- L'attuazione ideologica del Green Deal sarà una mazzata per la nostra agricoltura. «Avremo campi fotovoltaici al posto di grano e viti». La produzione europea rischia un calo del 10%, tutto a vantaggio di Cina e India
- L'esperto: «La sfida è trasformarsi progressivamente Se lo facessimo dall'oggi al domani, altri ne godrebbero»
L'attuazione ideologica del Green Deal sarà una mazzata per la nostra agricoltura. «Avremo campi fotovoltaici al posto di grano e viti». La produzione europea rischia un calo del 10%, tutto a vantaggio di Cina e IndiaL'esperto: «La sfida è trasformarsi progressivamente Se lo facessimo dall'oggi al domani, altri ne godrebbero»Lo speciale contiene due articoliUna bistecca di carne e un formaggio sintetici, costruiti in laboratorio, potrebbero presto sostituire la nostra tradizionale Fiorentina o il Parmigiano Reggiano perché per produrli con provette e alambicchi si inquina meno che pascolando le mucche. È la tesi del «partito» degli ecologisti più ortodossi che sta influenzando la Commissione europea sulla politica della transizione ecologica. «L'agricoltura italiana è già green e potrebbe diventare un modello per l'Europa e per il mondo. Invece temiamo che la Commissione punti a spostare la produzione nei laboratori delle multinazionali seguendo l'ideologia che la terra inquina». È questo lo scenario delineato da Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, l'associazione delle aziende agricole e alimentari. Per parlare di modello Italia bastano le cifre: le emissioni di CO2 sono pari a 30 milioni di tonnellate equivalenti l'anno contro 77 milioni della Francia e oltre 60 milioni della Germania. Per un kg di carne si emette un quinto di CO2 di quanto avviene negli Stati Uniti o in Asia. Inoltre l'uso di antibiotici è inferiore del 42% e dei pesticidi del 35%. L'Usda, il Dipartimento dell'agricoltura degli Stati Uniti, ha valutato che con la moltiplicazione dei divieti degli estremisti green, la produzione agricola europea potrebbe crollare di oltre il 10%. «Gli americani invece di essere felici di sbarazzarsi di un competitor, temono che l'indebolimento dell'Europa, produttore importante di food, crei una instabilità mondiale» commenta Scordamaglia. E avverte: «C'è il rischio che qualcuno usi la transizione verde per trasferire gran parte della produzione alle multinazionali». Inoltre siccome la domanda di prodotti agricoli aumenterà, saranno favoriti i Paesi che coltiveranno con tecnologie inquinanti. terreni espropriatiGli effetti della corsa alla transizione ecologica si stanno già manifestando. Come ha rivelato Italia Oggi, nelle pieghe del Piano nazionale integrato di energia elettrica, c'è una bomba pronta a devastare l'agricoltura. Il Piano prevede la possibilità di espropriare, per causa di pubblica utilità, i terreni necessari per realizzare impianti di energia elettrica rinnovabile. Come ha detto, allarmato, il presidente della Commissione agricoltura della Camera, Filippo Gallinella, «avremo campi fotovoltaici smisurati al posto del grano e delle viti». Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, sta progettando di installare 8 Gigawatt per anno in nove anni. Un danno enorme per l'agricoltura ma anche per il paesaggio che verrebbe totalmente stravolto. La corsa ecologista guidata più dall'ideologia che dalla valutazione degli effetti collaterali, sta impattando anche sul settore energetico. Partiamo da un fatto: la responsabilità dell'Europa nella produzione di CO2 è pari solo al 9% del totale. Quelli che inquinano di più sono i colossi asiatici. Cina e India però non intendono limitare l'uso di energia fossile anzi hanno fiutato che l'accelerazione decisa dall'Europa verso un'economia green, rappresenta un grande business e può consegnare loro lo scettro di player globali. chi fa il lavoro sporcoIl business è nei metalli e nelle terre rare che sono essenziali alle nuove tecnologie pulite. Per le batterie viene usato il litio e il cobalto. I veicoli elettrici ne contengono fino a 15 kg. La Cina fornisce al mondo, il 70% delle materie prime e circa il 95% delle terre rare. L'estrazione di questi minerali richiede tecniche inquinanti, sicché l'Europa, in nome dell'ecologia, ha delegato ad altri Paesi questo «lavoro sporco». Ora però ne paga le conseguenze. L'accelerazione della transizione ha moltiplicato la domanda di tali minerali facendo alzare i prezzi. L'acciaio è rincarato del 18%, il rame poco meno e il silicio policristallino è raddoppiato e con essi anche pale eoliche e pannelli fotovoltaici. L'Agenzia Internazionale dell'Energia (Iea) ha stimato che con la transizione green, la produzione di minerali utili dovrà almeno quadruplicare. Gli alti costi ricadranno sulle bollette o sulla fiscalità generale. Ma mentre l'Europa si indebita, i colossi asiatici continueranno ad inquinare e ad arricchirsi. Alla fine difficilmente il cielo sarà più blu.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-nostro-verde-al-verde-2654330781.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="si-al-cambiamento-energetico-ma-bisogna-essere-pragmatici" data-post-id="2654330781" data-published-at="1627808186" data-use-pagination="False"> «Sì al cambiamento energetico, ma bisogna essere pragmatici» Francesco Gattei, Chief financial officer di Eni, ci aiuta a fare il punto sulla transizione ecologica, oltre ogni tipo di retorica. Gli ambientalisti accusano i produttori di idrocarburi di essere troppo lenti nella transizione. Davvero si potrebbero accorciare i tempi? «Credo che l'obiettivo di tutti sia assicurare energia in maniera affidabile e competitiva e senza emissioni di carbonio. Questo implica un processo di trasformazione di tutto il sistema energetico e dei modelli industriali e di consumo che abbiamo sviluppato in oltre due secoli. Le compagnie petrolifere sono tra le più impegnate in questa trasformazione, assicurando anche la fornitura di petrolio e gas che coprono oltre il 50% del fabbisogno energetico mondiale. La strategia di Eni porterà la società alle zero emissioni nette sulle attività upstream al 2030 e di tutti i processi industriali e prodotti (cosiddetto Scope 3) al 2050, e questo percorso implica che la produzione di idrocarburi rimanga invariata dal 2025, e decresca a partire dal 2030 e venga decarbonizzata, con il petrolio che calerà più del gas». Non c'è il rischio che dietro la cosiddetta rivoluzione verde ci siano modelli industriali ed energetici più invasivi? «L'emergenza climatica c'è e la transizione energetica va fatta. Mentre si abbattono le emissioni, però, occorre anche continuare a garantire l'accesso all'energia a una parte sempre più ampia della popolazione mondiale. La sfida è trasformare progressivamente il nostro patrimonio energetico tradizionale tutelando sviluppo e occupazione. Eni ha elaborato una strategia di decarbonizzazione, concreta a livello di fattibilità industriale. Siamo partiti nel 2014 a trasformare la nostra piattaforma dei business della Raffinazione e della Chimica per creare la base industriale e tecnologica per i business della transizione. Nel contempo, abbiamo continuato a garantire le forniture energetiche tradizionali in tutti i Paesi in cui operiamo, e introducendo fonti alternative a quelle fossili». L'Europa pesa solo per il 9% nelle emissioni globali. Essendo più virtuosi dei Paesi asiatici finiremo per diventarne schiavi? «L'Europa ha un livello di emissioni piuttosto basso rispetto alle altre regioni del mondo, non solo grazie a una maggiore efficienza del nostro sistema energetico ma anche perché negli ultimi decenni abbiamo delegato alla Cina ed alle aree dell'estremo oriente le attività industriali più emissive. Me teniamo anche conto che il nostro stile di vita è molto più emissivo di quello cinese o indiano. Per questo se noi europei fermassimo domani la produzione o l'uso industriale di fonti tradizionali è ovvio che le società di altri Paesi prenderebbero il nostro posto nel produrli. E il risultato sarebbe probabilmente un aumento della dipendenza da determinate aree geopolitiche, nonché maggiori emissioni globali per i minori standard di questi paesi. È quindi evidente che per vincere dobbiamo muoverci tutti insieme». Quanto sono verdi le energie green? «Le energie green, fondamentali per la transizione, diventano “verdi" nella fase della generazione, ma il computo delle emissioni sull'intero ciclo di vita industriale non è sempre positivo. Per esempio, ipotizzare la sostituzione di 1 miliardo di automobili con veicoli elettrici in un paio di decadi sarebbe molto oneroso per l'ambiente (una macchina elettrica usa 200 chilogrammi di minerali, dal rame al nickel, al cobalto, contro i 35 chilogrammi di un veicolo tradizionale). Per questo dobbiamo essere pragmatici. Negli ultimi 6 anni Eni ha speso 5 miliardi di euro nelle tecnologie legate alla transizione. Produrremo energia sviluppando le rinnovabili, solare ed eolico, faremo idrogeno verde e blu, bio carburanti nelle bioraffinerie, nonché metanolo e idrogeno dai progetti di valorizzazione dei rifiuti; faremo chimica sostenibile sfruttando i materiali da riciclo e materie prime rinnovabili, e produrremo bio metano da processi di upgrading del biogas». Su quali tecnologie bisogna investire? «Su tutte quelle praticabili. Eni intende affermare la sua leadership. Abbiamo 7 centri di ricerca e nel corso degli anni abbiamo prodotto quasi 7.500 brevetti. Abbiamo due bioraffinerie, a Venezia e a Gela, un impianto pilota che genera biocarburante e acqua da rifiuti organici, siamo in grado di realizzare a breve un progetto per la cattura della CO2 dai nostri impianti e da quelli di altre industrie e il suo stoccaggio in giacimenti di gas esauriti. Inoltre stiamo sviluppando una nuova tecnologia per il riciclo chimico della plastica e lavorando alla fusione a confinamento magnetico».
Donald Trump e Volodymyr Zelensky (Ansa)
- Colloqui separati dei funzionari americani ad Abu Dhabi con delegati di Mosca e Kiev. Volodymyr Zelensky: «Pronti ad andare avanti». Gelo del Cremlino sul piano modificato. Intanto Bruxelles prende un altro schiaffo: Marco Rubio nega il bilaterale chiesto da Kaja Kallas.
- Keir Starmer ed Emmanuel Macron come dischi rotti: «Serve una forza multinazionale sul campo».
Lo speciale contiene due articoli
Ansa
Si usa il caso polacco per stabilire che pure lo Stato che esclude le unioni arcobaleno deve accettare le trascrizioni dall’estero.
I signori Kuprik Trojan, due uomini polacchi che si erano sposati in Germania e si erano visti respingere la trascrizione del loro matrimonio in Polonia, hanno ottenuto dalla Corte di Giustizia europea una sentenza che può segnare un punto fondamentale a favore del matrimonio gay in tutta Europa. Per i giudici di Strasburgo, anche se le norme di un Paese non prevedono l’unione tra persone dello stesso sesso, questo stesso Paese non può opporsi alla trascrizione dell’atto estero perché questo andrebbe contro la libera circolazione delle persone nell’Ue, il loro pieno diritto di stabilirsi e vivere dove vogliono, e di mantenere «una vita familiare consolidata».
2025-11-26
Riccardo Szumski: «Chiesi a Schillaci di aprire ambulatori per i danneggiati. Non ha mai risposto»
Riccardo Szumski (Ansa)
Il neoeletto consigliere: «Penso in dialetto poi traduco in italiano. Senza di noi l’astensionismo sarebbe stato ancora più ampio».
Ha ottenuto due seggi in Regione Veneto presentandosi come leader di un «movimento per cittadini liberi». I suoi, più che slogan, sono stati appelli a ritrovare l’orgoglio perduto: «Non cerchiamo voti: cerchiamo coscienze sveglie». Però di voti Riccardo Szumski ne ha ottenuti davvero tanti, 96.474. Oltre il 5,13% delle preferenze.
Classe 1952, nato in Argentina da genitori emigrati (papà ufficiale polacco e mamma insegnante trevigiana), medico di base e per anni sindaco del Comune di Santa Lucia di Piave, dove ha sempre vissuto dal 1955, Szumski è riuscito a spezzare a suo favore un astensionismo pesante pure in Veneto, dove solo il 44,65% degli aventi diritto si è recato alle urne.
«Resistere Veneto nasce da una ferita, ma anche da un’urgenza: dire basta», ha chiarito. Quali sono state le parole chiave per farsi eleggere?
Il ministro Roccella sul caso dei “bambini del bosco”: togliere tre figli ai genitori è un atto estremo che richiede pericoli reali, non dubbi educativi. La socializzazione conta, ma non più della famiglia. Servono trasparenza, criteri chiari e meno sospetto verso i genitori.






