2021-09-20
Il referendum che dice sì all’omicidio
Se la battaglia dei radicali va in porto, non sarà più considerato un reato l'uccisione del consenziente. Così chi offre un aiuto a morire non finirebbe nemmeno sotto inchiesta. Come mostra il caso esemplare di un ragazzo siciliano.Il giudice Luca Coscioni: «Si parla molto di dolce morte, ma non c'entra nulla Si usano strumenti simili per far passare la cultura dello scarto».Lo speciale contiene due articoli.La sera del 25 agosto, sulla spiaggia di Punta Grande, a metà strada tra Porto Empedocle e Realmonte, in provincia di Agrigento, un ragazzo di 26 anni, Mirko Antonio La Mendola, viene trovato senza vita. La causa del decesso: un colpo di pistola alla tempia sinistra. Il calibro 9x21 del grosso revolver Beretta non gli ha lasciato scampo. Accanto al corpo c'era l'arma che ha sparato e dalla quale, hanno accertato gli investigatori, è partito un solo colpo. Era detenuta legalmente dal ragazzo, per uso sportivo. La delusione per un concorso in polizia finito male, poi, sembrava essere il pesante movente che avrebbe permesso di chiudere subito il caso. D'altra parte i giornali avevano già titolato in modo preciso: «Non supera il concorso in polizia e si spara». Facendo esplicito riferimento al ritrovamento di un bigliettino in cui Mirko avrebbe spiegato che la scelta di togliersi la vita era proprio legata all'insoddisfazione per non essere riuscito a superare il concorso nel quale fino a qualche settimana prima aveva creduto. Per un sogno infranto, insomma. Quella che sembrava una sentenza inappellabile, però, era, forse, solo una ricostruzione troppo frettolosa. Un'incongruenza saltata fuori dalle informative ha stoppato gli investigatori e impedito che il fascicolo finisse in archivio: Mirko non era mancino. E, senza un aiuto, non avrebbe potuto spararsi alla tempia sinistra. Una chat di Whatsapp, poi, ha permesso agli inquirenti di accedere ai messaggi agghiaccianti che la vittima si era scambiata con un amico minorenne di soli 16 anni. Si è scoperto che i due avevano un piano. E che, forse, il sedicenne avrebbe aiutato l'amico più grande a togliersi la vita. Ora l'inchiesta ha preso una piega completamente diversa: si indaga per l'ipotesi di «omicidio del consenziente». Sempre se un referendum abrogativo proposto dall'associazione Luca Coscioni, che viene propagandato come una battaglia per i diritti umani e che scade a fine settembre, non spazzi via quel reato dal codice penale. Rimarrebbe in piedi, stando al referendum, solo la parte che tutela minorenni, infermi di mente e persone alle quali il consenso sia stato estorto. Gli altri, in nome dei diritti umani, saranno liberi di farsi assassinare. Anche chi non ha gravi problemi fisici e patologie legate a stati irreversibili o a dolori insopportabili. Basterebbe quindi anche solo un momento di sconforto per chiedere a qualcuno di togliere la vita senza che ciò configuri un reato. Con quel ritocco al codice penale, insomma, il minorenne che avrebbe aiutato Mirko a morire non sarebbe finito sotto inchiesta.«Eutanasia», la chiamano quelli della propaganda referendaria. Ma finché la prima parte dell'articolo 579 non verrà abrogata, «chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui», è ancora scritto nel codice penale, «è punito con la reclusione da sei a 15 anni». Esattamente la pena che rischia chi ha aiutato Mirko a morire. Questa parte dell'inchiesta sembra essere ancora in una fase poco avanzata. La chat tra i due protagonisti pare contenga frasi che farebbero riferimento al coinvolgimento del minorenne che, per via dell'età, stando alle stesse valutazioni esplicitate dei due amici, non avrebbe rischiato nulla. Non solo: Mirko avrebbe perfino detto di riuscire a comprendere la situazione, qualora l'amico non se la fosse sentita di arrivare fino in fondo. Tutti aspetti che hanno aiutato gli inquirenti a costruire la nuova ipotesi: l'omicidio del consenziente, infatti, presuppone che il consenso della vittima sia «esplicito, non equivoco e perdurante sino al momento della commissione del fatto». Mirko avrebbe quindi dovuto esprimere la sua volontà di morire in modo chiaro e convincente. I due amici, tra uno smile e l'altro, conversavano sulla morte come se stessero commentando una partita di calcio. Con una naturalezza che, stando a quanto riportano i quotidiani locali, gli investigatori pare abbiano definito «sconvolgente». L'appuntamento per quella maledetta sera del 25 agosto era in spiaggia, con qualche birra. Ma si tratta sempre di dettagli saltati fuori da Whatsapp. Per ora non ci sono celle telefoniche né testimoni che provino in modo certo la presenza del ragazzino.I magistrati della Procura per i minorenni e quelli della Procura di Agrigento, per circostanziare l'accusa, oltre a disporre uno studio balistico (che andrà a completare il quadro che emergerà dalla consulenza autoptica) e un approfondimento sulle impronte digitali da prelevare sulla pistola e poi da comparare con il sospettato, hanno dato ai carabinieri l'indicazione di verificare l'esistenza o meno di polvere da sparo sulle mani, sul corpo e sugli indumenti del giovane deceduto con un accertamento tecnico che in gergo giudiziario viene chiamato «stub». L'esito negativo, secondo gli inquirenti, avvalorerebbe a quel punto l'ipotesi che l'amico minorenne abbia sparato il colpo su richiesta della vittima. Proprio come da accordi presi in chat. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-referendum-che-dice-si-allomicidio-2655061465.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="macche-eutanasia-questa-e-una-frode-da-etichetta" data-post-id="2655061465" data-published-at="1632078579" data-use-pagination="False"> Macché eutanasia. «Questa è una frode da etichetta» L'eutanasia è spesso presentata come una «dolce morte», l'atto di amore verso chi soffre. Questo è anche l'argomento principe dei promotori della proposta referendaria avanzata dall'associazione Luca Coscioni, ma il quesito solleva questioni giuridiche che a taluni fanno pensare addirittura allo sdoganamento dell'omicidio. «Siamo di fronte a una frode di etichetta», risponde Alfredo Mantovano, giudice di Cassazione e vicepresidente del Centro studi Livatino. «Viene denominato “referendum per l'eutanasia legale", ma in realtà il quesito, se approvato, renderebbe non punibile l'omicidio del consenziente, oggi sanzionato dall'art. 579 del codice penale» Ritiene troppo larghe le maglie del referendum? «Le sofferenze intollerabili e le malattie inguaribili sono fuori luogo: sono state alla base della sentenza del 2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato, ma qui non c'entrano nulla. In un ordinamento come il nostro in cui, con ragione, sono vietati gli atti di disposizione del proprio corpo, e le deroghe sono rigorosamente disciplinate - si pensi alla donazione di un rene fra vivi -, il quesito avrebbe della formalizzazione estrema della disponibilità della vita umana, a condizione che l'altro presti il consenso alla propria uccisione». Il referendum è in attesa di passare il vaglio di ammissibilità della Corte costituzionale, che peraltro il quesito chiama in causa riferendosi alla famosa sentenza Cappato/dj Fabo, ma è corretto ricondurre la legittimità del quesito a questa sentenza? «La Consulta ha dichiarato la parziale illegittimità dell'art. 580 cod. pen., e ritiene non punibile chi agevola l'esecuzione del suicidio purché il paziente abbia fruito di cure palliative, sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, sia affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili. La norma penale di riferimento è diversa da quella sottoposta a referendum e quest'ultimo, essendo abrogativo, ignora le già discutibili condizioni stabilite dalla sentenza del 2019». Sull'eutanasia, al momento, sul tavolo ci sono due carte: non solo il referendum, ma anche il disegno di legge Bazoli. Una miscela esplosiva o una valida alternativa? «Il “testo unificato" Bazoli si discosta in più punti dalla sentenza della Corte costituzionale, pur se i suoi sostenitori affermano di voler dare a essa puntuale attuazione: per esempio, fra i requisiti della morte medicalmente assistita, pone in alternativa alla “patologia irreversibile" di cui parla la Consulta, la “prognosi infausta", di cui invece la Consulta non parla. Ma una patologia a “prognosi infausta" non rinvia obbligatoriamente a condizioni terminali: vi sono pazienti oncologici con “prognosi infausta", ma le terapie loro praticate nei reparti di oncologia non costituiscono “accanimento terapeutico": permettono o di rendere tendenzialmente stabile la loro condizione, o comunque di guadagnare anni di vita, nella gran parte dei casi senza alterare in modo completo la qualità della vita. Altre differenze? Il ddl Bazoli non prevede come pre-requisito il ricorso alle cure palliative - ne fa cenno in termini vaghi - e non riconosce valore alla coscienza del medico che intenda sottrarsi a questa tipologia di pratiche, come la Corte impone. È dunque qualcosa di ulteriore rispetto alla sentenza, e sarebbe onesto ammetterlo». Di fronte a questo panorama, dal punto di vista politico cosa ci si può attendere? «Va sgombrato il campo da un equivoco. Il Parlamento non è vincolato a dare dettagliata esecuzione alla pronuncia della Consulta. Le norme sono l'esito di una valutazione politica che si svolge nelle aule di Camera e Senato: nulla formalmente impedisce di far seguire alla sentenza del 2019 una differente disciplina dell'art. 580 cod. pen., per esempio distinguendo fra la posizione di chi non ha alcun legame col paziente e coloro che invece da più tempo soffrono col paziente in virtù della costante vicinanza a lui; la seconda posizione è evidentemente diversa e tollera una sanzione meno grave, pur mantenendosi il giudizio negativo dell'ordinamento su ogni condotta di aiuto al suicidio». Quindi? «Niente preclude di adeguare le sanzioni alla diversità dei casi concreti, fermo restando il giudizio di disvalore verso la soppressione di una vita umana: è il senso della proposta di legge che reca come prima firma quella di Alessandro Pagano. La nuova disciplina dovrebbe poi rendere effettivo il ricorso alle cure palliative, come è richiesto dalla Consulta, con la presa in carico del paziente da parte del Servizio sanitario nazionale al fine di praticare un'appropriata terapia del dolore». Se il combinato disposto del referendum e del ddl Bazoli finiscono per rendere la vita come un bene disponibile, cosa significa per la nostra civiltà? «Significa questo: che ammiriamo i disabili che partecipano ai Giochi paralimpici, ma l'empatia si affievolisce se il disabile che non brilla nello sport, e quindi è meno attraente e più carico di problemi, si avvicina al cerchio di sicurezza che abbiamo tracciato attorno a noi. Prendiamo in parola l'anziano che, lasciato in compagnia della sua solitudine e della nostra indifferenza, vede accentuati i malanni dell'età e si chiede perché il Signore non lo lasci andare: ho il rimedio per te - gli rispondiamo -, che non è dedicarti qualche minuto di tempo, ma garantirti una fine indolore. Senza comprendere che quella domanda di morte esige in realtà la nostra attenzione e la nostra vicinanza vera, e retrocede se queste ci sono. Non leggiamo la disperazione del familiare che trascorre senza aiuto anni a fianco a quell'anziano, e per questo anche in tv è pronto - non sempre - a sollecitare strumenti che facciano cessare lo strazio: andrebbe allo stesso modo se avesse avuto o se avesse sostegni concreti? Referendum, sentenze e “testi unificati" sono gli strumenti di questa cultura dell'ipocrisia e dello scarto. È l'allontanamento da sé di ciò che vale, e per questo costa. È la rinuncia ad amare».
Pedro Sánchez (Getty Images)
Alpini e Legionari francesi si addestrano all'uso di un drone (Esercito Italiano)
Oltre 100 militari si sono addestrati per 72 ore continuative nell'area montana compresa tra Artesina, Prato Nevoso e Frabosa, nel Cuneese.
Obiettivo dell'esercitazione l'accrescimento della capacità di operare congiuntamente e di svolgere attività tattiche specifiche dell'arma Genio in ambiente montano e in contesto di combattimento.
In particolare, i guastatori alpini del 32° e i genieri della Legione hanno operato per tre giorni in quota, sul filo dei 2000 metri, a temperature sotto lo zero termico, mettendo alla prova le proprie capacità di vivere, muoversi e combattere in montagna.
La «Joint Sapper» ha dato la possibilità ai militari italiani e francesi di condividere tecniche, tattiche e procedure, incrementando il livello di interoperabilità nel quadro della cooperazione internazionale, nella quale si inserisce la brigata da montagna italo-francese designata con l'acronimo inglese NSBNBC (Not Standing Bi-National Brigade Command).
La NSBNBC è un'unità multinazionale, non permanente ma subito impiegabile, basata sulla Brigata alpina Taurinense e sulla 27^ Brigata di fanteria da montagna francese, le cui componenti dell'arma Genio sono rispettivamente costituite dal 32° Reggimento di Fossano e dal 2° Régiment étranger du Génie.
È uno strumento flessibile, mobile, modulare ed espandibile, che può svolgere missioni in ambito Nazioni Unite, NATO e Unione Europea, potendo costituire anche la forza di schieramento iniziale di un contingente più ampio.
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