
Respinta all’unanimità la procedura d’emergenza con cui la Commissione ha tentato di evitare il voto dell’Aula. E il Fmi avverte: «Tasse e tagli per sostenere quelle spese».Il trucchetto dello stato d’emergenza non funziona più. Ieri, la commissione giuridica del Parlamento europeo, all’unanimità dei 23 presenti, ha bocciato il sotterfugio con cui Ursula von der Leyen aveva provato a sottrarre il piano per il riarmo allo scrutinio dell’Eurocamera.Una randellata storica, visto che, nell’organismo, sono rappresentati tutti i gruppi politici. Incluso il Ppe, di cui fa parte la presidente della Commissione.«Non è stato un voto contro il ReArm», ha precisato Mario Mantovani, eurodeputato di Fratelli d’Italia-Ecr e vicepresidente della commissione Juri, «bensì un segnale forte rispetto alla procedura» adottata dall’esecutivo Ue. La quale, a parere dei componenti, «non è la base giuridica appropriata per questa proposta». Come recitava una nota di Fdi, «il Parlamento europeo ha correttamente difeso le proprie prerogative».Al fine di accelerare l’iter della sua agenda, dribblando l’Aula, la Von der Leyen si era appigliata all’articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. I suoi due commi, già invocati per attivare in fetta, durante la pandemia, il fondo Sure e il Recovery instrument, prevedono delle deroghe alle procedure ordinarie. Il primo stabilisce che «il Consiglio, su proposta della Commissione, può decidere, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, le misure adeguate alla situazione economica, in particolare qualora sorgano gravi difficoltà nell’approvvigionamento di determinati prodotti», specie in ambito energetico. Il secondo, ritenuto vieppiù calzante, dispone che, qualora «uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni un’assistenza finanziaria dell’Unione allo Stato membro interessato. Il presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo in merito alla decisione presa». I rappresentanti eletti, insomma, si riducono a meri spettatori. Peccato che gli onorevoli non si siano bevuti la storiella dell’urgenza inderogabile: «Non siamo di fronte al Covid», ha commentato ancora con La Verità Mantovani. «Non siamo in guerra». Almeno, non ancora: il 2030 è l’anno fatale, quello in cui, stando al vaticino di Ursula e compagnia, i russi attaccheranno l’Europa. Il Movimento 5 stelle, feroce oppositore del programma lanciato con la denominazione marziale di ReArm e poi ribattezzato, in modo più suadente, «Prontezza 2030», si è tuffato sul verdetto. «Il folle piano da 800 miliardi», ha tuonato Giuseppe Conte, «calpesta la democrazia e i governanti che lo hanno appoggiato - come la premier Giorgia Meloni - lo hanno fatto senza alcun mandato dei cittadini, scavalcando il Parlamento europeo. La bocciatura sul piano giuridico è un macigno contro questa Commissione europea con l’elmetto e tutti coloro che vogliono un’economia di guerra. Andremo fino in fondo in tutte le sedi per fermarli». La palla, in effetti, potrebbe passare addirittura alla Corte Ue.La decisione di ieri ha valore consultivo. Roberta Metsola, presidente dell’Eurocamera, dovrà però informare l’Aula durante la prossima plenaria. Dopodiché, la commissione Juri avrà facoltà di riferire all’emiciclo. Sarebbe logico attendersi una mediazione tra esecutivo e Parlamento, ma la politica maltese è titolata a presentare un ricorso ai giudici del Lussemburgo a nome dell’Eurocamera, o almeno a sottoporre tale ipotesi a un suo voto. Altrimenti Metsola - esponente dei popolari come la Von der Leyen - può osteggiare il parere dell’organo e deferire la questione alla conferenza dei capigruppo, che potrebbe a sua volta chiedere un parere alla plenaria. Data la compattezza mostrata ieri, viene difficile immaginare che sia possibile risparmiare al ReArm il sacrosanto vaglio parlamentare. D’altronde, i dubbi sui fantamiliardi della Von der Leyen serpeggiano pure tra i tecnocrati.Nello stesso giorno in cui la tedesca finiva sulla graticola a Bruxelles, da Washington, il Fondo monetario internazionale lanciava un monito sull’aumento delle spese per la Difesa: «Potrebbero emergere vulnerabilità di bilancio», ha avvertito l’organizzazione, «se i Paesi non riuscissero a delineare un piano credibile per finanziare gradualmente una maggiore spesa che includa un mix di aumenti delle tasse e tagli della spesa». Ecco. Occhio al portafoglio: gli 800 miliardi potrebbero venirli a prendere lì, intensificando la pressione fiscale e imponendo ulteriori sforbiciate a un welfare che già è asfittico.Inoltre, il Fmi ha ricordato che, per i singoli Stati, «è essenziale dimostrare un forte impegno per la sostenibilità e la prudenza di bilancio». Questa è la linea del nostro ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che al di là delle garanzie della Commissione, è preoccupato per l’impatto che altro debito potrebbe avere sui conti dell’Italia.Dettaglio di colore: l’altolà alla procedura d’emergenza per l’adozione del piano Ursula è stato votato in sala Spinelli. Ossia, colui che considerava un «bisogno» la guerra tra Europa e Russia. Chissà Romano Prodi a chi dovrà tirare i capelli, stavolta...
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.