2019-12-26
Il nuovo nome dell'establishment Usa? Elizabeth Warren
True
Da quando un anno fa ha ufficializzato le proprie ambizioni presidenziali ha teso costantemente a rimarcare la volontà di intestarsi la rappresentanza della sinistra interna del Partito Democratico. Un elemento, evidenziato da numerose proposte programmatiche: si pensi solo alla sua idea di imposta patrimoniale o al piano di riforma sanitaria che condivide con Bernie Sanders.Si era candidata lo scorso febbraio, promettendo lotta dura a Wall Street e ai grandi potentati economici. Ha sostenuto che la nomination democratica non possa essere ostaggio dell'establishment partitico, tantomeno di quello finanziario, e ha per questo duramente criticato l'impiego di finanziamenti elettorali da parte dei miliardari. Non a caso, quando Michael Bloomberg era formalmente sceso in campo per le primarie democratiche qualche settimana fa, si era mostrata particolarmente critica. Insomma, da quando ha ufficializzato le proprie ambizioni presidenziali un anno fa, Elizabeth Warren ha teso costantemente a rimarcare la volontà di intestarsi la rappresentanza della sinistra interna del Partito Democratico. Un elemento, evidenziato da numerose proposte programmatiche: si pensi solo alla sua idea di imposta patrimoniale o al piano di riforma sanitaria che condivide con Bernie Sanders.Del resto, è proprio il suo rapporto politico con il senatore del Vermont ad aver suscitato sempre qualche perplessità. Per quanto i due vengano mediaticamente assai spesso accomunati, quello che ha ripetutamente lasciato dubbioso l'elettorato di sinistra è in che cosa costoro si differenziassero realmente. Anche perché, nonostante qualche punzecchiamento a distanza, i due hanno finora evitato di scontrarsi direttamente nel corso dei dibattiti televisivi. Ciononostante, se inizialmente sembravano espressione dello stesso mondo, Elizabeth Warren e Bernie Sanders hanno man mano cominciato a mostrare delle differenze non di poco conto. Già nei mesi scorsi, era infatti chiaro che – al netto di un comune appello alla sinistra dem – i due si rifacessero in realtà ad elettorati profondamente differenti. Se la Warren va particolarmente forte tra le donne e i ceti istruiti, Sanders – di contro – ha dalla sua i giovani e – soprattutto – gli impiegati nella grande distribuzione (Amazon e Walmart in testa), senza poi dimenticare un considerevole sostegno da parte del mondo operaio.Che tra i due non ci fosse piena sovrapponibilità era, d'altronde, anche chiaro da una recente disputa terminologica: una disputa, tuttavia, dalle profonde ripercussioni ideologiche e politiche. Come è noto, Bernie Sanders ama da sempre definirsi “socialista": un fattore che ha attirato al senatore numerose critiche ma con cui costui mira soprattutto a distanziarsi dall'establishment del Partito Democratico. Più che dunque un riferimento dottrinario in senso classico, l'appellativo di “socialista" è funzionale a Sanders per condurre la propria (ormai consueta) battaglia antisistema: una battaglia spesso in polemica con i vertici dello stesso partito cui è affiliato (ricordiamo infatti che in Senato non figuri come “democratico" ma come “indipendente"): d'altronde, le sue dure critiche contro Hillary Clinton nel 2016 e Joe Biden oggi stanno lì a dimostrare questo stato di cose. La Warren, dal canto suo, ha evitato di definirsi “socialista" e – pur essendo critica verso alcune sue storture – non ha mai messo in discussione né l'impianto capitalistico della società americana né, in fin dei conti, lo stesso establishment del Partito Democratico. Un establishment, rispetto a cui la senatrice del Massachusetts – nonostante alcune polemiche estemporanee con il Biden di turno – risulta tutto sommato relativamente allineata: si pensi soltanto ai dossier di politica estera. Insomma, se Sanders – nella sua crociata antisistema – continua a rappresentare a sinistra quello che Donald Trump rappresentò (e continua a rappresentare) per i repubblicani, la Warren mostra un profilo più sfuggente. Qualcuno potrà pensare ad una strategia elettorale: spostandosi un po' più al centro, la senatrice aumenterebbe difatti le proprie possibilità di pescare voti trasversali. Un ragionamento che, in astratto, potrebbe anche avere un senso. Sennonché le attuali primarie del Partito Democratico non sembrano seguire le logiche e le dinamiche della storia recente. E il posizionamento politicamente ambiguo della Warren potrebbe in realtà sorgere da cause strutturali molto più profonde.Qualche giorno fa, l'autorevole testata The Hill ha riportato che l'ex presidente americano, Barack Obama, si starebbe dando particolarmente da fare dietro le quinte per sponsorizzare proprio la candidatura della Warren. Si tratta dello stesso Obama che, almeno dal 2012, è diventato parte integrante dell'establishment democratico. E, soprattutto, dello stesso Obama che – alcune settimane fa – aveva criticato la deriva a sinistra del Partito Democratico. Quell'Obama che, per intenderci, non ha mai mostrato di nutrire troppe simpatie per la linea antisistema di Sanders. Tutto questo avvalora allora un'ipotesi: che Elizabeth Warren altro non sia, cioè, se non una propaggine dell'establishment democratico. Un establishment che, dopo la debacle di una centrista come Hillary nel 2016, potrebbe aver deciso di puntare su una figura liberal ma non antisistema, nella più classica (e logora) delle strategie gattopardesche. E' quindi possibile che la senatrice del Massachusetts sia funzionale ad incanalare quel voto di sinistra che non darebbe probabilmente mai il proprio sostegno a personaggi, come Joe Biden e Michael Bloomberg.Fantapolitica? Forse. Ma i segnali ci sono. Al di là dei suddetti sforzi occulti di Obama, dobbiamo infatti sottolineare un ulteriore fattore. Bernie Sanders ha ripreso a salire nei sondaggi – dopo mesi di difficoltà – più o meno in concomitanza con la candidatura di Bloomberg, avvenuta alcune settimane fa. Segno del fatto che, in caso di polarizzazione dello scontro, il senatore del Vermont potrebbe approfittarne proprio in virtù della sua carica antiestablishment. In altre parole, davanti a Bloomberg (che incarna l'ennesima commistione di Wall Street con la politica) gli elettori a sinistra percepiscono Sanders come alternativa politica: non la Warren. La questione è tanto più interessante se la consideriamo in termini di General Election, perché potrebbe verificarsi una dinamica simile a quella già avvenuta nel 2016. Viste le scarse probabilità che il senatore del Vermont ha di conquistare la nomination democratica, non è che gli elettori sandersiani nel duello novembrino per la Casa Bianca voteranno alla fine per Trump?