
Calo del 30%, il più ampio dalla guerra del Golfo: se continuerà, finirà fuori mercato il greggio americano estratto con il fracking. In bilico anche i piani per spingere le più costose energie verdi.I prezzi del petrolio sono crollati ieri per arrivare a toccare i livelli più bassi dal 2016 dopo che il gigante petrolifero saudita, Aramco, ha fatto sapere di voler tagliare i prezzi del greggio, una mossa che intensifica lo scontro tra Ryad e la Russia e minaccia di scatenare un torrente di greggio in mercati energetici già in eccesso di offerta.Il prezzo di un barile di petrolio europeo, il Brent, ieri è sceso a 36 dollari, mentre quello del greggio americano ha toccato quota 33 dollari al barile. In una manciata di secondi il greggio è quindi crollato del 30%, un tonfo che quasi non ha precedenti nella storia. Per vedere una caduta così repentina, infatti, bisogna tornare indietro al 1991, ai tempi della guerra del Golfo. La mossa saudita fa parte di una campagna aggressiva per strappare parte della quota di mercato di Mosca, secondo i delegati dell'Opec, e arriva dopo una partnership durata anni tra alcuni dei maggiori produttori di petrolio del mondo, tra cui l'Arabia Saudita e la Russia.La collaborazione, va ricordato, si è interrotta la scorsa settimana quando le parti non sono riuscite a raggiungere un accordo sui tagli alla produzione per sostenere il prezzo del petrolio di fronte al rallentamento economico legato al coronavirus.Con la mossa dell'Aramco è partita dunque la corsa per la supremazia dell'Arabia Saudita, una posizione che Mosca non ha certo intenzione di perdere tanto facilmente. Con le quotazioni dell'oro nero in ribasso, Mosca ha già fatto sapere di essere disposta a bruciare le proprie riserve valutarie pur di non lasciar vincere gli avversari e di essere in grado di resistere fino a dieci anni con il petrolio a 25-30 dollari. In poche parole, i russi hanno già fatto sapere che preferiscono bruciare denaro piuttosto che perdere lo scettro del mercato. D'altronde questa è una gara a tre in cui il terzo incomodo sono gli Stati Uniti. Da un lato, infatti, per i russi petrolio fa rima con gas e Mosca è decisamente intenzionata a non perdere punti nemmeno verso Washington, ritenuta un pericoloso avversario quando si tratta di produrre gas. In questo frangente, però, la mossa dei sauditi è stata pensata per danneggiare i due ex protagonisti della guerra fredda. Russia e Stati Uniti infatti estraggono petrolio attraverso il sistema del fracking, una tecnica molto costosa che, ai livelli attuali del greggio intorno ai 30 dollari, rischia di non essere più conveniente (è vantaggiosa quando il prezzo è superiore ai 50 dollari) perché i guadagni verrebbero erosi dai prezzi di saldo imposti non a caso da Ryad. In realtà la mossa dei sauditi non è arrivata a sorpresa. Anche prima del fallimento dei negoziati, il prezzo del petrolio era già in calo a causa delle paure degli investitori (poi confermate) per cui l'Arabia Saudita avrebbe potuto decidere per un aumento della sua produzione. Già a dicembre il prezzo del petrolio era a 66 dollari a barile, prima di arrivare ai circa 40 dollari a barile degli ultimi giorni. In realtà, però, gli analisti di Moneyfarm ritengono che non ci vorrà molto prima di vedere dei rialzi. «Per il 2020, la nostra visione resta conservativa, indipendentemente da tensioni legate al virus o da tensioni geopolitiche», affermano. Prezzo medio, dunque, a «60 dollari». «La domanda di greggio era già debole a causa dell'impatto del coronavirus, pertanto la decisione dell'Arabia Saudita di aprire i rubinetti ha determinato uno shock aggiuntivo dal lato dell'offerta», spiega Shamik Dhar, capo economista di Bny mellon investment management, «Al momento non sembra che questo sviluppo sarà limitato al breve periodo, anche se è difficile prevedere quanto durerà. Il calo del prezzo del barile è positivo per i Paesi che importano petrolio: si stima che, per ogni 10 dollari di riduzione del prezzo, ci sia un trasferimento dello 0,3% del Pil globale dai Paesi produttori a quelli consumatori. Pertanto, se questi ultimi dovessero incrementare i consumi più di quanto i Paesi produttori taglino i propri investimenti, l'effetto netto sarebbe positivo per l'economia globale».Al contrario, la mossa saudita rischia di affossare non poco l'economia russa. Circa metà del bilancio pubblico russo, ad esempio, è finanziato con i proventi dell'industria petrolifera e del gas, mentre la situazione è altrettanto sbilanciata per diversi Paesi africani e sudamericani. A tutto questo si aggiunga anche una riflessione sulle energie rinnovabili. Se i livelli del greggio dovessero stabilizzarsi a lungo, l'interesse da parte di molti colossi industriali verso le energie più verdi, di solito ritenute poco efficienti e costose, potrebbe scemare con un ritorno all'amore per gli idrocarburi, oggi offerti a prezzi di saldo. Del resto, i consumatori potrebbero trarre non poco vantaggio da questa situazione. «Spenderanno meno per la benzina e avranno più da spendere per altri prodotti», dice Randeep Somel, direttore dell'azionario globale, team azionario di M&G investments, «Sarà positivo anche per altre industrie, come le compagnie aeree, che hanno visto diminuire la domanda a causa del coronavirus, ma che ora vedranno diminuire anche i loro costi più alti».
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