
Per rifarsi una verginità i grillini chiedono al Parlamento di impegnarsi a fermare l'opera approvata dall'esecutivo. La mozione pentastellata al Senato divide i gialloblù, ma il Pd si spacca ancora. Carlo Calenda punge i dem: «Per farli cadere basterebbe uscire».La messinscena grillina sulla Tav si consumerà stamane al Senato, teatro di scontro tra favorevoli e contrari alla Torino-Lione e ultimo atto di un tira e molla che dura da mesi. Siamo giunti, dunque, alla resa dei conti finale, dopo che il progetto della linea ferroviaria ha incassato il sì del premier, Giuseppe Conte, e la lettera di conferma del ministero dei Trasporti all'Ue, ma senza la firma del titolare pentastellato del dicastero, Danilo Toninelli. Una pantomima delle peggiori, se pensate che del no all'opera il Movimento aveva fatto uno dei suoi cavalli di battaglia anche durante la campagna elettorale per le politiche dello scorso anno. I 5 stelle ora si rivolgono in maniera velleitaria al Parlamento per chiedere di adottare atti che determinino sia lo stop dell'opera che «una diversa allocazione delle risorse stanziate» per finanziare infrastrutture «maggiormente utili e urgenti, sul territorio italiano». Peccato che ci sia la presa di posizione fortissima di Alberto Perino, leader storico del movimento No Tav della Val di Susa a chiarire i termini della questione: «La mozione M5s contro la Torino-Lione è un'idiozia, una presa per i fondelli». Le mozioni presentate sono in tutto sei e saranno messe in votazione dalle 9 per poi finire all'ora di pranzo. Le mozioni contrarie sono due, una quella grillina appena citata, l'altra di Leu. Sono invece a favore dell'opera le mozioni presentate da Pd, Emma Bonino, Fratelli d'Italia e Forza Italia. In questo scenario favorevole alle opposizioni però il Pd è andato in frantumi. Carlo Calenda ha infatti invitato le opposizioni a uscire al momento del voto: «Se passa la mozione 5 stelle contro la Tav, il governo andrà a casa, come ha detto Salvini». E ha aggiunto: «Bisogna dire con chiarezza al Pd, a Forza Italia, a quelli che sono favorevoli alla Tav di lasciarli a vedersela tra di loro. Basta, non se ne può più, il Paese ha bisogno di essere liberato». Indeciso però il capogruppo pd al Senato, Andrea Marcucci: «La nostra posizione è votare contro, ma ci lasciamo un margine di decisione al momento a seconda di ciò che succede». Come andrà? Se da una parte il Pd farà di tutto perché passino le mozioni sul sì (all'opera), dall'altra vuole tenersi le mani libere. I dem, infatti, sono per il no alla mozione grillina, ma poi subentrano le tattiche parlamentari. La partita si giocherà anche sul numero legale in Aula. Forza Italia, come abbiamo spiegato, dirà no alla mozione pentastellata, ma voterà per parti separate gli altri documenti che verranno presentati a favore della realizzazione dell'opera. La Lega prevede che verrà bocciata e conferma che voterà per favorire «la mobilità», come ha spiegato Matteo Salvini. «Noi manterremo una posizione coerente con quanto la Lega dice da tanti anni, ossia che siamo a favore della Tav», ha dichiarato il capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo. Il primo documento a essere votato sarà quello dei grillini, che, oltre ai suoi 107 voti potrà contare, come abbiamo già detto, anche su quelli di Leu. Non è escluso però un piano B e cioè che tutti i partiti favorevoli alla Tav escano dall'Aula per far mancare il numero legale (la metà più uno dei presenti). Secondo il regolamento, in questo caso si sospende la seduta per 20 minuti e ci si riaggiorna. Se dopo quattro tentativi il numero dei presenti non è ancora sufficiente, si «apprezzano le circostanze» e si rinvia. E se Lega dovesse lasciare l'Aula per non votare palesemente contro l'alleato di governo? Staremo a vedere. Ma vediamo nel dettaglio le mozioni. Secondo il partito di Luigi Di Maio è meglio investire in opere più moderne, che piacciano di più ai pendolari. La mozione dei senatori del Misto (e dei pentastellati Elena Fattori e Alberto Airola, che hanno firmato anche quella del gruppo) invoca lo stop e propone una soluzione. Il fermo si può realizzare, suggeriscono Loredana de Petris e Paola Nugnes, «bloccando le relative procedure d'appalto anche sostituendo i membri italiani della commissione intergovernativa italo-francese che sovrintende alla procedure tecnico-finanziarie che disciplinano la Tav», e «revocando i membri» del cda di Telt «e nominandone di nuovi». I dem chiedono al governo di fare in modo che la linea sia subito realizzata e rivolgono l'attenzione ai cantieri della Val di Susa, alla situazione economica generale e alla crisi occupazionale. Forza Italia invoca la «piena attuazione» dell'accordo varato dal Parlamento nel 2017 e impegna il governo a confermare «la valenza strategica» della Tav «in termini economici e occupazionali». Fratelli d'Italia mette invece in guardia dal rischio di azioni risarcitorie. L'opera, sostiene Fdi, va realizzata «senza ulteriore indugio o ritardo», ma è anche necessario «scongiurare che l'Italia incorra in inevitabili effetti penalizzanti e dannosi, che deriverebbero sia dall'emergenza di profili di responsabilità contrattuale per inadempimento o ulteriori ritardi esecutivi rispetto agli impegni assunti, che dalla mancata realizzazione di un'opera infrastrutturale strategica per lo sviluppo economico nazionale». Con la sesta e ultima mozione, Emma Bonino, Gregorio De Falco, Vasco Errani, Riccardo Nencini e i senatori del gruppo per le autonomie Julia Unterberger e Pier Ferdinando Casini, lanciano una frecciata al Movimento, affermando che il progetto «non giustifica forme di opposizione pregiudizialmente ideologiche». Ma in tutta questa bagarre ieri è arrivata anche la stoccata destabilizzante di Matteo Savini sulla tenuta del governo, che ha mandato un avvertimento sibillino all'alleato: «Voto anticipato? Lo vedremo prima di settembre».
Il neo sindaco di New York Zohran Mamdani (Ansa)
Il sindaco di New York non è un paladino dei poveri e porta idee che allontanano sempre più i colletti blu. E spaccano l’Asinello.
La vulgata giornalistica italiana sta ripetendo che, oltre a essere uno «schiaffo» a Donald Trump, la vittoria di Zohran Mamdani a New York rappresenterebbe una buona notizia per i diritti sociali. Ieri, Avvenire ha, per esempio, parlato in prima pagina di una «svolta sociale», per poi sottolineare le proposte programmatiche del vincitore: dagli autobus gratuiti al congelamento degli affitti. In un editoriale, la stessa testata ha preconizzato un «laboratorio politico interessante», sempre enfatizzando la questione sociale che Mamdani incarnerebbe.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 7 novembre con Carlo Cambi
Il luogo dell'accoltellamento a Milano. Nel riquadro, Vincenzo Lanni (Ansa)
Nei principali Paesi europei, per essere riconosciuto «pericoloso» basta la segnalazione di un medico. Qui invece devi prima commettere un delitto. E pure in questo caso non è detto che una struttura ti accolga.
Vincenzo Lanni, l’accoltellatore di Milano, aveva già colpito. Da condannato era stato messo alla Rems, la residenza per le misure di sicurezza, poi si era sottoposto a un percorso in comunità. Nella comunità però avevano giudicato che era violento, pericoloso. E lo avevano allontanato. Ma allontanato dove? Forse che qualcuno si è preso cura di Lanni, una volta saputo che l’uomo era in uno stato di abbandono, libero e evidentemente pericoloso (perché se era pericoloso in un contesto protetto e familiare come quello della comunità, tanto più lo sarebbe stato una volta lasciato libero e senza un riparo)?
Ansa
Dimenticata la «sensibilità istituzionale» che mise al riparo l’Expo dalle inchieste: ora non c’è Renzi ma Meloni e il gip vuole mettere sotto accusa Milano-Cortina. Mentre i colleghi danno l’assalto finale al progetto Albania.
Non siamo più nel 2015, quando Matteo Renzi poteva ringraziare la Procura di Milano per «aver gestito la vicenda dell’Expo con sensibilità istituzionale», ovvero per aver evitato che le indagini sull’esposizione lombarda creassero problemi o ritardi alla manifestazione. All’epoca, con una mossa a sorpresa dall’effetto immediato, in Procura fu creata l’Area omogenea Expo 2015, un’avocazione che tagliò fuori tutti i pm, riservando al titolare dell’ufficio ogni decisione in materia.






