2020-12-23
«Il nuovo piano pandemico non c’era e nessuno ha pensato di usare il vecchio»
Claudio D'Amario (IStock)
Parla Claudio D'Amario il direttore della Prevenzione del dicastero della Salute che ha affrontato la prima emergenza Covid: «A dicembre 2019 notammo molte polmoniti anomale»Claudio D'Amario è l'uomo che si trovava al vertice della Prevenzione del ministero della Salute quando il coronavirus è arrivato in Italia. È stato, insomma, tra i primi a dover fronteggiare praticamente l'emergenza. Nei giorni scorsi il viceministro Pierpaolo Sileri lo ha criticato molto duramente, mettendolo nel novero dei dirigenti «sciatti» che non avrebbero, tra le altre cose, aggiornato il piano pandemico italiano, fermo al 2006. D'Amario, a differenza di tutti gli altri, non ha avuto però timore di confrontarsi con i giornalisti. Parla, e lo fa con chiarezza. «Io sono un manager. Sono arrivato al ministero nel febbraio 2018, come direttore della Prevenzione sanitaria, con il ministro Beatrice Lorenzin. Venivo da un incarico di commissario di governo per il piano di rientro della Regione Campania, che ho iniziato a svolgere alla fine del 2015», racconta D'Amario alla Verità. «Tra la fine dell'incarico di Ranieri Guerra e l'inizio del mio c'è stato l'interim di Giuseppe Ruocco. Nel dicembre 2019 mi sono dimesso, anche se mi hanno trattenuto qualche mese perché trovare un sostituto non era semplice. Ora dirigo il dipartimento salute dell'Abruzzo». Ranieri Guerra ha dichiarato che, quando se ne andò, lasciò un appunto al ministro in cui diceva che bisognava aggiornare il piano pandemico. Le risulta?«Esisteva una richiesta in tal senso. Vorrei però specificare una cosa. La direzione prevenzione si occupa di tutta la sanità italiana: oncologia, trapianti, trasfusioni, ma anche ambiente, acque… Insomma, tutto». Chiaro: non dovevate soltanto occuparvi del piano pandemico ma di una marea di cose. Il viceministro Pierpaolo Sileri dice però che l'appunto di Guerra sul piano era appena una paginetta. «Non era una paginetta». L'appunto risale alla fine del 2017. Però sul piano si inizia a lavorare nel 2019. Perché?«I direttori generali quando prendono iniziative devono prima informare il ministro, poi devono aspettare il nulla osta. Anche perché noi non siamo responsabili della linea politica». Come a dire che non indicate voi le priorità. «Pensi che io in 16 mesi ho avuto tre ministri: Lorenzin, Grillo e Speranza. Poi noi non parliamo direttamente con il ministro, ma lo facciamo attraverso segreterie, capo di gabinetto, consulenti vari…». Bene. In ogni caso lei sapeva che c'era da aggiornare il piano? «Quando ho fatto la rassegna degli arretrati con i dirigenti ho chiesto informazioni e mi hanno detto che era uscita in primavera una indicazione dell'Oms per la redazione dei piani pandemici. Non era un ordine, erano indicazioni. Il primo agosto del 2018 lo comunico al ministro, allora la Grillo, che dà il via libera». Poi che è successo?«Rientrato dalle ferie ho chiamato i rappresentanti dell'Oms specialisti del settore, abbiamo fatto un audit, come si dice in gergo manageriale, e abbiamo parlato del contenuto del piano. In quell'incontro mi colpì molto una cosa». Quale? «Il fatto che le nuove indicazioni dicevano chiaramente che un piano pandemico influenzale non poteva basarsi solo sulla sanità, ma doveva coinvolgere tutta la società civile, dunque non riguardava solo il nostro ministero ma anche tutti gli altri. Dunque inviai una nota a tutti gli altri ministeri, poi all'Iss, all'Inail, all'Aifa e convocai subito tutte le sigle mediche e scientifiche, gli operatori sanitari, i farmacisti pubblici e privati convenzionati dicendo di inviare prima possibile i loro rappresentanti». Insomma lei ha convocato tutti. E arriviamo al 2019. «Bisognava fare un piano operativo strategico. Alla fine di marzo i gruppi di lavoro erano consolidati. L'11 aprile convochiamo tutti al ministero e spieghiamo le linee guida. Maraglino, che lavorava con me, fa una presentazione per tutti i gruppi, i quali poi avrebbero fornito il loro contributo». Siamo ad aprile del 2019. Poi che è successo? Che cosa hanno prodotto i gruppi?«Una prima bozza di piano tra l'estate e settembre. A settembre abbiamo programmato la prima esercitazione pandemica. Abbiamo fatto due giorni di lavoro alla presenza di consulenti americani convocati dal ministero. Scoprimmo allora che uno dei punti di debolezza era la comunicazione, che è fondamentale per applicare in modo corretto un piano pandemico. Quindi completammo la bozza». Siamo a settembre 2019. «A ottobre del 2019 la bozza fu mandata a tutti i componenti del gruppo di lavoro per contributi finali e condivisione. Le ricordo che il piano vale solo quando passa alla conferenza Stato-Regioni. Lì si sancisce l'accordo e il piano diventa vigente». Alla fine del 2019 che cosa accade? «Ai primi di dicembre mi accorgo che quell'anno il numero di complicanze influenzali è più elevato rispetto ad altri anni. Mandai allora una nota in tutta Italia chiedendo di segnalare eventuali polmoniti atipiche». Esiste una nota del 4 dicembre. Però si tratta di una nota standard che veniva inviata tutti gli anni, così almeno mi ha detto lei. Quindi non capisco: avete notato qualcosa di anomale e vi siete allertati oppure no?«La nota del 4 dicembre è stata anticipata. Anche l'anno prima avevamo anticipato, ma nel 2019 l'abbiamo fatto appunto perché avevamo sentito del picco influenzale e delle complicanze. Infatti poi si è capito che le polmoniti che giravano tra dicembre e gennaio erano collegabili e che il caso zero era di fatto entrato a dicembre».Nel frattempo il piano pandemico era dimenticato? «Era in attesa di approvazione da parte dei gruppi e di passare in conferenza Stato-Regioni. A quel punto l'avanzamento non dipendeva da me, ma da tutti gli altri. Nel frattempo si moltiplicavano queste strane polmoniti. Ai primi di gennaio inviai una nota a tutte le Regioni, agli Istituti, agli aeroporti e ai porti dicendo: vengono segnalate a Wuhan polmoniti atipiche, se trovate casi simili comunicatelo. Poi il 21 gennaio viene individuato il nuovo coronavirus».E lei che ha fatto?«Ho fatto subito una circolare. Dissi che era stato individuato un nuovo virus che necessitava di tre cose: protezione individuale tramite Ffp2 negli ospedali, separazione dei percorsi ospedalieri, utilizzo dei test molecolari (i tamponi). Dissi che bisognava circoscrive il virus, altrimenti l'impatto non sarebbe stato sostenibile». Se a gennaio disse che si dovevano usare le Ffp2, perché non fu detto subito di usare la mascherine anche ai cittadini fuori dagli ospedali? «Questo però è un altro discorso. In quel momento si parlava solo di distanziamento sociale come forma di protezione. Poi con l'aumento della casistica si è pensato anche alle mascherine». Capisco. Resta che il piano pandemico non è stato utilizzato. «Ma guardi che non siamo rimasti con le mani in mano. Quando io e Urbani abbiamo visto il famoso modello matematico di proiezione sui contagi assieme agli specialisti della rianimazione, il 28 febbraio abbiamo licenziato una direttiva che diceva a tutte le Regioni di implementare del 50% le terapie intensive e del 100% le subintensive. Non è che siamo stati a pensare, abbiamo sempre emanato circolari. Poi il Cts faceva un altro lavoro, di scambio e dialogo tecnico scientifico». Ripeto: non avete utilizzato il piano pandemico. «Nessun piano pandemico poteva prevedere che fosse necessario utilizzare eparine o immunosoppressori. Quello di cui lei parla è comunque un piano contro la pandemia influenzale». Non giriamoci intorno: tutti gli esperti, dall'Oms in giù, dicono che sarebbe servito. «Ripeto. Ogni virus ha una sua logica, poi certo c'è un'ossatura di base. Ma le azioni terapeutiche e assistenziali non sono uguali». Certo, questo è ovvio. Però i pilastri indicati dall'Oms sono utili contro tutte le pandemie. E il nostro piano risaliva al 2006 e quello aggiornato non era pronto. «Qui però bisogna cominciare a capire che quando si parla di sanità non si può affrontare un problema alla volta. Ci sono gli ospedali vecchi da ristrutturare, ci sono stati anni di tagli ai posti, al personale… Dobbiamo guardare alla sanità col cannocchiale, cioè in avanti, non all'indietro per trovare i colpevoli. Per esempio: oggi sappiamo tutti che le infezioni ospedaliere sono un problema. Fra un paio d'anni, quando usciremo dal Covid - perché ci vorranno ancora un paio d'anni - cominceremo a occuparci anche di quello. Sappiamo già adesso che non ci sono antibiotici innovativi: non possiamo ogni volta aspettare che le cose accadano e poi guardarci indietro per cercare un colpevole».Vero. Però nel 2013 l'Ue disse che bisognava aggiornare i piani pandemici. Andava fatto allora, era un obbligo. «Sì ma gli altri Paesi Ue non hanno il titolo quinto. Hanno sistemi sanitari diversi». Capisco che altri possano andare più velocemente. Però dal 2013 al 2020 tempo ce n'era. Non sto dicendo sia colpa sua. Prima di lei c'era Ruocco. E poi c'è stato Guerra per tre anni. E poi Ruocco ancora. E non hanno fatto nulla. «Questo purtroppo è il sistema Italia: ci si accorge delle cose sempre dopo. Io però non ci sto a venire catalogato come uno sciatto dopo tanti anni di lavoro…». Di sciatteria ha parlato Sileri, che con lei è stato molto duro. «Mi stupisce perché con lui ho sempre avuto un ottimo rapporto. Forse quando ha detto certe cose si è sbagliato. Io ho ancora le mail della sua segreteria che mi faceva i complimenti». Del resto ora si fa la gara a scaricare le responsabilità. Ma torniamo al piano. Anche se ce n'era uno vecchio, del 2006, si poteva almeno applicare quello, no?«Il piano però devono applicarlo le Regioni. Il ministero della Salute, se non per porti e aeroporti, non fa assistenza. Il piano va applicato a livello locale». Se non è stato applicato è colpa delle Regioni quindi?«È sbagliato parlare di colpa. Pensi che ci sono dei piani di prevenzione che vengono addirittura applicati a livello provinciale». Però il piano pandemico è nazionale.«Le applicazioni dei piani sono sempre regionali. Poi si fa il monitoraggio nel contenitore chiamato Agenas, Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali». Sì, però dev'essere il ministero a coordinare il tutto. Perché non avete usato il piano del 2006?«Ma guardi, nessuno di fronte al coronavirus ha pensato di usare il piano pandemico influenzale. Le dirò di più: io lo proposi pure. Poi è arrivato il modello di Merler che si basava sui casi cinesi e si è fatto riferimento a quello». Quello di Stefano Merler era un modello matematico, non un piano. «Sulla base di quel modello è stato fatto un piano covid veloce che è servito per emanare tutte le circolari». Parla del famoso “piano segreto"?«Era un piano che aveva un livello di confidenzialità. Penso risalisse a fine febbraio». Dunque nessuno ha pensato al modello del 2006. «Nessuno mai ha pensato che potesse essere utile. L'ossatura è quella, ma poi l'andamento clinico della patologia era diverso».