2023-08-26
Il ministro Mattarella rassicurava: «Uranio? Non c’è nessun allarme»
Tra 2000 e 2001, l’attuale inquilino del Quirinale, all’epoca ministro della Difesa, si impegnò strenuamente per smontare la preoccupazione sugli avvelenamenti dei soldati: «Non ci sono rischi accertati. E poi è legale».È il 26 gennaio del 2000 quando Sergio Mattarella, nella sua qualità di ministro della Difesa, risponde per la prima volta a un’interrogazione parlamentare sul tema dell’uranio impoverito. Secondo l’allora ministro, tutto si svolgerebbe a norma di legge: «La nostra normativa, che risale al 1995, cataloga l’uranio impoverito nel quarto gruppo dei radioisotopi a debole radiotossicità di cui è consentito l’impiego anche per usi civili. La stessa condizione si registra in ambito internazionale». Tuttavia, «in assenza, comunque, di conclusioni medico-scientifiche univoche in materia, la stessa Organizzazione mondiale della sanità ravvisa l’esigenza di ulteriori valutazioni e monitoraggi di medio e lungo periodo». E per quanto riguarda i nostri militari di stanza in Kosovo? «In questo contesto, tengo a precisare che le Forze armate italiane non impiegano munizioni all’uranio impoverito e confermo l’impegno ad operare, come stiamo facendo, affinché nel contesto internazionale, cresca la consapevolezza dei potenziali rischi connessi all’utilizzo di questo tipo di munizioni». Tutto in ordine quindi, tanto che l’agenzia stampa Ansa titola così il lancio sulle dichiarazioni del ministro: «Kosovo: Mattarella, nessun rischio-uranio per soldati italiani». Ma le interrogazioni non si fermano, e il 7 giugno il ministro della Difesa è di nuovo alla Camera, dove afferma che per i nostri soldati sono state adottate precauzioni: «Per quanto attiene al contingente italiano, fin dal suo ingresso in Kosovo vi è stata la consapevolezza del possibile rischio di inquinamento ambientale. Per questo motivo sono state adottate misure di protezione immediate, tra cui un’adeguata attività informativa, un attento monitoraggio ambientale preliminare all’ingresso dei nostri soldati nelle aree in questione e la disponibilità di reparti specializzati nel monitoraggio e nella bonifica di aree pericolose». «In aggiunta» aveva precisato «sono stati svolti controlli approfonditi, […] da parte di esperti in fisica del centro interforze di studi per le applicazioni militari». Per Mattarella «l’insieme di queste misure e di questi controlli » aveva «permesso di accertare subito, sin dall’inizio, e di confermare anche di recente che i livelli di inquinamento radioattivo misurati nelle aree in cui vi sono soldati in Kosovo sono al di sotto dei limiti di sicurezza previsti dalle norme italiane per il nostro territorio nazionale e, quindi, senza alcuna configurazione di pericolo». Tesi che poggiano sicuramente su dati forniti al ministero dalle autorità militari. Ma che, alla luce delle conclusioni dell’ultima Commissione d’inchiesta del Parlamento, con il senno di poi richiamano una parola usata spesso e a sproposito dall’attuale opposizione parlamentare: negazionismo. Il 16 dicembre del 2000, rispondendo ai giornalisti a margine cerimonia del giuramento degli allievi ufficiali del 182° corso dell’ Accademia di Modena, Mattarella è netto: «Non c’è alcun motivo di allarme». Aggiungendo poi che le verifiche effettuate «consentono di dire che non vi è motivo di allarme, che non vi è collegamento tra l’uso di uranio impoverito che c’è stato in Kosovo e in qualche località della Bosnia in maniera assai più ridotta, con gli allarmi di cui si parla». Il 20 dicembre Mattarella viene sentito sul tema dell’uranio impoverito dalla IV commissione Difesa della Camera, dove spiega che «in ambito Onu, in questi anni, non è stato mai sollevato il problema del rischio d’inquinamento da uranio impoverito in tale zona». Ricordando poi che «l’Onu aveva autorizzato gli interventi aerei in Bosnia ed era codecisore delle operazioni, tanto che si è definita quella condizione come di “doppia chiave” Onu-Nato. È quindi significativo che in ambito Onu, protagonista degli avvenimenti, non sia stato sollevato in questi anni il problema». Va detto che , l’allora ministro riponeva piena fiducia nei vertici delle forze armate, tanto che il 4 gennaio del 2001, rispondendo indirettamente, alle critiche di alcuni esponenti di An che, il giorno prima avevano ipotizzato che non fossero state fornite tutte, le informazioni sul caso, aveva liquidato così le polemiche: «Non è in discussione il leale impegno dei vertici militari, di tutti i vertici militari, cui va il mio più grande apprezzamento». E rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano se fosse possibile che i vertici militari sapessero e che non abbiano informato il governo di allora poiché all’ epoca non esisteva l’ allarme-uranio aveva chiosato: «La Nato ha sempre detto di non aver comunicato queste notizie perché non le riteneva importanti». Neanche una settimana dopo, il 10 gennaio, rispondendo, stavolta nell’aula del Senato, all’ennesima interrogazione aveva premesso: «Va ricordato che non è dimostrato un collegamento tra uranio impoverito e le patologie di cui parliamo, argomento su cui, come ho ricordato, dovrà esprimersi la commissione scientifica». Poi era entrato nei tecnicismi illustrando l’utilità di quel tipo di armamento: «Il munizionamento all’uranio impoverito contribuisce ad accrescere la potenzialità bellica sul campo ma, come tanti altri ritrovati bellici, ha sollevato degli interrogativi sulle conseguenze del suo utilizzo». Poi aveva, ancora una volta, ricordato la regolarità dell’utilizzo di quei proiettili: «È tuttavia doveroso ricordare che, sulla base del diritto internazionale, l’uso del munizionamento all’uranio impoverito è considerato legittimo, anche perché non vi sono convenzioni internazionali che lo proibiscano».
Il racconto di Andrea La Caita, l'uomo che segue il ristorante Cascina Romana di Claudio Amendola
Edoardo Agnelli con il padre Gianni (Ansa)