2022-05-17
        Il Mali ha rotto il fronte anti jihad. E dietro c’è l’ombra del Cremlino
    
 
La giunta militare esce dall’accordo 5G che vedeva Stati africani lottare contro il terrorismo. Una decisione che fa saltare lo schema Ue di controllo sul Sahel. E che agevola la destabilizzazione con flussi di immigrati.È vero che i giornali italiani non vendono copie in Mali e quindi tendiamo a disinteressarci di quanto accada dalle parti del Sahel. Però quanto accade là è come una onda che poi arriva a imbattersi sulle coste dell’Europa. E quindi direttamente contro il nostro Paese. Ieri la giunta militare di Bamako ha comunicato l’intenzione di uscire dall’accordo del 5G. Si tratta di una partnership congiunta tra Mali, Mauritania, Burkina Faso, Niger e Ciad che messa in piedi al tempo dai francesi mira alla lotta congiunta alla jihad e soprattutto alla condivisione con le forze armate e le intelligence europee di informazioni fondamentali per la lotta al terrorismo e i tentativi di contrastare l’immigrazione di massa. A spingere il colonnello Assimi Goita, militare di riferimento della nuova giunta, è stato ufficialmente la diffidenza dell’altro Paese membro il Ciad che a sua volta aveva messo in discussione il semestre di guida targato Bamako. La realtà è che almeno due dei cinque Paesi sono guidati da militari direttamente sostenuti dai mercenari russi del gruppo Wagner e un terzo, il Niger, è sotto forti pressioni cinesi. Se, come sembra ormai essere inevitabile, l’addio del Mali e il congelamento del Burkina Faso dal gruppo del 5G diventeranno entrambi realtà, salterà l’intero schema di controllo europeo sul Sahel. È vero che fino a poche settimane fa a menare le danze era la Francia, il che lasciava a Emmanuel Macron un potere di veto su numerosi interventi tedeschi e italiani, ma l’avanzata russa deve preoccuparci infinitamente di più. La giunta maliana ha cacciato i militari francesi, messo al bando le forze speciali danesi e invitato i rappresentanti della missione Takuba (tra cui gli italiani) a fare i bagagli e spostarsi in Niger. Tutto ciò nel momento in cui i nostri soldati sarebbero stati pronti a entrare nella fase operativa. Invece, ora, dovrà ripartire l’iter di riavvio logistico e a cui saranno da aggiungere numerose camere di compensazione. Per esempio, il contingente svedese ha annunciato l’addio proprio per evitare il rischio di scontri diretti con i russi di Wagner.Le scelte della giunta del Mali impattano anche sulla presenza tedesca. Lo scorso anno i due ministri della Difesa, italiano e tedesco, si erano incontrati per rendere ancora più stretti i rapporti tra i nostri militari e quelli della Bundeswehr, inquadrati nella missione Gazelle. Quest’ultima aveva iniziato, a partire dal 2019, un processo di integrazione dal Niger verso il Mali mettendo piede nella missione Eutm Mali. In poche parole, l’obiettivo europeo sarebbe stato quello di dividersi zone di competenza per coprire maggiormente il Sahel e prepararsi a stabilizzare l’area fino al Fezzan e poi in Libia. L’intervento a gamba tesa dei russi, tramite il sostegno a golpe, comincia a dare i primi effetti. Rompere la tela di intelligence Ue prima che si sia saldata significa, per Wagner e quindi il Cremlino, avviare scontri localizzati con i jihadisti e quindi di rimando creare dei corridoi per spingere i clandestini su nuove rotte. Tradotto: una forma ulteriore di destabilizzazione del Vecchio continente. Su due versanti. Il primo riguarda l’uso dei migranti economici come arma geopolitica. Il secondo tocca invece le materie prime. Meno siamo presenti, meno tocchiamo palla. Più sono presenti i russi, più i cinesi crescono e inglobano le economie locali. In Africa, infatti, l’asse sinorusso si salda con il passare dei mesi. I due Paesi trovano sponde reciproche e soluzioni complementari. Ad esempio, sul problema dei pagamenti. Stati tecnicamente falliti come il Mali tendono a pagare i militari privati direttamente con concessioni minerarie. I cui frutti vengono rivenduti immediatamente a Pechino, che sfrutta a quel punto la propria logistica ufficiale che va dall’Africa all’Asia. Al tempo stesso, stando a quanto emerso a un vertice ristretto di Aqaba (alla presenza del comandante di Africom), sfruttando la corsia inversa della logistica, sarebbe la stessa Cina a rifornire Wagner di armi, munizioni, mezzi e del necessario per muoversi in luoghi ostili. Un patto che salda la presa sul Sahel e permette ai due colossi di aggredire la presenza europea e occidentale. E permette anche alla Cina di superare le proprie difficoltà in loco. Pechino ha da sempre difficoltà a misurarsi militarmente con jihadisti o fazioni africane. Tende, infatti, a preferire l’approccio economico e la persuasione del potenziale arricchimento. Per affrontare invece società così fratturate ci vuole quella aggressività lucida dimostrata dalla lunga mano di Putin. Tanto più efficace perché è supportata in parallelo dai legami ufficiali. Mosca ha spinto il piede sull’acceleratore della collaborazione militare. Non mancano immagini di Antonov che atterrano nei pressi di Bamako per scaricare elicotteri russi e istruttori militari. Ovviamente, almeno per ora, non può esserci saldatura tra il mondo dei militari che indossano la divisa e quello dei mercenari, ma il rischio che accada grazie all’amicizia cinese è concreto. Per questo sarebbe il caso che l’Italia e l’Ue non desistano. Trovino un Paese da trasformare in ariete contro Mosca e poi cambino le regole d’ingaggio. I mercenari si combattono solo con altri mercenari.