2018-12-24
«Il Me too? Due pezzi grossi della politica ci provarono con me. Ma basta dire di no»
Il volto tv Rita Dalla Chiesa: «Ma che Natale è con i ragazzini piegati sul telefonino e le luminarie fin da ottobre. Riscopriamo il valore del presepe. Il governo? Sento parlare di tante cose di cui sinceramente capisco poco. Credo che le priorità per gli italiani siano due: la sicurezza e le tasse eccessive».«Quest'anno il Natale mi ha già stufato». Un'uscita controcorrente, che certo non ti aspetti dalla rassicurante Rita Dalla Chiesa, storico e popolare volto televisivo che sul contegno cortese ha ricamato la sua vita professionale e familiare. «A Roma c'erano le luminarie già a ottobre, ormai il Natale è diventato una follia collettiva. Gente che sfreccia in auto per l'ultimo regalo, tutti più arroganti che nel resto dell'anno». Insomma, stiamo smarrendo il senso di questa festa? «Sarà banale dirlo, ma sì: non bisogna rinunciare agli sfizi, ma per me il senso del Natale resta il presepe, il bambino nella mangiatoia e quel piccolo momento di preghiera, in solitudine, la sera della vigilia. Ma a Roma, purtroppo, i problemi li abbiamo tutto l'anno».Quali problemi?«L'altro giorno esco di casa e mi si presenta davanti un topo enorme. Sono animalista convinta, ma fino a un certo punto. D'altronde qui svuotano i cassonetti ogni quattro giorni e queste bestie arrivano. La bolletta della spazzatura invece non tarda mai». Ma Roma con questi problemi ha sempre convissuto. O no? «No, mi creda. Vivo qua dal 1976 e non ho mai visto una gestione del genere. Sulle strade, sai quando parti e non sai quando arrivi. Le radici degli alberi hanno sollevato il manto stradale e rischi di inciamparci sopra. Ci sono interi quartieri senza illuminazione, e hai paura a metterci piede. Vogliono mobilitare l'esercito per le buche nell'asfalto. No, non è normale». Lei ha votato il sindaco Virginia Raggi?«No. E non ne faccio una questione di partiti, ma di persone. A Roma di simpatizzanti 5 stelle ne incontro tanti, alcuni di grandissima levatura mentale e morale. Forse per il Comune hanno scelto le persone sbagliate». Il governo sta lavorando bene?«Sento parlare di tante cose di cui sinceramente capisco poco. Credo che le priorità per gli italiani siano due: la sicurezza e le tasse eccessive. La sicurezza è un'emergenza vera: persino io, che vivo in un buon quartiere, sto pensando di acquistare lo spray urticante, quello antiaggressione. Invece le tasse stanno causando tragedie: conosco tanti imprenditori che devono scegliere se pagare le imposte o i propri operai». Apprezza il premier Giuseppe Conte? «Non è un uomo di potere. Sicuramente è una persona perbene, ma spesso non basta: per fare politica bisogna anche avere pelo sullo stomaco e sporcarsi le mani. Anche facendo cose impopolari, se occorre». Oggi quale politico stima di più?«Affettivamente sono rimasta molto legata a Silvio Berlusconi, che ho conosciuto ben prima dell'avventura politica. Nessuno potrà mai togliergli un merito: quello d'aver creato un impero con le sue forze, dando a tante persone la possibilità di lavorare». Oggi lo frequenta ancora?«L'ultima volta l'ho sentito qualche mese fa. Uno scambio di pura cortesia, sempre con grande rispetto. Pensi che ci diamo ancora del lei, e ancora oggi non possiedo il suo numero di cellulare». E gli altri?«Apprezzo Giorgia Meloni, grintosissima, non si ferma davanti a niente. Mentre Matteo Salvini è un uomo che, quando non deraglia, ha i titoli per diventare un punto di riferimento carismatico. Gli italiani sentono un gran bisogno di certezze». Da pochi giorni lei ha una certezza in più: è stata appena restituita la scorta a protezione del Capitano Ultimo, che contribuì, tra le altre cose, ad arrestare Totò Riina. «È stata una mia battaglia personale, sono felicissima. Sono uomini costretti a vivere nell'anonimato, che sacrificano tutto per un intimo principio di legalità. Se diamo la scorta a Roberto Saviano, possiamo forse non garantirla al Capitano Ultimo?».La scorta gli era stata sottratta il 3 settembre, giorno dell'anniversario dell'omicidio di suo padre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Come interpreta questo gesto?«Un segnale volgarmente immorale. E non credo sia stata una coincidenza, ma una scelta consapevole. Non so, è una delle mie sensazioni di pancia che raramente mi tradiscono. Ultimo, del resto, era molto vicino a mio padre». La mafia non è più così potente? «Al contrario. Molti pensano che morto Riina, la mafia abbia abbandonato il campo. Sbagliato: è ancora lì. Lo dimostra l'ultima operazione guidata a Palermo dal colonnello Antonio Di Stasio. La cupola è ancora solida».Siamo distratti da altre priorità? «Fa comodo parlarne meno, ma gli atteggiamenti mafiosi si moltiplicano. Prendiamo la storia delle sorelle Napoli a Mezzojuso: stanno resistendo alla malavita che voleva mettere le mani sull'azienda agricola lasciata dal padre. Quelle donne hanno il volto della Sicilia perbene, e la gente gli ha tolto il saluto. Perché lo Stato non le difende?». Che rapporto aveva con suo padre?«Abbiamo passato tutta la vita, diciamo così, in allarme rosso. Prima con la paura delle Brigate Rosse, e poi della mafia. Abbiamo vissuto a Palermo in due momenti diversi: quando comandava la legione dei Carabinieri erano anni bellissimi, godevamo ancora di una certa libertà». Poi nel 1982, da prefetto, la guerra a Cosa Nostra.«Il clima cambiò all'improvviso. La strage della Circonvallazione, le lettere anonime. Mi veniva a trovare a casa, spesso in maniera furtiva. Poi rilasciò quell'ultima intervista a Giorgio Bocca: “La mafia colpisce chi è solo". Negli ultimi giorni era totalmente isolato. Non gli rispondevano più neanche al telefono». Al funerale c'erano assenze importanti.«Non c'era Giulio Andreotti. Quell'assenza per me ha rappresentato un affronto enorme. Non c'è mai stato un chiarimento, ho fatto in modo di non incontrarlo. Ricordo sulla bara una corona di fiori inviata della Regione Sicilia, che con mio padre non c'entrava niente. La tolsi di mezzo, e chiesi a un capitano dei carabinieri di recuperare i suoi oggetti più preziosi: il berretto, il tricolore e la sciabola di papà».Da figlia, ci sono stati momenti perduti?«Mio padre non ci ha mai fatto mancare la sua presenza, o anche solo la sua voce. Telefonava ogni sera a tutti e tre i fratelli. Ci è sempre stato vicino, soprattutto dopo la morte di nostra madre. Ed è stato anche un grande nonno: mi spiace che alcuni nipoti non abbia potuto conoscerli». L'ultima volta che vi siete sentiti?«Mi ha telefonato in redazione, lavoravo a Gioia. Frasi semplici, come stai. Mi fece gli auguri per l'esame di giornalista che stavo preparando. E che purtroppo ho dovuto rimandare». Si possono perdonare gli assassini? «No, non perdonerò mai».Quest'anno, in particolare, non è stato facile per lei. La scomparsa di Fabrizio Frizzi ha commosso tutta Italia. «Sono stati mesi pesanti, come fossi stata picchiata sul ring. Mi hanno messo all'angolo, ma non mi sono piegata. Anche se, con il passare degli anni, ogni colpo alla tua serenità fa più male. Avverti una solitudine diversa, che devi esorcizzare cercando di farti forza e stando il più possibile in mezzo alla gente». Del resto è stata una persona fondamentale nella sua vita.«Lo conoscevo da 36 anni. Era un marito, un amico, un confidente, il secondo papà di mia figlia Giulia. A volte su tante cose che mi incuriosiscono mi chiedo: cosa penserebbe Fabrizio? Avrei bisogno di confrontarmi con lui anche oggi. E con il cuore, dentro di me, ci parlo ancora. Così come parlo ancora con i miei genitori». Un personaggio come lei, così amato dal pubblico televisivo, cosa ama guardare alla tv? «Documentari, i viaggi, musica, sono una vera canzonettara. Sullo schermo mi fa paura la volgarità, la finzione urlata. Se vedo due politici che litigano, d'istinto cambio canale. Considero la televisione comunque un'espressione culturale: si può essere popolari conservando l'educazione». È molto attiva anche sui social network. Ci sono effetti collaterali? «Se usati male, soprattutto sui giovani, possono diffondere valori sbagliati. E oggi molti genitori scivolano nel lassismo. Piuttosto che vedere i ragazzi abbandonati davanti al telefonino, preferisco quando scendevano in piazza, magari un po' ideologizzati, ma con qualcosa in cui credere». Che ne pensa della strage nella discoteca di Corinaldo? «Penso che le mamme non possono portare bambini di undici anni ad aspettare il divo in discoteca, quello che prima dell'una di notte non arriva. Io accetto tutti i tipi di famiglie, antiche o moderne, tutte con pari dignità. Ma i paletti con i figli bisogna metterli sempre». È stato anche l'anno del Me too, il grande movimento femminista antimolestie. Che consiglio vuol dare alle giovani donne che si incamminano nel mondo del lavoro? «Che le molestie vanno sempre denunciate. Ma anche che siamo dotate di parola: spesso basta dire un no. E non accettare appuntamenti di lavoro in luoghi che con il lavoro hanno poco a che fare». A lei è capitato? «Ci sono stati inviti altamente equivoci da parte di un paio di politici importanti della prima Repubblica. Ero giovane, e in un caso anche sposata. Una donna capisce bene quando dietro un invito c'è qualcosa che non va. Allora sa cosa ho fatto? Ho sfoderato un gran sorriso e ho risposto “no grazie"».