riunione informale dei ministri degli Esteri dell’Alleanza, a Berlino. Ma in ogni caso l’ostacolo turco non va sottovalutato: per entrare nella Nato, dapprima occorre infatti che un Paese sia autorizzato dal proprio Parlamento a presentare la domanda, ma poi serve soprattutto che ci sia l’ok unanime di tutti gli altri membri (attualmente i componenti dell’Alleanza atlantica sono 30). Rischia dunque di riprodursi (a livello Nato) lo schema che altre volte abbiamo visto per l’Unione europea: piaccia o no, la regola dell’unanimità conferisce oggettivamente a ciascun soggetto un potere di veto, o, più pragmaticamente, una potente carta negoziale da giocare per far valere il proprio semaforo verde. Per scongiurare le nuove, storiche adesioni alla Nato, Mosca punta sulle pressioni economiche: oggi dovrebbe sospendere le forniture elettriche alla Finlandia. La utility russa Inter Rao lamenta mancati pagamenti dal 6 maggio scorso. «Eravamo preparati», ha detto un responsabile di Fingrid, operatore elettrico finlandese. «Possiamo gestire un po’ più di importazioni dalla Svezia e dalla Norvegia».A posteriori, si comprende bene come mai, prim’ancora di formalizzare la loro richiesta di ingresso nella Nato, Helsinki e Stoccolma abbiano preannunciato un accordo di mutua cooperazione, sicurezza e difesa con il Regno Unito. Molti critici pregiudiziali della Gran Bretagna avevano bollato come protagonismo di Londra l’enfasi con cui Boris Johnson aveva annunciato la conclusione di quegli accordi. In realtà si trattava di un atto di realismo sia da parte britannica sia da parte scandinava. Da entrambe le parti, ci si cautelava proprio contro un eventuale veto (della Turchia, in primo luogo) che lascerebbe Stoccolma ed Helsinki in una limbo (non più neutrali e non ancora nella Nato). E da parte scandinava, si sceglieva un ombrello, quello britannico, più certo e immediatamente operativo - diciamolo francamente - rispetto alle chimere della Difesa Ue.La realtà è che, nonostante il racconto anti Brexit che procede dal 2016, l’uscita di Londra dall’Ue sta dispiegando tutte le potenzialità della Global Britain: sia sul terreno commerciale, sia su quello militare e geopolitico. Ne sono testimonianza questi ultimi accordi siglati dal premier britannico, e pure il fatto che Londra, nei mesi scorsi, anche per rilanciare il proprio ruolo guida dentro e fuori la Nato, abbia rispolverato la cosiddetta Jef (Joint expeditionary force: giornalisticamente si è parlato di «Nato del Nord»), che coinvolge in posizione di leadership la Gran Bretagna e poi alcuni Paesi scandinavi (Norvegia, Danimarca), i tre baltici (Estonia, Lettonia, Lituania), e altre forze dell’Europa centrale (Olanda), più l’Islanda. Obiettivo? In questa circostanza, dare un segnale di vicinanza all’Ucraina e alla Polonia, ma anche marcare un ruolo britannico sui fronti Nord ed Est della Nato. L’Italia farebbe bene a non considerare con sufficienza o ostilità questa iniziativa, che sarebbe complementare - se noi fossimo capaci di fare altrettanto - a una corrispondente azione italiana sul versante mediterraneo, proponendoci in posizione di leadership sul lato Sud dell’Alleanza. Ma per il momento, a Roma (ne è testimonianza il recente trattato siglato in fretta e furia con Parigi) si è puntato su un rapporto privilegiato con la Francia, come si sa. A proposito di Italia. Ieri Giuseppe Conte si è affrettato a far sapere che non dirà no alla prima richiesta, quella finlandese: «La loro richiesta va compresa e valutata con attenzione: credo sia comprensibile che vogliano sentirsi rassicurati dall’adesione alla Nato. È chiaro che la cosa può avere delle implicazioni ma non mi sento di offrire una risposta negativa». Più di qualcuno - diciamo - ha ironizzato sul fatto che il mondo potesse stare con il fiato sospeso in attesa dell’orientamento dei grillini. Sorprendentemente scettico anche Giancarlo Giorgetti, titolare leghista del Mise: la sua preoccupazione è che l’ingresso degli scandinavi nella Nato non aiuti «ad abbreviare il conflitto» e «surriscaldi gli animi» a Mosca. In ogni caso va ricordato che il Parlamento italiano dovrà esprimersi sul tema (i trattati internazionali vanno ratificati). Gli eventuali malumori delle forze politiche, dunque, andranno attentamente monitorati.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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