
Se, come ha anticipato Gian Carlo Giorgetti, in ottobre i titoli di Stato balleranno, possiamo puntare a due strumenti di copertura. Uno è Donald Trump, l'altro sono i risparmiatori italiani. Per incentivarli, zero capital gain a fronte di investimenti a lungo termine.Se rispondessero al vero le indiscrezioni di una previsione di attacchi speculativi sui nostri titoli di Stato confidata ai più stretti collaboratori da parte del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gian Carlo Giorgetti, la messa a punto di un piano antispread sarebbe senz'altro necessaria: non avendo l'Italia una sua Banca centrale, ed emettendo debito in una valuta sostanzialmente assimilabile a una straniera (l'euro), qualche cautela in più è d'obbligo. Soprattutto in queste ore di turbolenza sui mercati finanziari dovuti al caso Turchia, la quale dal canto suo ci insegna prima di tutto che l'entità del debito pubblico in sé nulla ci dice in merito alla capacità di prevenire crisi finanziarie dal momento che il debito di Ankara è inferiore al 30% del Pil. Mentre invece ciò che più conta è il debito in valuta estera (per definizione «non controllabile»), che in cinque anni è aumentato dal 38% ad oltre il 50% del Pil, in una situazione di perenne deficit della bilancia commerciale. In pratica, la Turchia costretta a domandare valuta estera per sostenere un import cronicamente superiore all'export.Se siamo quindi di fronte al rischio una possibile guerra, servono dunque alleati. Almeno due: Donald Trump da una parte e i nostri risparmiatori dall'altro. Il governo di Washington ha da tempo messo la Germania nella lista dei Paesi «manipolatori del cambio». Il surplus commerciale di Berlino - negli ultimi dieci anni mediamente pari a 250 miliardi di dollari, superiore a quello di Pechino - è ciò che ha spinto la Casa Bianca a muovere la sua guerra dei dazi contro l'Europa in generale e la Germania in particolare. L'euro è di fatto un marco svalutato per Berlino, grazie alla media fra i valori dei suoi fondamentali macroeconomici e quelli dei Paesi mediterranei. Oggi servono circa 1,15 dollari per acquistare 1 euro. È ragionevole dedurre che, qualora la Germania avesse il marco, il suo prezzo in termini di dollari potrebbe rivalutarsi di un buon 20-30%: 1,38-1,50 dollari. In soldoni, per il portafoglio di un consumatore americano una Bmw euro costerebbe fra i 48.000 ed i 53.000 dollari invece degli attuali 40.000 circa. Ecco che, vista dalla prospettiva di Washington, la dissoluzione dell'euro - che oggi assicura alla Germania indiscutibili vantaggi commerciali - potrebbe addirittura essere un buon affare. Molte ricostruzioni giornalistiche, tra cui quelle apparse sulla Verità, hanno raccontato di un intervento pesante nel rastrellare titoli di Stato italiani nei giorni di turbolenza durante la nascita del governo gialloblù da parte di investitori statunitensi. Bridgewater, Blackrock, Pimco, Aqr e altri potrebbero in futuro tornare ad acquistarne altri, se necessario. Questa sembra infatti essere una delle richieste formulate a Donald Trump dal premier Giusepe Conte. Washington, a sua volta, potrebbe vedere di buon occhio una maggior libertà di manovra del nostro esecutivo in chiave soprattutto antitedesca. Ma cosa rischierebbero gli investitori americani qualora, in extrema ratio, deflagrasse la zona euro? È da escludere una significativa svalutazione, dal momento che il nostro surplus commerciale con gli Stati Uniti ammonta ad oggi a circa 25 miliardi di euro contro i quasi 10 del 2011. Gli Usa stanno cioè domandando euro contro dollari per acquistare i nostri prodotti. Difficilmente l'eventuale «nuova» lira si svaluterebbe: ciò ci darebbe un ulteriore vantaggio commerciale che Trump sarebbe difficilmente disponibile ad offrirci. Gli investitori americani che acquistassero titoli nostrani correrebbero quindi un rischio di ridenominazione molto limitato. E non essendoci un rischio default in caso di ritorno alla lira (dovuto alla garanzia implicita di una Banca centrale nazionale), gli investitori Usa dovrebbero misurarsi soprattutto col rischio di tasso, come normalmente avviene acquistando obbligazioni. Ma accanto a Trump il nostro esecutivo potrebbe facilmente guardare anche ad altri importanti alleati; i nostri risparmiatori, che con circa 3.400 miliardi di euro in ricchezza finanziaria netta detengono direttamente poco più di 100 miliardi del nostro debito pubblico. Cui vanno ovviamente aggiunte le loro quote di fondi comuni che hanno in portafoglio titoli pubblici. Potrebbe essere interessante prevedere, e questa è la seconda mossa, una completa esenzione fiscale sui guadagni in conto interesse e capitale, attualmente prevista nell'entità del 12,50%, per i possessori residenti che detengano i titoli per almeno 36-48 mesi, equiparandoli quindi ai non residenti che già godono di questo vantaggio fiscale, indipendentemente dalla durata dell'investimento. Questo determinerebbe nei fatti un maggior interesse nell'acquisto dei titoli da parte degli investitori domestici, attratti da un più elevato rendimento netto, ma anche una maggiore stabilità per l'ovvia convenienza nel conservarli in portafoglio. Avere creditori cassettisti mitigherebbe la volatilità dei nostri bond, dando al governo la necessaria libertà e flessibilità di manovra per attuare vere politiche anticicliche. Gli strumenti per affrontare le tempeste ci sono, basta organizzarsi in tempo come si conviene alle navi che si accingono ad affrontare i pericoli del mare aperto.(Ha collaborato Antonio Maria Rinaldi)
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