2018-10-25
Il ministro nel rione dello scempio. «Matteo, salvaci da questa giungla»
Matteo Salvini nel luogo dove Desirée è morta, un centinaio di no global lo ostacola al grido di «sciacallo». I residenti lo acclamano: «L'unico che fa pulizia». E lui parla dell'inchiesta: «Lavoro per mettere questi vermi in galera».Le verità taciute sulla fine di Pamela. Oseghale a giudizio tra un mese. Sull'omicidio Mastropietro restano molte ombre. Perché gli altri due nigeriani, Awelima e Lucky, sono usciti dall'inchiesta? Il corpo della ragazza è stato mutilato durante un rito tribale? Lo speciale comprende due articoli.«Salvini contestato al quartiere San Lorenzo: sciacallo!». Il titolo sulla versione online di Repubblica ieri pomeriggio faceva pensare a una situazione vista e rivista: un politico si reca sul luogo dove è avvenuto un grave fatto di cronaca e su di lui i cittadini riversano la loro rabbia, insultandolo. Repubblica si riferiva alla visita al quartiere San Lorenzo di Roma (dove all'interno di un edificio abbandonato è stata stuprata e uccisa, probabilmente da immigrati, la sedicenne Desirée Mariottini). Non è stato necessario soffermarsi più di tanto per capire, rivedendo i video della visita di Matteo Salvini sul posto, che il titolo di Repubblica riportava solo una parte della verità. La contestazione c'è stata, ed è stata talmente rumorosa da suggerire al ministro dell'Interno di rinviare di qualche ora il gesto di deporre una rosa bianca in memoria di Desirée. Però le immagini e le voci di ieri mattina, registrate dalle decine di telecamere presenti, non erano solo di contestazione ma anche di sostegno verso Salvini. Tanto è vero che lo stesso sito di Repubblica, subito sotto al titolone su «Salvini contestato», scriveva poi, a corredo del video pubblicato: «La piazza divisa: fischi e applausi».Perché di divisione si è trattato, come chiunque può verificare. Raccontiamola, questa mattinata di Salvini a San Lorenzo. Una mattinata di tensione, che inizia a salire prima dell'arrivo del ministro. Davanti allo stabile infatti, ben prima che Salvini si faccia vedere, un gruppo di femministe prepara la contestazione, con tanto di striscioni: «No alla strumentalizzazione sul corpo di Desirée» e «Le strade sicure le fanno le donne che le attraversano». Alcune donne del quartiere si avvicinano alle femministe, le rimproverano di non vivere la zona, di essere lì solo perché sta per arrivare Salvini. «Avete fatto lo show», dice una donna, «prendetevi le bandiere e andatevene». Le ragazze del comitato femminista però non ci pensano nemmeno ad andare via: aspettano Salvini, insieme agli attivisti di due centri sociali della zona.Al suo arrivo, il ministro dell'Interno è circondato, come sempre accade, da microfoni e telecamere. Salvini si sofferma a rilasciare qualche dichiarazione alla stampa: «Andiamo a chiedere conto», dice il vicepremier leghista, «a chi ha mal gestito Roma per anni. Chiedo ai cittadini di segnalare le situazioni a rischio. Ho chiesto al procuratore della repubblica di usare il pugno di ferro». Diversi cittadini avvicinano il ministro. Sono residenti della zona, c'è anche una donna che si qualifica come responsabile del comitato di quartiere. Tutti rivolgono a Salvini parole di apprezzamento. «Non ci abbandonare», «Ci fidiamo di te», «Siamo tutti con te», sono le frasi che vengono rivolte al ministro dalla gente del luogo. «Salvace da 'sta giungla», urla una donna, «da 'sti sciacalli, devi tornare». Sciacalli: l'insulto che viene urlato in coro da femministe e attivisti dei centri sociali, che scandiscono il coro «Sciacallo! Sciacallo!» verso Salvini, viene utilizzato dalla gente comune del quartiere per etichettare i contestatori. Il cortocircuito è totale: le persone che vivono i disagi di un quartiere ostaggio di spacciatori e delinquenti di ogni genere - un quartiere segnato dalla tragedia di Desirée - se la prendono con i contestatori, un gruppo organizzato, e «difendono» il ministro. Una donna si alza sul predellino di un'auto, riesce a rivolgersi direttamente a Salvini: «Questa non è una manifestazione politica», dice la signora, «noi stiamo con voi, perché non ce la facciamo più». La contestazione alla contestazione: succede e non è la prima volta, succede perché le proteste ideologiche ormai lasciano costantemente il passo alle lamentele delle persone comuni, dei cittadini costretti a vivere in quartieri in condizioni disastrose. Era accaduta la stessa cosa a Napoli, poche settimane fa, quando il «nordista» Salvini era stato applaudito e incoraggiato dalla gente del Vasto, quartiere centralissimo e completamente in balia degli immigrati, mentre qualche decina di contestatori dei centri sociali insultava.Salvini, in ogni caso, rinuncia ad entrare nello stabile abbandonato: «Se il buon Dio lo permette io torno», promette il ministro, che dopo poche ore, nel pomeriggio, riappare in via dei Lucani e depone una rosa bianca davanti all'ingresso dello stabile. «Non l'ho fatto stamattina per non creare altri problemi ai residenti perbene», spiega Salvini, in riferimento alle proteste dei centri sociali. «Si sta lavorando per mettere in galera questi vermi, queste bestie. La Procura e la questura hanno già le idee chiare, stanno facendo i riscontri del caso, temo che anche questa volta siano tutti cittadini stranieri. Tornerò qui», promette Salvini, «a incontrare i residenti, ma da ministro mi impegno a fare pulizia e a tornare con la ruspa. Ci sono 100 palazzine a Roma in queste condizioni, con delinquenti che difendono le occupazioni abusive e lo spaccio». Curiosità: ieri a San Lorenzo è andato anche il presidente del Pd, Matteo Orfini. Nessuno lo ha contestato, nessuno lo ha applaudito. Forse nessuno lo ha riconosciuto.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-ministro-nel-rione-dello-scempio-matteo-salvaci-da-questa-giungla-2614890554.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-verita-taciute-sulla-fine-di-pamela-oseghale-a-giudizio-tra-un-mese" data-post-id="2614890554" data-published-at="1758066107" data-use-pagination="False"> Le verità taciute sulla fine di Pamela Oseghale a giudizio tra un mese Macerata si scopre una «piccola» capitale del crimine: cinquantaseiesima provincia per reati in Italia, a un passo dai luoghi di 'ndrangheta e mafia a sancire ciò che è stato già certificato sul versante economico da Banca d'Italia e Istao e cioè che le Marche da regione iperproduttiva sono scivolate nel limbo di un Mezzogiorno privo di prospettive di sviluppo. Uno choc, e ora ha fretta, forse troppa, di buttarsi alle spalle lo scorso terribile invero. Con insolita rapidità è stata fissata l'udienza per l'omicidio di Pamela Mastropietro e la parte civile si trova spiazzata. Come se non si volesse più parlare né far parlare di quell'orrendo delitto. Macerata, che fu l'Atene delle Marche, ora è diventata una cattedrale delle associazioni a delinquere. Ma nel «conto» del Sole 24 Ore, che stila la classifica della criminalità, non ci sono la strage di Luca Traini (sei africani feriti il 3 febbraio scorso, lui condannato con il rito abbreviato a 12 anni), non ci sono cinque quintali di eroina sequestrati in sei mesi con più di cento arresti quasi tutti tra i nigeriani e non c'è l'orrendo delitto di Pamela Mastropietro, uccisa il 30 gennaio a soli 18 anni il cui cadavere è stato fatto a pezzi, scuoiato e fatto ritrovare in due trolley a Casette Verdini nelle campagne tra Pollenza e Macerata. Quel delitto, nonostante si sia fatto di tutto per dimenticarlo, oggi torna di stringente attualità. Si è molto enfatizzato il modello Riace, anche Macerata per opera del Pd che la governa ininterrottamente da trent'anni a suo modo voleva essere un modello per i migranti. Si è inzeppata di progetti Sprar tutti appaltati al Gus - al cui vertice ci sono Giovanni Lattanzi, responsabile nazionale del Pd per le politiche dell'immigrazione con la segreteria di Matteo Renzi, e Paolo Bernabucci, sodale di Laura Boldrini, ex presidente della Camera che è di Macerata - si è riempita di Onlus che assistono i migranti e tra queste la Acsim gestita da un nigeriano, in Italia da lungo tempo, ha superato ogni limite di presenza di immigrati, tanto che il sindaco dem Romano Carancini, che ha favorito in tutti i modi questa massiccia immigrazione, ha dovuto chiedere suo malgrado la clausola di salvaguardia per diminuire il numero di richiedenti, profughi e clandestini presenti in città. E lo stesso ha dovuto chiedere che le scuole siano presidiate dalle forze dell'ordine per frenare lo spaccio. Il delitto di Pamela Mastropietro è stato indicato come il motivo per cui il Pd nelle ultime elezioni politiche è crollato al minimo storico e la Lega è salita al massimo. Per l'uccisione, la violenza sessuale, il depezzamento e il vilipendio del cadavere di Pamela la Procura della Repubblica di Macerata ha chiesto e ottenuto due giorni fa dal gip il rinvio a giudizio di Innocent Oseghale, 29 anni nigeriano già arrestato per spaccio ospite del Gus (il Gruppo umana solidarietà, a sua volta rinviato a giudizio con l'accusa di una maxievasione fiscale sui proventi derivanti dall'attività di assistenza ai migranti: il Gus ha un bilancio che supera i 35 milioni di euro e conta 470 dipendenti, è la prima impresa di Macerata), che comparirà davanti al gup Claudio Bonifazi il 26 novembre. Oseghale è il solo imputato, e già questa è una stranezza perché altri due nigeriani che pure erano entrati nell'inchiesta sulla morte di Pamela, ne sono usciti. Lucky Awelima e Desmond Lucky (ospiti anche loro delle Onlus maceratesi), accusati di spaccio insieme a Oseghale, sono già comparsi davanti al gup. Con rito abbreviato Awelima è stato condannato a otto anni, gli è stata riconosciuta l'aggravante di aver spacciato davanti alle scuole anche se il pm non l'aveva chiesta. Lucky invece è stato condannato a sei anni. Ma questi due nigeriani sono collegati strettamente a Oseghale. Si è molto parlato della loro presenza nell'appartamento di via Spalato 35 a Macerata, dove Pamela è stata uccisa e fatta a pezzi, ma di tutto questo non c'è più traccia. Eppure esisterebbero delle intercettazioni in cui Awelima e Lucky affermano a proposito di Oseghale: doveva farla a pezzi piccoli, buttarla nel gabinetto e in parte mangiarla. Vedremo se nel fascicolo processuale c'è n'è traccia. Lo zio di Pamela, avvocato Marco Valerio Verri, che rappresenta sua sorella come parte civile, non ha mai avuto accesso agli atti e avrà meno di un mese per studiare un fascicolo di migliaia di pagine, quattro perizie tossicologiche e necroscopiche e cercare di sollevare in udienza i troppi interrogativi irrisolti e supportare il procuratore capo, Giovani Giorgio, che, a quanto si sa, avrebbe deciso di rappresentare l'accusa in aula. Proviamo a riassumerli, sapendo che saranno quelli che animeranno il processo. Il primo e più pressante interrogativo è sapere perché Pamela è finita nelle man di Oseghale. C'è un sospetto tremendo: che sia stata adescata per diventare vittima di un rito tribale. Tra le domande ce ne sono due che potrebbero condurre a questa abominevole conclusione: perché il cadavere di Pamela è stato scuoiato? Nel congelatore della casa degli orrori sono stati trovati pezzi di carne. Era carne umana? Erano di Pamela? Ma ecco altre domande cruciali. Come e perché il 29 gennaio si è potuta allontanare dalla Pars, la comunità di recupero dove veniva curata, non avendo soldi in tasca? Ecco l'enigma dei tre tassisti. Si è detto che Pamela ha trascorso la notte con un uomo, un tassista, che in cambio di una prestazione sessuale le avrebbe dato 50 euro accompagnandola, la mattina del 30 gennaio, alla stazione di Macerata dove la ragazza voleva prendere un treno per tornare a Roma. Ma lo ha perso e si è fatta portare da un altro tassista (che con la sua testimonianza ha fatto risalire a Oseghale) ai giardini Diaz. Per la corsa ha pagato solo 5 euro perché non aveva altri soldi. E i cinquanta euro? Ma i soldi Pamela li aveva sì o no e perché il primo tassista non è entrato nell'inchiesta? C'è un terzo tassista: è quello (abusivo) che il 31 gennaio ha portato Oseghale a Casette Verdini dove ha abbandonato sulla strada i trolley con i resti della ragazza. Saprebbe lui rispondere a queste domande: perché Oseghale lascia visibili le due valige? È un avvertimento? È la cerimonia finale del rituale dei sacrifici umani della mafia nigeriana? C'è un altro mistero. La compagna di Oseghale dice di averlo chiamato nelle ore in cui Pamela veniva uccisa e di aver sentito distintamente che con lui c'erano nella casa di via Spalato altre persone. Se non erano Awelima e Lucky chi erano? Oseghale dice di non aver ucciso la ragazza, ma di averla «solo» fatta a pezzi perché si è spaventato dopo che lei è morta. Chi ha visto i resti di Pamela sostiene che sul corpo si è operato a lungo e con non comune abilità. Possibile che Oseghale si sia spaventato perché Pamela muore per droga (la perizia tossicologica lo esclude) e però abbia la freddezza di farla così chirurgicamente a pezzi? E vi è un'ultima domanda alla quale il processo dovrà rispondere: come mai il procuratore capo Giovanni Giorgio denunciò pubblicamente che gli interpreti nigeriani erano stati intimiditi al punto tale da rinunciare all'incarico compromettendo così gli interrogatori e non si è aperta un'inchiesta? Chi ha fatto pressioni e perché sugli interpreti? E come mai Daniel Amanze, il responsabile dell'Acsim, ovvero la Onlus dei nigeriani, all'indomani del rocambolesco arresto di Lucky Awelima (avvenne a Milano con dispiegamento di forze quando si sospettava che c'entrasse con la morte di Pamela) denunciò il furto dei computer della sua associazione e di quell'inchiesta non si è saputo più nulla? Cosa custodivano quei computer? Questi e molti altri sono gli interrogativi che anche Marco Valerio Veri è chiamato a dirimere. «Il tempo che ci hanno dato è pochissimo», sembra quasi denunciare, «per tre volte ho chiesto di avere accesso al fascicolo e per tre volte mi è stato negato. Ci sono molte incongruenze, vedremo di studiarle, certo è che mi è sembrato che vi fosse una gran voglia di chiudere il caso. Noi come parte civile faremo tutte le domande, ne stiano certi. Noi vogliamo tutta la verità, per quanto scomoda e orribile possa essere». Quale potrebbe essere questa orribile verità? Macerata forse teme di scoprirsi cattedrale della mafia nigeriana? Teme che la fine di Pamela sia stata un orribile atto tribale in un luogo in cui scorre un fiume di droga che alimenta traffici criminali?