2020-05-17
Il salvagente lanciato alle imprese terrà a galla solamente i giganti
Le garanzie statali a scapito del «contante subito» favoriranno un paradosso: i grandi, come Fca, ripartiranno. I piccoli meno.Tra le nazioni comparabili, proporzionalmente, l'Italia è quella che sta rendendo disponibile al mercato interno il volume più alto di garanzie statali all'accesso delle imprese al credito bancario, ma la quantità più bassa di liquidità d'emergenza e, soprattutto, di finanziamento risarcitorio a perdere. Lo scenario che deriva da questa configurazione degli interventi anti crisi, se mantenuta, fa ipotizzare il rischio di un'elevata mortalità per le pmi nell'ultimo trimestre 2020 e primo semestre 2021, che potrebbe avere effetti destabilizzanti sull'intera economia italiana. Pur per cenni, cerchiamo di capire tale rischio, e come ridurlo. Poiché le regole del merito di credito che le banche devono applicare non sono state modificate, è ipotizzabile che solo le grandi imprese potranno utilizzare la garanzia statale - con limite all'80 o 90% - di 400 miliardi, come, per esempio, ha appena fatto la Fca Italia per 6,5 miliardi. Lo potranno fare anche le medie e piccole se il loro merito di credito convincerà la banca che il 20 o 10% della quantità di prestito non coperta dallo Stato non supera una certa soglia di rischio, o se interviene un secondo garante. Per le grandi imprese che non hanno merito di credito è prevista la nazionalizzazione, oppure l'entrata dello Stato nell'azionariato, per esempio Alitalia. Man mano che si scende di scala aziendale e merito di credito (rating), per le banche aumenta il rischio. E queste certamente non lo prenderanno, anche perché memori di quanto successo tra il 2011 e il 2015: furono lasciate sole a gestire l'enorme quantità di insolvenze aziendali generata dall'applicazione depressiva del rigore e dal divieto di aiuto di Stato alle imprese nella megarecessione (solo) italiana 2012-2014 causata dal «virus tedesco». Mentre gli altri sistemi bancari furono salvati dai rispettivi Stati (in particolare Germania e Francia che si mossero in anticipo) all'Italia ciò non fu infatti concesso, perché non aveva i soldi per farlo e perché le era vietato generare ulteriore debito. È comprensibile che le banche italiane saranno estremamente prudenti. Ma tale prudenza lascia scoperte una gran massa di pmi, riducendo l'effetto salvifico della pur enorme garanzia annunciata. Il nuovo decreto prevede - se confermato - risarcimenti deproporzionali, simili a quello dei danni da sismi e simili, per le aziende sotto i 5 milioni di fatturato. A parte che sono insufficienti, l'ossatura del sistema economico italiano è fatta da piccole aziende con fatturato sopra i 5 milioni fino ai 30, e centro per molto indotto. Parecchie sono gioielli con riserva di cassa abbondante. Ma gran parte - in particolare quelle tra i 6 e i 12-15 milioni di fatturato - lavorano solo con circolante (cioè con capitale di lavoro fornito dalle banche) e il calo degli affari le mette in ginocchio. La cassa integrazione, la sospensione dei pagamenti fiscali e previdenziali e altre facilitazioni temporanee generate dal Dcpm le aiuteranno a resistere fino a settembre. Ma poi? Torneranno gli oneri in una situazione di ripresa lenta ed incerta. Queste unità aziendali, e il loro indotto, sono a massimo rischio come le micro. Se inseriamo i settori di turismo e ristorazione, ed altri che devono scontare una ripresa lentissima (se non il blocco fino a 2021 inoltrato), troviamo una grande attività economica senza ombrello. Aggiungiamo la probabilità scarsa che la ripresa delle attività economiche compensi tale gap di coperture: ecco che scatta l'allarme rosso. Bene che vada (scenario Banca d'Italia), il calo del Pil 2020 sarà vicino al 10% e, più importante, il rimbalzo nel 2021 solo la metà, cioè circa il 5%. Riportando tale macro numero nella matrice che differenzia settori e aziende, vediamo, in prima stima, un rischio di morte economica per il 25% circa delle unità economiche italiane. Ovvero un rischio incombente di danno strutturale, che eccede la capacità di riassorbirlo nel medio termine. Le misure finora adottate dal governo non sono sufficienti a coprire tale rischio. Infatti il Dcpm dovrebbe essere ribattezzato da «Rilancio» a «fino a settembre». Le altre nazioni comparabili hanno fatto i calcoli e hanno apportato montagne di liquidità immediata in buona parte «a perdere» e di garanzie al credito. L'Italia ha gonfiato le seconde e minimizzato le prime. Tale gap implica che i piccoli dovranno arrangiarsi da soli. Le banche un po' li aiuteranno, ma solo per il criterio di non farli fallire in troppi, e spalmare i fallimenti nel tempo in modo da renderli assorbibili nei bilanci degli istituti. A occhio, la metà che è a rischio inventerà una soluzione. Ma un'altra morirà e molteplici suicidi di piccoli imprenditori stanno anticipando questo destino. Se si riapre prima l'economia, forse la proporzione potrebbe migliorare. Non mi rivolgo al governo perché, pur con qualche eccezione, incapace e ideologico. Chiedo, invece, al Quirinale: presidente, se la sente di intervenire? Propongo un calcolo calibrato per evitare eccessi di indebitamento ulteriore: servirebbero altri 65 miliardi, in un nuovo decreto di settembre, tutti al servizio della tenuta, rilancio, consolidamento via fusioni, ecc., della piccola e micro impresa, mettendola al centro delle attenzioni dello Stato, e non a lato come sta facendo questo governo comunista anti sviluppo. Se no? Ci sarà vento.www.carlopelanda.com