2019-08-15
Il perno dell’inciucio? È l’ennesimo arrocco sul dogma dell’Europa
La base del «modello Ursula»: no a frizioni con la Commissione. Il modo migliore per non affrontare i nodi della costruzione Ue.«Il punto resta l'Italia europea». Non è chiarissimo cosa significhi di preciso (esistono Italie non europee? Europe senza Italia?), ma il passaggio di una recente nota del Servizio di informazione religiosa (leggibile qui: bit.ly/2KHLsCy) sintetizza piuttosto bene il punto di caduta del giudizio medio su cui poggiano le istituzioni e i poteri italiani in questa delicatissima fase istituzionale.Prosegue infatti il documento pubblicato dall'agenzia legata alla Cei, facendo riferimento alla necessità di blindare l'assetto «europeo» del Paese: «Questo è il vero pericolo, il motivo di preoccupazione strutturale. Fortunatamente il robusto vincolo esterno era stato immaginato da Giulio Andreotti e da Guido Carli, nell'ormai lontano 1992, proprio come un solido ancoraggio di un'Italia che aveva ormai perso la stabilità politica garantita dal Muro di Berlino». Un elogio cattolico del vincolo esterno è obiettivamente una novità rilevante. Ieri, non a caso e con ogni probabilità in coordinamento con il Quirinale, due personalità fondamentali nella storia recente dell'Italia come Giuseppe Guzzetti e Giovanni Bazoli hanno rilasciato alcune dichiarazioni a Famiglia Cristiana: «Putin sostiene che il sistema democratico-liberale è finito e che si sta spostando dal tradizionale liberalismo occidentale al populismo nazionale [...] Pure in Italia rischiamo di finire trascinati in una visione di questo genere».Del resto, se c'è un filo comune che lega il rapido riavvicinamento Pd-M5s, la «benedizione» che pare arrivare da ambienti ecclesiastici al «governo istituzionale» proposto da Matteo Renzi e il «cordone sanitario» che il presidente Sergio Mattarella ha teso da subito attorno all'esecutivo gialloblù (con i ministri a lui più direttamente collegati) è quello dell'«Italia europea». Qui però entra uno dei più grossi equivoci che hanno caratterizzato il dibattito pubblico degli ultimi anni: quello per cui Europa e Unione europea si equivalgano, e l'appartenenza alla prima (che è un fatto storico, culturale e geografico piuttosto ineludibile) coincida con l'impossibilità a sindacare le modalità di governo della seconda.A poche ore dalle bellicose grida di Salvini la grande giustificazione alla base del tentativo di formare un nuovo governo per impedire il ricorso alle urne si è fondata, negli editoriali e negli interventi di molti politici, nella necessità di limitare il rischio che le elezioni ci portino «fuori dall'Europa»: una chiamata alle armi così forte da cancellare differenze e insulti tra M5s e Pd protrattisi per anni. Non è un caso, del resto, che la rottura tra Carroccio e grillini sia arrivata al dunque dopo il voto favorevole alla Commissione di Ursula von der Leyen da parte della delegazione parlamentare del Movimento 5 stelle, che ha vanificato il tentativo salviniano di minare alla base il futuro governo dell'Ue. Come noto, se i grillini non avessero appoggiato l'ex ministro della Difesa - votata a Strasburgo anche da Forza Italia e Pd -, si sarebbe registrata una bocciatura che avrebbe cambiato molti equilibri con potenti ricadute anche per l'Italia.È andata diversamente, ed è difficile non mettere in relazione lo strappo agostano di Salvini con la promessa di Luigi Di Maio (lo stesso della festa sul balcone per il 2,4%) di voler evitare lo scontro con l'Europa in sede di manovra 2020 sul deficit da impegnare per il rilancio dell'economia.Ecco il punto: aderire al modello di governo dell'economia dell'eurozona così com'è stato impostato (parametri, output gap, tetto al deficit, procedure d'infrazione, Mes) proprio mentre la Germania potrebbe prepararsi, sulla spinta di dati di crescita allarmanti, a metterlo in discussione, è la cosa migliore per il Paese? Ovviamente nessuno può cavarsela con una risposta univoca, ma è un fatto che gli elettori - nell'unico modo possibile - nel maggio scorso hanno indirettamente espresso qualche dubbio in merito. Non è eccessivo dire che sommando i voti di Lega, M5s e Fratelli d'Italia, tutti propugnatori di un messaggio di sfida allo status quo dell'Unione, si raggiunge una maggioranza di cittadini «insoddisfatti», senza che per questo siano catalogabili nelle banali gabbie del «no euro». Ignorare questo dato è forse più in attrito con la democrazia rispetto al fatto di non andare a votare in autunno, dal momento che se ci sono maggioranze possibili è del tutto normale che il capo dello Stato dia loro credito come ha fatto nel maggio 2018 (sulla coerenza, poi, ognuno giudicherà). Ma se la risposta alla crisi di legittimità è un arrocco sistemico, il cui esito - al di là delle combinazioni partitiche - è blindare l'adesione acritica dell'Italia all'Unione e un atteggiamento comunque conciliante con la Commissione Ue per evitare ritorsioni, c'è un grosso rischio all'orizzonte. E cioè aumentare ancor di più la stessa dinamica che ha portato alla formazione dell'asse Salvini-Di Maio. Confinare nel recinto prepolitico dei dogmi tutto ciò che riguarda l'Unione europea prolunga l'epochè su tutto ciò che riguarda gli interessi alla base delle più decisioni politiche della Commissione Ue; sulle scelte dell'Eurogruppo, sul nodo irrisolto della Bce, sulle frizioni tra il dettato costituzionale e la traduzione dei vincoli europei. Con il paradosso che a porre i problemi reali resti chi spesso fatica ad avere il linguaggio, la cultura, gli uomini capaci di risolverli, mentre i «competenti» guardano altrove.
Era il più veloce di tutti gli altri aeroplani ma anche il più brutto. Il suo segreto? Che era esso stesso un segreto. E lo rimase fino agli anni Settanta