2020-11-01
Il modello «Polio 2» per l’anti Covid
L'Oms pensa di approvare una procedura di emergenza per la prevenzione contro la poliomielite. Accelerando i tempi di sperimentazione con un occhio alla pandemia.Pur di dare il via libera a un vaccino contro il coronavirus, l'Organizzazione mondiale della sanità sembra davvero disposta a tutto. Anche a usare come cavie i poveri abitanti dei Paesi in via di sviluppo. Mascherato da buona notizia, l'inquietante annuncio è apparso giovedì sull'autorevole rivista scientifica Nature in relazione al crescente numero di casi di poliomielite. Cosa ha che fare questa malattia con il Covid-19? Negli ultimi anni i casi di poliomielite causata da vaccino sono aumentati esponenzialmente, superando di gran lunga quelli provocati dalla malattia selvaggia. Solo nel 2020 le infezioni riportate sono state 460, pari al quadruplo dell'anno precedente. E così, mentre il male originario risulta debellato in quasi tutto il mondo, quella causato dal vaccino si sta diffondendo a macchia d'olio. Oltre a Pakistan e Afghanistan, nei quali è ancora presente la polio selvaggia, a essere colpiti sono le Filippine, la Malesia e lo Yemen, oltre a una ventina di Stati africani. Nonostante gli studiosi siano al lavoro per sviluppare il nuovo vaccino già da dieci anni e i primi test circa l'efficacia e la sicurezza abbiano dato esito positivo, occorrono altri passaggi clinici per ottenere le necessarie autorizzazioni. Basti pensare che i risultati della fase 1, spiega Nature, sono arrivati appena lo scorso anno, mentre quelli della fase 2 addirittura non sono stati ancora pubblicati. È per questo che l'Oms sta pensando di intraprendere un iter di approvazione più rapido, sfruttando la procedura di emergenza attivata in occasione dell'epidemia di Ebola scoppiata in Africa occidentale tra il 2014 e il 2016. «Se i regolatori sanitari nazionali saranno d'accordo», ha affermato Simona Zipursky della Global polio eradication initiative a Ginevra, «il nuovo vaccino potrebbe essere distribuito in Paesi pilota selezionati entro due mesi dall'approvazione dell'Oms». Perché tutta questa fretta per una malattia della quale, in fondo, si contano poche centinaia di casi in tutto il mondo? Quella della procedura di emergenza, ha spiegato il 9 ottobre scorso Alejandro Cravioto, presidente del gruppo consultivo strategico di esperti sull'immunizzazione dell'Oms, «sarà un ottimo esercizio per noi per guardare come funziona, perché probabilmente alcuni dei vaccini contro il Covid-19 dovranno essere autorizzati per l'uso nello stesso modo». E in effetti, ai primi di ottobre l'Oms ha pubblicato il primo invito per le case produttrici di vaccini contro il Covid-19 a candidarsi per la procedura di emergenza. La quale, viene specificato, non equivale a una prequalificazione, ma ha lo scopo di fornire un elenco limitato nel tempo per prodotti senza licenza in un contesto di emergenza. Tutto chiaro, no? Non solo si chiude un occhio sui tempi di sperimentazione, che dovrebbero durare anni e non mesi, o addirittura settimane. Cosa ben più grave, si espongono le persone di una determinata popolazione ai rischi di un vaccino potenzialmente non sicuro. E dal momento che a essere coinvolti saranno i Paesi più colpiti dalla malattia, nulla esclude che nel caso del Covid a fare da cavia venga chiamata proprio l'Italia.D'altronde, quando si parla di vaccino contro il Covid-19 l'unico imperativo categorico sembra quello di fare presto. Eppure, come ha da poco ricordato Roberto Cauda, ordinario di Malattie infettive all'Università Cattolica e direttore dell'Unità di malattie infettive del Policlinico Gemelli di Roma, «occorre tenere presenti due aspetti essenziali e imprescindibili: efficacia e sicurezza a breve e lungo termine». Per questo, precisa Cauda, «non bisogna forzare i tempi ma convivere al meglio con il virus, continuando ad avere comportamenti responsabili». Ma il business del vaccino vale 100 miliardi di dollari, e Big Pharma scalpita per inondare il mercato dei propri prodotti. Costi quel che costi.
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