
Il vice di Juan Guaidò, presidente autoproclamato del Paese e leader dell'opposizione contro il dittatore: «Militari in carcere e persecuzioni. Temiamo la guerra civile». Williams Davila, membro dell'Assemblea nazionale del Venezuela, è l'uomo più vicino a Juan Guaidò, di fatto il suo vice, ed è uno dei leader dell'opposizione contro il dittatore Nicolas Maduro. Ha anche un legame saldo con l'Italia: è membro del comitato scientifico dell'Istituto Milton Friedman. In ore convulse per Caracas e per il resto del suo Paese, ha accettato di conversare a tutto campo con La Verità, e ha rivolto un appello forte sia all'opinione pubblica, sia al governo italiano. Com'è la situazione ora nel suo Paese? «Siamo forse nel momento più delicato in assoluto. Sono arrivati e stanno ancora arrivando aiuti umanitari, cibo, medicine, di cui i venezuelani hanno assoluto bisogno. Gli aiuti sono alla frontiera con la Colombia. Ma per ora il regime è determinato a impedire alla popolazione di ricevere questi aiuti».Maduro ha fatto bloccare i ponti più importanti proprio per questo, e il regime continua a negare che il Paese abbia bisogno di alcunché. «Peggio. Non sappiamo che farà l'esercito se la situazione si aggraverà, che indicazioni riceverà dal regime, e se le farà rispettare…»Teme che proprio così possa innescarsi un incidente grave, un avvio di guerra civile?«Purtroppo è una possibilità concreta. Il regime potrebbe decidere di usare la forza per impedire alla gente di ricevere gli aiuti, provocando violenza e caos. E poi cercando di rovesciare la colpa sugli oppositori, additando noi come responsabili degli eventuali incidenti. Ditelo, spiegatelo che il controllo delle armi e l'uso della forza è tutto nelle mani del regime». Diventa più che mai decisivo il ruolo dell'esercito, a questo punto.«E' assolutamente necessario che l'esercito consenta alla popolazione intanto di ricevere cibo, medicine, soccorso. E che non accetti di partecipare ad attività violente e di repressione contro i cittadini». Ma può esserci una spaccatura nell'esercito? In fondo, tranne un pugno di oligarchi, anche i soldati condividono la fame e la miseria di tutti i venezuelani.«Sì, una spaccatura c'è. Già 200 militari sono stati imprigionati, chi dissente è oggetto di una persecuzione interna da parte del regime. Io confido nelle famiglie dei soldati, che vivono a loro volta il dramma e la povertà di tutti gli altri cittadini. La tragedia sociale del Venezuela colpisce anche loro».Domanda decisiva. Si può lavorare per l'esilio del dittatore?«Sarebbe la cosa migliore, anche per lui. Lasciare il Paese, con la sua famiglia. Se necessario, con il supporto della comunità internazionale, si può consentire a lui, ai suoi familiari, ai suoi, di andarsene. E di lasciare finalmente il Paese libero di riprendersi la libertà e di scegliere il proprio destino con libere elezioni». Ma cosa può accadere per arrivare a questo risultato senza spargimento di sangue?«Due cose. Che continui e, anzi, aumenti la massiccia mobilitazione dei venezuelani in piazza e nelle strade. E che cresca la pressione internazionale sul regime e sul dittatore. Senza incertezze e ambiguità». A questo proposito, lei ha fiducia nel gruppo di contatto riunito a Montevideo?»No, non serve a niente. E' una perdita di tempo. Anzi, consente al dittatore di guadagnare tempo, è utile alla sua strategia di comprare tempo, di alimentare confusione e di cercare qua e là sostegno internazionale». Voi vi sentite al sicuro dentro l'Assemblea nazionale o c'è da temere arresti o peggio?«Abbiamo una protezione, alcune guardie, ma il regime potrebbe decidere un'azione di forza. E' una possibilità che non siamo in grado di escludere, purtroppo. Maduro odia questa Assemblea, vorrebbe scioglierci, da due anni si è inventato un'altra assemblea per delegittimarci e creare confusione». Veniamo all'Italia. Il governo è diviso. Matteo Salvini vi sostiene, incontrerà una vostra delegazione nei prossimi giorni, mentre i Cinque stelle, storici sostenitori di Maduro, sono per la non ingerenza«Mi fa piacere che Salvini stia con la democrazia e i diritti umani».Alcuni, anche fra i Cinque stelle, dicono che non si può essere schiavi dell'imperialismo americano.«Ma qui abbiamo una dittatura! Non è questione di destra o di sinistra, di imperialismo o di penetrazione americana. E' una questione di violazione di diritti umani. E gli italiani lo sanno, qui c'è una grande comunità italiana che conosce la situazione, con imprese distrutte, aziende rovinate…»Rivolga un messaggio a chi parla di «neutralità».«Neutralità? Ma non puoi mai essere neutrale tra un regime e il popolo, tra una dittatura e le sue vittime, tra gli oppressori e gli oppressi. Non potete essere neutrali. Lo scriva. E' un peccato mortale. Mortal sin. Pecado mortal…».
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».
Antonio Scoppetta (Ansa)
- Nell’inchiesta spunta Alberto Marchesi, dal passato turbolento e gran frequentatore di sale da gioco con toghe e carabinieri
- Ora i loro legali meditano di denunciare la Procura per possibile falso ideologico.
Lo speciale contiene due articoli
92 giorni di cella insieme con Cleo Stefanescu, nipote di uno dei personaggi tornati di moda intorno all’omicidio di Garlasco: Flavius Savu, il rumeno che avrebbe ricattato il vicerettore del santuario della Bozzola accusato di molestie.
Marchesi ha vissuto in bilico tra l’abisso e la resurrezione, tra campi agricoli e casinò, dove, tra un processo e l’altro, si recava con magistrati e carabinieri. Sostiene di essere in cura per ludopatia dal 1987, ma resta un gran frequentatore di case da gioco, a partire da quella di Campione d’Italia, dove l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti è stato presidente fino a settembre.
Dopo i problemi con la droga si è reinventato agricoltore, ha creato un’azienda ed è diventato presidente del Consorzio forestale di Pavia, un mondo su cui vegliano i carabinieri della Forestale, quelli da cui provenivano alcuni dei militari finiti sotto inchiesta per svariati reati, come il maresciallo Antonio Scoppetta (Marchesi lo conosce da almeno vent’anni).
Mucche (iStock)
In Danimarca è obbligatorio per legge un additivo al mangime che riduce la CO2. Allevatori furiosi perché si munge di meno, la qualità cala e i capi stanno morendo.
«L’errore? Il delirio di onnipotenza per avere tutto e subito: lo dico mentre a Belém aprono la Cop30, ma gli effetti sul clima partendo dalle stalle non si bloccano per decreto». Chi parla è il professor Giuseppe Pulina, uno dei massimi scienziati sulle produzioni animali, presidente di Carni sostenibili. Il caso scoppia in Danimarca; gli allevatori sono sul piede di guerra - per dirla con la famosissima lettera di Totò e Peppino - «specie quest’anno che c’è stata la grande moria delle vacche». Come voi ben sapete, hanno aggiunto al loro governo (primo al mondo a inventarsi una tassa sui «peti» di bovini e maiali), che gli impone per legge di alimentare le vacche con un additivo, il Bovaer del colosso chimico svizzero-olandese Dsm-Firmenich (13 miliardi di fatturato 30.000 dipendenti), capace di ridurre le flatulenze animali del 40%.





