2020-01-28
Il Pd non ha perso l’Emilia Romagna arruolando i pentiti del grillismo
Lucia Borgonzoni è stata sconfitta da Stefano Bonaccini, che è stato capace di attrarre i pentastellati delusi e sgonfiare il Movimento dal 27% del 2018 al 3,5. Piacenza è leghista (59%) ma Bologna, Modena e Reggio restano rosse. La roccaforte rossa ha tenuto. Merito di Stefano Bonaccini, vero vincitore di queste elezioni regionali. Riconfermato presidente, allunga di un ulteriore lustro il cinquantennale dominio della sinistra sull'Emilia Romagna smentendo nefasti sondaggi della vigilia. Ha pesato la disfatta del M5s: Bonaccini ha intercettato tutti i voti in uscita dai grillini e ha recuperato dall'astensionismo. Ci saranno ricadute sul piano nazionale: non immediate come si attendeva Matteo Salvini, di certo non positive come si augura il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, che non può mostrare le penne del pavone. A sinistra c'è solo un trionfatore: Bonaccini, che con il suo «partito personale» e tenendo il Pd quanto più distante possibile ha colmato il gap con la Lega manifestatosi alle europee un anno fa e l'ha sorpassata aumentando - a fronte di un raddoppio dei voti espressi - la percentuale del 49% con cui era stato eletto cinque anni fa. La partita tra lui e Lucia Borgonzoni è finita 51,4% a 43,6%. Il distacco è di 181.000 voti. Bonaccini ha preso quasi il 3,5% in più di voti personali rispetto alla sua coalizione, che si è fermata al 48,1%. La Borgonzoni ha perso circa il 2% rispetto alla coalizione, che ha totalizzato il 45,4%. Questo ha aperto già un profondo dibattito nel centrodestra, dove c'è chi può inorgoglirsi: Giorgia Meloni. Dalle Regionali del 2014 a quelle di domenica, ha portato Fratelli d'Italia da 1,9 a 8,6%. La Meloni oggi pone un qualche problema alla Lega, che quasi raddoppia i voti rispetto al 2014 però perde il 10% del suo elettorato nel confronto con le europee 2019, subendo il controsorpasso da parte del Pd (che torna primo partito). La disfida fra Pd e Lega è finita 34,7% a 32%, con un distacco di 59.000 preferenze. Ma l'elemento destabilizzante nel quadro politico è - come detto - la dissoluzione del M5s. Bonaccini incassa: «Abbiamo vinto, serva di lezione e auguriamoci che l'Italia nel futuro assomigli all'Emilia Romagna». Il riconfermato presidente pone la questione della collocazione del Pd nell'alleanza di governo e, se Nicola Zingaretti convertitosi al proporzionale si è prostrato in entusiastici ringraziamenti verso le sardine (convinto che l'affluenza massiccia sia merito dello sciame ittico), Bonaccini è di tutt'altro avviso: vuole un Pd maggioritario ed egemone Ci sarà un'inevitabile resa dei conti tra i due. Zingaretti ora deve far da badante ai pentastellati che sono allo sbando. Vito Crimi, il reggente grillino, ha subito rivendicato: «Si riparte», cercando di difendere l'indifendibile. Il Movimento 5 stelle ha raccolto col candidato Simone Benini il 3,5% e, come lista, il 4,7%: poco più di 100.000 voti. L'Emilia Romagna è la regione dove debuttarono con il primo «Vaffaday». Nel 2014 alle regionali presero il 13%, alle politiche del 2018 arrivarono al 27,54% e i loro parlamentari che oggi reggono il governo di Giuseppe Conte sono frutto di quel risultato monstre, quando il Pd toccò - al 26,3% - il suo minimo storico. Già alle europee il M5s aveva dimezzato i voti (12,89%) ma domenica è stato annientato. Proiettandosi in chiave Palazzo Chigi, i reduci del grillismo cercheranno di far pagare al Pd il prezzo più alto possibile. Perché - detto del rischio d'estinzione per consunzione di Forza Italia, arrivata al 2,6%, il che significa più che dimezzare i voti delle europee e ridursi a un quarto delle politiche - è chiarissimo che Bonaccini ha cannibalizzato tutto il voto pentastellato che in Emilia Romagna è da sempre orientato a sinistra. L'aver prosciugato i grillini, se a Bonaccini consente di rivincere, al Pd nazionale pone un serio problema di convivenza col Movimento. Non a caso Zingaretti continua a parlare della costruzione di un campo progressista mentre dall'Emilia Romagna viene la richiesta di un Pd «veltronianio» delle origini: a vocazione maggioritaria, anche per sterilizzare il fenomeno delle sardine. A vantaggio del Pd ha giocato anche l'affluenza alle urne. Domenica ha votato il 67,67% degli aventi diritto, 30 punti in più rispetto alle precedenti regionali, in linea col voto delle europee ma con una differenza: stavolta le punte di affluenza maggiori si sono avute nelle tre città feudo di Bonaccini ossia Bologna, Modena e Reggio Emilia. È lì che il Pd ha vinto. A Piacenza, Ferrara, nella Bassa, nella Romagna la Lega è ancora il primo partito, ma ha scontato un gap di minore partecipazione. A confermarlo sta anche il dato di due luoghi che Matteo Salvini aveva scelto come simboli della sua campagna: Bibbiano e il Pilastro a Bologna. A Bibbiano Bonaccini ha preso il 56% dei voti e il Pd il 40%, la Borgonzoni si è fermata al 37% e la Lega al 29%. Al Pilastro il Pd ha raccolto il 41%, Bonaccini il 65%. Una consolazione è la vittoria schiacciante della Borgonzoni (con il 70% dei voti) a Bettola, paese di Pier Luigi Bersani. Dati alla mano, Piacenza è la provincia più leghista dell'Emilia Romagna con il 59% di voti dati alla Borgonzoni. È da lì che vuole ripartire Matteo Salvini, che ha ammesso subito la sconfitta ma non si dà per vinto: «Rifarei tutto, anche il citofono. Per la prima volta in Emilia Romagna c'è stata partita. E ora cinque anni di opposizione, per vincere la prossima volta».