2020-05-19
Il maxi prestito per Fca fa a pezzi la sinistra
Matteo Renzi difende la Fiat e Carlo Calenda attacca: «Appecoronato». Nel Pd Andrea Orlando vuol riportare la sede in Italia, Andrea Marcucci loda l'accordo. Il neo direttore di Repubblica non pubblica un comunicato contro il finanziamento: redazione in rivolta. E Gad Lerner se ne va.«Il nonno, quando faceva le automobili, non aveva mai fretta ma non ti lasciava mai il tempo». È difficile non tornare a Gianni Agnelli e alle sue talvolta fumose metafore nel dibatterci dentro la notizia più vintage del momento: la Fiat chiede soldi con garanzia dello Stato. Corre un brivido di nostalgia, vestivamo alla marinara, Luciano Lama avrebbe detto ni, l'avrebbero chiamata rottamazione e gli italiani avrebbero cambiato felici la 128 con la Duna pensando che il governo stava facendo loro un piacere. Nell'Italia del coronavirus è un po' più difficile far passare la favola, che infatti suscita tempeste politiche a ogni latitudine.I 6,3 miliardi di Fca stanno incrinando alleanze a sinistra, rompendo amicizie fra leader, creando pericolose discrasie fra rivoluzionari da scrivania e liberisti da divano. E infine terrorizzando i parlamentari del Movimento 5 stelle, i quali già temono di dover far digerire la richiesta di John Elkann ai loro elettori e ai percettori del reddito di cittadinanza. La sede fiscale in Olanda diventa un casus belli, la reazione dell'italiano medio sui social è sintetizzabile nella frase: «Un po' di pudore». La lite più rumorosa avviene nel ridotto lib dem dove Matteo Renzi e Carlo Calenda sono su fronti opposti. L'ex premier è al fianco degli Agnelli: «Bene Fiat Chrysler che chiede il prestito per tenere aperte le fabbriche in Italia. Sbagliato evocare poteri forti e interessi dei padroni. È un prestito che serve a investire in Italia, che male c'è? Mi sarei preoccupato se non lo avesse fatto». L'ex ministro Calenda non la prende bene: «Fca non ha mai rispettato il piano degli investimenti previsto per l'Italia, avrebbe la liquidità per sostenere il gruppo ma la tiene nella capogruppo per distribuire un maxidividendo prima della fusione con Psa. E quel maxidividendo non verrà tassato. Siete talmente appecoronati ai grandi gruppi che non riuscite neanche a fare un negoziato come Dio comanda». Poi, a Luigi Marattin che interviene a difesa del capo, risponde duro su Twitter: «Se Fca ha i mezzi propri per garantire il finanziamento e lo chiede allo Stato, lo Stato deve chiedere di non distribuire dividendi fino al rimborso e di rispettare il piano investimenti. Il resto è fuffa per gonzi che non hanno mai gestito un bar». Delikatessen.Nel Pd è tutto un distinguo che si riverbera sul governo. Per ora Giuseppe Conte si limita a una banalità: «Le fabbriche e i lavoratori producono in Italia». Il vicesegretario Andrea Orlando è scettico e critica Renzi: «Un'impresa che chiede ingenti finanziamenti allo Stato riporta la sede in Italia. Nessuno ha parlato di padroni e poteri forti, bensì di sedi legali e fiscali, garanzie degli investimenti e dei livelli occupazionali». Andrea Marcucci, capogruppo al Senato, sostiene il contrario: «Il prestito serve a garantire lo stipendio ai dipendenti e ai fornitori di tutta la filiera. Resta il tema di una fiscalità omogenea a livello europeo».È la consueta strategia Fiat, chiedere finanziamenti per la buona causa del lavoratore italiano. La pistola nel cassetto sembra sufficiente a far cantare nel coro degli entusiasti anche sindacalisti pop come Marco Bentivogli e Maurizio Landini. L'adesione è totale. Il segretario della Fim Cisl con una critica implicita al governo: «Questa è una polemica da salotto radical chic, Fca chiede un prestito per fare da garante alla filiera che non riesce ad accedere alla liquidità promessa». Il numero uno della Cgil con un allegato: «Chiediamo che quei soldi siano finalizzati, che non ci siano delocalizzazioni e siano garantiti i livelli occupazionali».Sull'altra sponda del fiume politico, la posizione di Matteo Salvini è almeno originale: «Sicuramente preferisco Giorgio Armani che ha detto: portiamo le sfilate da Parigi a Milano. Detto ciò, se ci sono migliaia di posti di lavoro in ballo, prima di dire no un pensierino lo farei». Tornando a sinistra, un no secco arriva invece da Romano Prodi e agita ancora di più le acque: «Solo un quarto della produzione è in Italia e fra pochi mesi sarà un ottavo. Fiat non è più italiana, bisogna avere garanzie». Contestazione generale a gauche, anche dentro la galassia Gedi. Il direttore della Stampa, Massimo Giannini, per difendere il prestito garantito all'editore usa il bazooka e scrive che le semplificazioni di Orlando sono una minaccia per la democrazia perché «nascono dallo stesso agente patogeno degli odiatori professionali che banchettano su Liliana Segre e Silvia Romano». A La Repubblica il comitato di redazione si dimette perché il direttore Maurizio Molinari si rifiuta di pubblicare un comunicato di presa di distanza dall'operazione. La molto presunta diversità morale salta in aria in un amen e Gad Lerner se ne va: «In poche settimane Repubblica è già cambiata, non la riconosco più». Assemblea, minaccia di sciopero. «Ciò che è bene per la Fiat è bene per l'Italia», disse Giovanni II detto l'Avvocato prima di tuffarsi nudo dallo Stealth. Mutano le ere geologiche e quelle politiche, ma la dolce maledizione del monarca continua a perseguitare i sudditi.