2023-02-16
        Il Reddito   alla Consulta e nel mirino della Ue
    
 
Il tribunale di Foggia accoglie un’eccezione di incostituzionalità sul sussidio caro ai grillini. Per il quale è aperta una procedura di infrazione contro Roma: l’Unione lo considera discriminatorio verso gli stranieri.Durante l’analisi di un procedimento in cui è coinvolto un imputato considerato un furbetto del Reddito di cittadinanza, il Tribunale di Foggia ha scovato un bug che potrebbe smantellare la legge voluta dal Movimento 5 stelle e che il governo attuale manderà in pensione nel 2024: uno degli articoli, valuta il giudice Marialuisa Bencivenga, presenterebbe «una disarmonia nella norma», nonché «una falsa applicazione della stessa». E quindi ha inviato gli atti alla Corte costituzionale e notificato l’ordinanza al presidente del Consiglio Giorgia Meloni, disponendo anche «che sia comunicata ai presidenti di Camera e Senato». La questione non è di poco conto, perché è ancorata a una delle caratteristiche necessarie per ottenere il beneficio, ovvero i limiti di reddito previsti dalla legge. I fatti. Un percettore del Reddito con il gioco online era riuscito a incassare una discreta somma, non in un’unica soluzione e spalmata nel corso di diversi anni. Il finto Gastone, che in sostanza ha sommato tante piccole vincite che non gli hanno permesso di cambiare il tenore di vita perché investite di nuovo nel gioco, si è ritrovato la notifica dell’Inps con la quale gli è stato revocato il bonus e pure un avviso di garanzia con un’accusa precisa: avrebbe omesso di dichiarare le vincite al gioco e, quindi, anche la variazione di reddito pari a 160.000 euro. La Procura ha quindi chiesto il suo rinvio a giudizio. E davanti al giudice dell’udienza preliminare, dopo le eccezioni sollevate dal difensore, l’avvocato Oreste Di Giuseppe, il procedimento si è incagliato. La disposizione legislativa con cui è stato istituito il Reddito di cittadinanza all’articolo 3 prevede l’obbligo di comunicare le variazioni patrimoniali. Ma, stando all’avvocato, «le disposizioni richiamate risultano sprovviste di quella chiarezza e tassatività, nonché di idonea intelligibilità, che sono richieste obbligatoriamente in ogni norma giuridica e, ancor più, nelle norme dalla cui applicazione derivano nuove e specifiche fattispecie di reato». Argomenti che il giudice del Tribunale di Foggia ha condiviso in pieno, ritenendo «senz’altro rilevante» la questione. L’articolo 3 del decreto legge, in sostanza, entrerebbe in contrasto con alcuni principi dettati dalla Costituzione: quelli fondamentali «del diritto in generale e del diritto penale in particolare, tra cui il principio di legalità e tassatività (che sancisce come il fatto penale debba essere individuato dettagliatamente nei suoi estremi, ndr)». E anche il pubblico ministero si è trovato d’accordo, ritenendo «non manifesta infondatezza nella questione di legittimità costituzionale» e valutando quanto eccepito come «un contrasto interpretativo». Dove si anniderebbe il cortocircuito? La norma da un lato «richiama l’obbligo di comunicare le variazioni di reddito e patrimonio», dall’altro include la locuzione «altre informazioni dovute e rilevanti, senza fare alcun riferimento su cosa debba essere ricompreso in queste “altre informazioni”», sottolinea il giudice. E, soprattutto, la disposizione di legge, così come è scritta, «non indica in alcun modo», evidenzia il giudice, «le modalità con le quali comunicare le variazioni in cui vengono fatte rientrare anche le vincite da gioco». Un dettaglio che è presente nel modello per le comunicazioni predisposto dal ministero del Lavoro, ma non nel testo legislativo. L’unico riferimento giuridico alle somme vinte al gioco legate al reddito risale al Testo unico delle imposte sui redditi del 1986. «La circostanza più grave», scrive il giudice nell’ordinanza, «è che si tratta di un testo piuttosto datato, che non tiene in conto tutte le nuove forme di giochi, compresi quelli online, che hanno meccanismi e procedure diverse oltre che più celeri e immediate». E questo comporterebbe, secondo il giudice, «la circostanza per cui in sede Isee (l’indicatore che serve per valutare la situazione economica di una famiglia, ndr) venga dichiarato un reddito che in realtà non è di fatto esistente per il cittadino» e che quindi in quel momento «non rappresenta una sua capienza economica». La toga a questo punto spiega meglio la faccenda: «Sommando più giocate di pari importo il reddito del cittadino risulta sulla carta altamente incrementato, facendo così fuoriuscire lo stesso dai parametri previsti per ottenere il sussidio statale, mentre di fatto il giocatore non ha incrementato in tal modo la sua ricchezza». Una interpretazione contraria andrebbe a imporre indirettamente al percettore del Reddito di cittadinanza di non giocare. La revoca del bonus dovrebbe quindi intervenire solo quando, in concreto, i limiti di reddito previsti vengano superati. Ecco perché il giudice parla di «disarmonia nella norma» e anche di «una falsa applicazione della stessa». L’Inps, però, sospende il beneficio e richiede la restituzione di quella che ritiene una percezione indebita. L’ennesimo pasticcio targato 5 stelle.
        Luciana Littizzetto (Getty Images)
    
Hartmut Rosa (Getty Images)
        Luca Palamara (Getty Images)