2022-03-14
Siamo a un passo dal precipizio. L’America ora tratta con la Cina
Mosca colpisce una base usata anche dalla Nato a due passi dalla Polonia. Coinvolti pure cittadini occidentali. Voci su ordigni proibiti. Basta guerrafondai ipocriti: si rischia un conflitto mondiale, serve l’iniziativa politica. Qualcosa si muove: nuovo round russi-ucraini, a Roma vertice Pechino-Usa.Si potrà e si dovrà discutere a lungo, non solo in sede storica, ma proprio per una compiuta comprensione politica delle cose, sulla controversa traiettoria che ci ha portato agli eventi di oggi, cioè alla tragedia che (per ora) è circoscritta all’Ucraina. Numerosi e autorevoli osservatori, non privi di argomenti assai solidi, indicano alcune precise responsabilità da parte della Nato e dell’Occidente, almeno in termini di sottovalutazione di ciò che prima o poi sarebbe potuto accadere: l’allargamento a Est, il vero o presunto «accerchiamento» della Russia, o comunque il tentativo di relegarla a «potenza regionale», fino a un lungo silenzio sugli otto interminabili anni di conflitto in Donbass. Molti di coloro che sostengono questa tesi (tranne casi, va detto, limitati) non smettono tuttavia di riconoscere responsabilità ben maggiori in Vladimir Putin: per quanti rimproveri, più o meno fondati, si possano rivolgere al fronte occidentale, ciò non può in alcun modo «assolvere» chi deliberatamente viola la sovranità di un Paese libero, e infligge - ora - crudeli e deliberate sofferenze alla popolazione civile. Ciononostante, dicono i sostenitori di questa prima tesi, interrogarsi sugli anni passati, su come si sarebbe potuto prevenire il disastro di oggi, è doveroso, ed è grave che troppi cerchino di bollare questi interrogativi come una sorta di «reato d’opinione»: il pensiero unico è per definizione una ferita al pensiero, un non-pensiero, una militarizzazione mentale che amputa la comprensione delle cose. Altri osservatori (tra questi, chi scrive, ma ciò è irrilevante) mantengono una valutazione diversa. Per chi legge le cose da questa angolazione, le intenzioni di Putin erano purtroppo chiare da molto tempo, e oggi lo sono ancora di più. Serve a poco autocolpevolizzarci mentre, in alcuni programmi tv russi, si discute con nonchalance, quasi si trattasse di naturali ipotesi di scuola, di estendere l’«operazione speciale» ai Paesi baltici. Serve a poco negare che, con l’uno o con l’altro pretesto, l’autocrate di Mosca avrebbe comunque alzato la posta in gioco, in base a mire espansionistiche ormai fuori controllo. Serve a poco dire «è colpa nostra» mentre è proprio Putin a svelare le sue contraddizioni: prima dice che Ucraina e Russia sono una cosa sola, e poi attua una strategia di devastazione definitiva, alla cecena o alla siriana. Ha dato voce a questa seconda scuola di pensiero, ieri sul Telegraph di Londra, Janet Daley, che ha ironizzato sul cortocircuito degli occidentali che si autoflagellano, mentre Mosca «attacca la popolazione di un Paese che ha avuto la “presunzione” di dichiarare che aveva bisogno di essere protetta esattamente da un futuro attacco russo». Come dire: gli ucraini avevano tutte le ragioni per temere che sarebbe finita così, e, se noi abbiamo sbagliato, è per aver fatto troppo poco, non per aver fatto troppo. Ecco, comunque la si pensi, che uno si senta più vicino alla prima o invece alla seconda lettura degli eventi passati, ora siamo giunti a un millimetro da un punto di non ritorno.La sequenza degli eventi di ieri (l’uccisione di un reporter Usa, l’attacco alla base militare più vicina al territorio Nato, l’evocazione dell’articolo 5, il fatto che il presidente polacco Andrzej Duda abbia dato quasi per scontato un intervento Nato in caso di uso russo delle armi chimiche) ci porta letteralmente a un millimetro dal precipizio, a un passo dal punto di non ritorno.Davanti a questa prospettiva, dobbiamo rinviare ad altro momento la (pur necessaria, anzi fondamentale) discussione sul passato. C’è da evitare che deflagri la terza guerra mondiale, quasi senza che noi stessi ce ne rendiamo conto. Le circostanze hanno qualcosa di terribile e soprattutto oggettivo: quanto più tempo passa, tanto più c’è il rischio che il conflitto si estenda territorialmente e si internazionalizzi; e quanto più ciò dovesse accadere, tanto maggiori sarebbero le probabilità di un «incidente» che porti allo scontro diretto ed esistenziale tra Nato e Mosca. Ciò non toglie un solo grammo di forza alla necessità di sostenere gli ucraini aggrediti. Ma impone di evitare che, per una concatenazione fatale, ci sia un’escalation incontrollabile. Ha ragione chi, più che evocare lo scenario pre seconda guerra mondiale, ha ricordato le cause - tutte in fondo evitabili - che determinarono lo scoppio della prima. Certo, l’attentato di Sarajevo; ma poi, in un crescendo di ostinazioni e orgogli non necessari, una sequenza che portò a dieci milioni di morti, al crollo di alcuni imperi, a danni devastanti per ciascuno dei Paesi che originarono quel conflitto. Non sappiamo quali spazi diplomatici davvero efficaci esistano già (l’iniziativa di Gerusalemme appare al momento quella più autorevole, e anche quella più dotata di forza politica e morale) e quali altre occasioni possano essere create. Né se qualcuno, in Occidente, abbia fondate speranze su un rapido e decisivo approfondimento delle fratture e delle contraddizioni negli apparati che - per ora - hanno sostenuto Putin. Ma è il momento di una iniziativa straordinaria: politica, culturale, anche religiosa. Che non si limiti ad affermazioni di principio, ma che muti il corso delle cose, almeno imponendo un cessate il fuoco. In mancanza, che l’incendio divampi non è più un rischio, ma una quasi certezza.
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