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2025-11-03
Guttuso, De Pisis, Fontana. L’Espressionismo italiano in mostra a Vercelli
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Una mostra davvero importante quella in corso allo Spazio Arca di Vercelli (innovativo e modernissimo polo culturale situato all'interno della suggestiva ex Chiesa di San Marco), che pone l’accento su uno dei movimenti più potenti e viscerali del Novecento italiano: l’Espressionismo. Ma chi sono gli espressionisti italiani e cosa esprime la loro arte, così distante dagli accademismi e refrattaria ad ogni tipo di costrizione?
L’Espressionismo italiano
Movimento complesso e forse meno conosciuto di altri, l’Espressionismo italiano si snoda nei difficili decenni che vanno dal 1920 al 1945, quando i venti del nascente Regime fascista sfoceranno nella tempesta del secondo conflitto mondiale e l’arte, pur non diventando mai un’ arte di Stato o totalmente propagandistica ( come accadde per esempio nell’ex Unione sovietica e nella Germania nazista), assunse un forte carattere di italianità, celebrativo e retorico. Figura di punta del panorama artistico e intellettuale del tempo Margherita Sarfatti e il movimento artistico del Novevcento, sostenitori di una pittura più figurativa e tradizionale, in contrasto con le avanguardie dell'epoca Futurismo in primis. Ecco. L’Espressionismo italiano, che assunse sfumature diverse a secondo dei vari «Gruppi» di artisti (i Sei di Torino, il Gruppo Corrente di Milano e la Scuola Romana di via Cavour quelli più famosi) nasce proprio in opposizione a questi rigidi stigmatismi e si apre all’Europa, ispirandosi al Der Blaue Reiter tedesco, al Fauvismo francese e ai grandi Maestri come Van Gogh e Picasso. Gli Espressionisti sono essenzialmente artisti liberi: liberi di pensare, liberi di guardare altrove, liberi nei contenuti. Oggetto della loro arte non è il sogno, ma la vita reale, le tensioni interiori, la condizione umana, e i colori intensi un modo per rappresentare la soggettività e trasmettere emozioni e verità profonde, anche quando le figure si deformano, per la gioia o per il dolore.
Guttuso, Fontana, Sassu, Vedova, De Pisis, ma anche Antonietta Raphaël, Fausto Pirandello , Mario Mafai, Carlo Levi e Pietro Martina i più noti (ma non i soli) Espressionisti italiani , tutti ( o quasi) riuniti nella straordinaria mostra vercellese, un’esposizione di altissimo valore che riunisce un importante numero di opere appartenenti alla prestigiosa Collezione Giuseppe Iannaccone, costituita, ad oggi, da circa cinquecento opere: circa centoventicinque pezzi per quanto riguarda l’arte moderna (dal 1920 al 1945) e ben oltre trecentocinquanta lavori di arte contemporanea.
La mostra
Curata da Daniele Fenaroli, la mostra si articola in un percorso espositivo che si sviluppa per nuclei tematici, esplorando il colore come forma di resistenza, il ritratto come ricerca dell'identità e il presente come soglia inquieta della memoria. Tra le opere più significative, l’umanità trasfigurata e deforme di Renato Birolli, le nature morte eloquenti e l’ironia tragica di Pirandello (bellissima la sua Siesta Rustica), Broggini, Ziveri, Valenti e Badodi; autoritratti e ritratti ( Ritratto di Mimise e Ritratto di Antonino Santangelo di Renato Guttuso in assoluto i miei preferiti…) lontani da ogni forma di idealizzazione ma specchio fedele dell’irriducibile complessità umana. Straordinaria, a dominare la terza sezione della mostra, si palesa al visitatore in tutta la sua bellezza La Battaglia dei tre cavalieri (1940-1941) di Aligi Sassu, maestosa scena mitologica caratterizzata da un dinamismo e uno sforzo fisico accentuati, con linee e colori espressivi che suggeriscono un movimento frenetico e una forza travolgente. Evidente il legame con la violenza del conflitto mondiale e l’inutilità della guerra (dove a morire è lo spirito umano e non solo i corpi), sebbene Sassu non l'abbia mai esplicitamente confermato…
A dialogare con Sassu e i grandi Maestri espressionisti una giovane voce del contemporaneo: Norberto Spina
Norberto Spina
Milanese, classe 1995, una laurea all’Accademia di Brera, Spina, la cui poetica si fonda sulla sovrapposizione di memoria personale e collettiva, è presente a Vercelli con una preziosa opera prestata dalla Royal Academy di Londra e opere site specific.
Il suo originale Presente, che rielabora un particolare del Sacrario di Redipuglia voluto da Mussolini nel 1938, si concentra sulla monumentalità del potere, che a distanza di decenni, continua a porci interrogativi. Guardare oggi le opere in mostra, accanto a quelle di Norberto Spina, significa non soltanto recuperare una pagina fondamentale della storia dell’arte italiana, ma anche riconoscere quanto quella stagione parli ancora al nostro presente. Non come immagine passata, ma come un linguaggio vivo e potente, capace di dirci (e insegnarci) ancora molto…
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Da Guttuso a Fontana, passando per De Pisis e Vedova, allo Spazio Arca di Vercelli un’inedita mostra (sino all’11 gennaio 2026) racconta l’Espressionismo italiano attraverso un nucleo significativo di opere realizzate tra il 1920 e il 1945 e appartenenti alla sezione storica della collezione Giuseppe Iannaccone. Tra capolavori noti e lavori mai esposti prima, in mostra anche una giovane voce dell'arte contemporanea: Norberto Spina. Una mostra davvero importante quella in corso allo Spazio Arca di Vercelli (innovativo e modernissimo polo culturale situato all'interno della suggestiva ex Chiesa di San Marco), che pone l’accento su uno dei movimenti più potenti e viscerali del Novecento italiano: l’Espressionismo. Ma chi sono gli espressionisti italiani e cosa esprime la loro arte, così distante dagli accademismi e refrattaria ad ogni tipo di costrizione?L’Espressionismo italianoMovimento complesso e forse meno conosciuto di altri, l’Espressionismo italiano si snoda nei difficili decenni che vanno dal 1920 al 1945, quando i venti del nascente Regime fascista sfoceranno nella tempesta del secondo conflitto mondiale e l’arte, pur non diventando mai un’ arte di Stato o totalmente propagandistica ( come accadde per esempio nell’ex Unione sovietica e nella Germania nazista), assunse un forte carattere di italianità, celebrativo e retorico. Figura di punta del panorama artistico e intellettuale del tempo Margherita Sarfatti e il movimento artistico del Novevcento, sostenitori di una pittura più figurativa e tradizionale, in contrasto con le avanguardie dell'epoca Futurismo in primis. Ecco. L’Espressionismo italiano, che assunse sfumature diverse a secondo dei vari «Gruppi» di artisti (i Sei di Torino, il Gruppo Corrente di Milano e la Scuola Romana di via Cavour quelli più famosi) nasce proprio in opposizione a questi rigidi stigmatismi e si apre all’Europa, ispirandosi al Der Blaue Reiter tedesco, al Fauvismo francese e ai grandi Maestri come Van Gogh e Picasso. Gli Espressionisti sono essenzialmente artisti liberi: liberi di pensare, liberi di guardare altrove, liberi nei contenuti. Oggetto della loro arte non è il sogno, ma la vita reale, le tensioni interiori, la condizione umana, e i colori intensi un modo per rappresentare la soggettività e trasmettere emozioni e verità profonde, anche quando le figure si deformano, per la gioia o per il dolore. Guttuso, Fontana, Sassu, Vedova, De Pisis, ma anche Antonietta Raphaël, Fausto Pirandello , Mario Mafai, Carlo Levi e Pietro Martina i più noti (ma non i soli) Espressionisti italiani , tutti ( o quasi) riuniti nella straordinaria mostra vercellese, un’esposizione di altissimo valore che riunisce un importante numero di opere appartenenti alla prestigiosa Collezione Giuseppe Iannaccone, costituita, ad oggi, da circa cinquecento opere: circa centoventicinque pezzi per quanto riguarda l’arte moderna (dal 1920 al 1945) e ben oltre trecentocinquanta lavori di arte contemporanea.La mostraCurata da Daniele Fenaroli, la mostra si articola in un percorso espositivo che si sviluppa per nuclei tematici, esplorando il colore come forma di resistenza, il ritratto come ricerca dell'identità e il presente come soglia inquieta della memoria. Tra le opere più significative, l’umanità trasfigurata e deforme di Renato Birolli, le nature morte eloquenti e l’ironia tragica di Pirandello (bellissima la sua Siesta Rustica), Broggini, Ziveri, Valenti e Badodi; autoritratti e ritratti ( Ritratto di Mimise e Ritratto di Antonino Santangelo di Renato Guttuso in assoluto i miei preferiti…) lontani da ogni forma di idealizzazione ma specchio fedele dell’irriducibile complessità umana. Straordinaria, a dominare la terza sezione della mostra, si palesa al visitatore in tutta la sua bellezza La Battaglia dei tre cavalieri (1940-1941) di Aligi Sassu, maestosa scena mitologica caratterizzata da un dinamismo e uno sforzo fisico accentuati, con linee e colori espressivi che suggeriscono un movimento frenetico e una forza travolgente. Evidente il legame con la violenza del conflitto mondiale e l’inutilità della guerra (dove a morire è lo spirito umano e non solo i corpi), sebbene Sassu non l'abbia mai esplicitamente confermato…A dialogare con Sassu e i grandi Maestri espressionisti una giovane voce del contemporaneo: Norberto SpinaNorberto SpinaMilanese, classe 1995, una laurea all’Accademia di Brera, Spina, la cui poetica si fonda sulla sovrapposizione di memoria personale e collettiva, è presente a Vercelli con una preziosa opera prestata dalla Royal Academy di Londra e opere site specific.Il suo originale Presente, che rielabora un particolare del Sacrario di Redipuglia voluto da Mussolini nel 1938, si concentra sulla monumentalità del potere, che a distanza di decenni, continua a porci interrogativi. Guardare oggi le opere in mostra, accanto a quelle di Norberto Spina, significa non soltanto recuperare una pagina fondamentale della storia dell’arte italiana, ma anche riconoscere quanto quella stagione parli ancora al nostro presente. Non come immagine passata, ma come un linguaggio vivo e potente, capace di dirci (e insegnarci) ancora molto…
In Toscana un laboratorio a cielo aperto, dove con Enel il calore nascosto della Terra diventa elettricità, teleriscaldamento e turismo.
L’energia geotermica è una fonte rinnovabile tanto antica quanto moderna, perché nasce dal calore naturale generato all’interno della Terra, sotto forma di vapore ad alta temperatura, convogliato attraverso una rete di vapordotti per alimentare le turbine a vapore che girando, azionano gli alternatori degli impianti di generazione. Si tratta di condotte chiuse che trasportano il vapore naturale dal sottosuolo fino alle turbine, permettendo di trasformare il calore terrestre in elettricità senza dispersioni. Questo calore, prodotto dai movimenti geologici naturali e dal gradiente geotermico determinato dalla profondità, può essere utilizzato per produrre elettricità, riscaldare edifici e alimentare processi industriali. La geotermia diventa così una risorsa strategica nella transizione energetica.
L’energia geotermica non dipende da stagionalità o condizioni climatiche: è continua e programmabile, dando un contributo alla stabilità del sistema elettrico.
Oggi la geotermia è riconosciuta globalmente come una delle tecnologie più affidabili e sostenibili: in Cile, Islanda, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Filippine e molti altri Paesi questa filiera sta sviluppandosi vigorosamente. Ma è in Italia – e più precisamente in Toscana – che questa storia ha mosso i suoi primi passi.
La presenza dei soffioni boraciferi nel territorio di Larderello (Pisa), da sempre caratterizzato da manifestazioni naturali come vapori, geyser e acque termali, ha fatto intuire il valore energetico di quella forza invisibile. Già nel Medioevo erano attive piccole attività produttive basate sul contenuto minerale dei fluidi geotermici, ma è nel 1818 – grazie all’ingegnere francese François Jacques de Larderel – che avviene il primo utilizzo industriale. Il passaggio decisivo c’è però nel 1904, quando Piero Ginori Conti, sfruttando il vapore naturale, accende a Larderello le prime cinque lampadine: è la prima produzione elettrica geotermica al mondo, anticipando la nascita nel 1913 della prima centrale geotermoelettrica al mondo. Da allora questa tecnologia non ha mai smesso di evolversi, fino a diventare un laboratorio internazionale di ricerca e innovazione.
Attualmente, la Toscana rappresenta il cuore della geotermia nazionale: tra le province di Pisa, Grosseto e Siena Enel gestisce 34 centrali, per un totale di 37 gruppi di produzione che garantiscono una potenza installata di quasi 1.000 MW. Questi impianti generano ogni anno tra i 5,5 e i quasi 6 miliardi di kWh, pari a oltre un terzo del fabbisogno elettrico regionale e al 70% della produzione rinnovabile della Toscana.
Si tratta anche di uno dei più avanzati siti produttivi dal punto di vista tecnologico, che punta non allo sfruttamento ma alla coltivazione di questi giacimenti di energia. Nelle moderne centrali geotermiche, il vapore che ha già azionato le turbine – chiamato tecnicamente «vapore esausto» – non viene disperso nell'atmosfera, ma viene convogliato nelle torri refrigeranti, che con un processo di condensazione ritrasformano il vapore in acqua e lo reimmettono nei serbatoi naturali sotterranei attraverso pozzi di reiniezione.
Accanto alla dimensione produttiva, la geotermia toscana si distingue per la sua capacità di integrarsi nel tessuto sociale ed economico locale. Il calore geotermico residuo – dopo aver alimentato le turbine dell’impianto di generazione - è ceduto gratuitamente o a costi agevolati per alimentare reti di teleriscaldamento che raggiungono oltre 13.000 utenze, scuole, palazzetti, piscine e edifici pubblici, riducendo le emissioni e i consumi di combustibili fossili. Lo stesso calore sostiene attività agricole e artigianali, come serre per la coltivazione di fiori e ortaggi e aziende alimentari, che utilizzano questo calore «di scarto» invece di bruciare gas o gasolio. Persino la produzione di birra artigianale può beneficiare di questa fonte termica sostenibile!
Ma c’è dell’altro, perché questa integrazione tra energia e territorio si riflette anche sul turismo. Le zone geotermiche della cosiddetta «Valle del Diavolo», tra Larderello, Sasso Pisano e Monterotondo Marittimo, attirano ogni anno migliaia di visitatori. Musei, percorsi guidati e la possibilità di osservare da vicino fenomeni naturali e impianti di produzione, rendono il distretto un caso unico al mondo, dove la tecnologia convive con una geografia dominata da vapori e sorgenti naturali che affascinano da secoli viaggiatori e studiosi, creandoun’offerta turistica che vive grazie alla sinergia tra Enel, soggetti istituzionali, imprese, tessuto associativo e consorzi turistici.
Così, oltre un secolo dopo le prime lampadine illuminate dal vapore di Larderello, la geotermia continua ad essere una storia italiana che unisce ingegneria e paesaggio, sostenibilità e comunità. Una storia che prosegue guardando al futuro della transizione energetica, con una risorsa che scorre sotto ai nostri piedi e che il Paese ha imparato per primo a trasformare in energia e opportunità.
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