2020-10-04
Il Mose funziona e salva Venezia. Smontate le bugie degli ecofanatici
Piazza San Marco rimane all'asciutto nonostante la marea di 119 centimetri: al sicuro locali e negozi già piegati dal Covid. Il sistema, per anni nel mirino degli ambientalisti, dimostra di essere indispensabile.A chiamarlo con il suo nome per esteso si corre il rischio di non riconoscerlo: Modulo sperimentale elettromeccanico, in acronimo Mose. Progettato nei primi anni Novanta, soltanto ieri è riuscito a dimostrare operativamente che l'idea è buona. In mezzo, 30 anni di divisioni, denunce, indagini, scandali e processi che hanno distolto l'attenzione dal valore ingegneristico del progetto, dalla sua funzionalità e reale opportunità di esistere. Ma soprattutto su quel termine contenuto nel nome, «sperimentale», che nel linguaggio degli ingegneri significa: secondo i calcoli dovrebbe funzionare, ma per saperlo lo si può soltanto costruire e provare. L'ingegner Alberto Scotti, padre dell'opera (fatta da Technital), ha sempre sostenuto che si stava realizzando qualcosa che non era mai stato fatto prima, e che ogni parte e impianto avrebbe dovuto essere provato prima da solo e poi insieme con gli altri, scoprendo criticità e modifiche necessarie: sperimentale, appunto. Ma l'umanità è fatta così: inizialmente dichiarò inutili e insultò i marchingegni di Guglielmo Marconi, la macchina volante dei fratelli Wright, la televisione e le missioni spaziali, salvo poi dimenticarsene e fruire quotidianamente delle comodità che ne sono derivate.Con le precipitazioni degli ultimi giorni, i venti e la marea crescente, mentre il livello del mare aumentava, piazza San Marco è rimasta asciutta perché le 78 paratie (o paratoie) in acciaio di cui è composto il Mose si sono sollevate proteggendo la città più bella del mondo. Ieri, come previsto dai bollettini, il livello dell'acqua è cresciuto progressivamente dai 70 centimetri delle ore 9 ai 75 delle 9.20, fino ai 77 delle 9.40, iniziando quindi a calare e a stabilizzarsi attorno ai 70 centimetri, quando alla diga sud del Lido, alle 10 aveva raggiunto 119 centimetri. Mezzo metro in meno, 50 centimetri che però non hanno devastato negozi, ammalorato pavimenti né fermato ulteriormente l'economia turistica. Eppure dal momento in cui fu posato il primo elemento, nel 2003, si è detto e scritto di tutto contro quest'opera: che eravamo gli unici pazzi al mondo a costruire un mostro, che la corrosione l'avrebbe distrutto prima ancora che potesse funzionare, che i lavori per installazione e manutenzione avrebbero causato disastri ambientali a cominciare dalle sedi delle paratoie in cemento armato create sul fondo sabbioso delle quattro entrate della laguna, i cassoni di 12 metri per 50 che poggiano su sedi rese stabili da palizzate, come i palazzi storici di Venezia.Invece ieri alle bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia, l'aria compressa pompata all'interno delle paratoie ha fatto uscire l'acqua che le riempiva e teneva giù, spingendole verso l'alto a fermare il mare. Dal punto di vista dell'ingegneria, pur non negando che la tecnologia e i materiali usati oggi sul Mose non siamo di ultima generazione, bisogna riconoscere che l'invenzione funziona. E anche che, perché possa continuare a farlo, è necessario dare corso, come previsto dal progetto, al programma di manutenzione che prevede la pulizia delle paratoie mediante l'apposita chiatta Jack up, con la temporanea sostituzione, a rotazione, di ogni elemento. In pratica ogni manciata d'anni ciascun elemento andrebbe smontato, ripulito dalle incrostazioni e rimesso al suo posto. Ma se questo è il prezzo per allungare la vita di Venezia fino a renderla eterna, ben venga. Nel frattempo nessuno impedisce all'ingegno italiano di pensare all'uso di nuovi materiali o metodi di costruzione. Magari potremmo pagare i nostri tecnici con quella parte di fondi europei per la ricerca e la cura dell'ambiente che non riusciamo a sfruttare, portandoci avanti con la creazione di un Mose 2 più efficiente. Non sappiamo, infatti, se l'attuale configurazione dell'opera reggerà a maree più imponenti, e non sappiamo neppure se avessero ragione o torto i tecnici della società francese Principia quando, qualche anno fa, dissero che sarebbe stato meglio fare le cose diversamente perché le paratoie italiane sono tali da oscillare troppo, fino a vanificare la loro presenza lasciando entrare acqua in Laguna. Ma erano gli stessi che volevano costruire i cassoni sul fondo del mare in metallo come scafi di navi affondate e che davano retta a chi calcolò che l'innalzamento delle maree raggiungerà quota 120 centimetri entro l'anno 2100, poi correggendo il tiro parlando di una media tra 50 e 120 centimetri. Più che un calcolo, un oroscopo. Ci furono poi le indagini della Corte dei conti, le accuse che l'opera nel 2018 era già costata tre volte più di quanto previsto, che l'idea francese sarebbe costata un decimo e che la manutenzione costerà cinque volte più di quanto calcolato. Vedremo, ma la lezione di ieri ci insegna che l'ecologia non è materia per estremisti dell'ambientalismo. Una cosa è evitare di sconvolgere gli ecosistemi, folle è non curare l'ambiente in cui viviamo rinunciando a usare inventiva e tecnologia per salvare persone e cose.
Pedro Sánchez (Getty Images)
Alpini e Legionari francesi si addestrano all'uso di un drone (Esercito Italiano)
Oltre 100 militari si sono addestrati per 72 ore continuative nell'area montana compresa tra Artesina, Prato Nevoso e Frabosa, nel Cuneese.
Obiettivo dell'esercitazione l'accrescimento della capacità di operare congiuntamente e di svolgere attività tattiche specifiche dell'arma Genio in ambiente montano e in contesto di combattimento.
In particolare, i guastatori alpini del 32° e i genieri della Legione hanno operato per tre giorni in quota, sul filo dei 2000 metri, a temperature sotto lo zero termico, mettendo alla prova le proprie capacità di vivere, muoversi e combattere in montagna.
La «Joint Sapper» ha dato la possibilità ai militari italiani e francesi di condividere tecniche, tattiche e procedure, incrementando il livello di interoperabilità nel quadro della cooperazione internazionale, nella quale si inserisce la brigata da montagna italo-francese designata con l'acronimo inglese NSBNBC (Not Standing Bi-National Brigade Command).
La NSBNBC è un'unità multinazionale, non permanente ma subito impiegabile, basata sulla Brigata alpina Taurinense e sulla 27^ Brigata di fanteria da montagna francese, le cui componenti dell'arma Genio sono rispettivamente costituite dal 32° Reggimento di Fossano e dal 2° Régiment étranger du Génie.
È uno strumento flessibile, mobile, modulare ed espandibile, che può svolgere missioni in ambito Nazioni Unite, NATO e Unione Europea, potendo costituire anche la forza di schieramento iniziale di un contingente più ampio.
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