2019-05-04
I 5 stelle avvisano i leghisti: «Per cacciare Siri bastano i nostri voti»
Luigi Di Maio mostra i muscoli: «Abbiamo la maggioranza nel Cdm». Matteo Salvini scherza sulla posizione del premier: «Conte? Al Milan».Il costituzionalista Mario Esposito (Luiss): «Non è una disputa politica. E se venisse sollevato e poi archiviato?».Contestazione violenta a Modena, il leader del Carroccio risponde dal palco: «Siete quattro zecche da centro sociale».Lo speciale contiene tre articoli. Si va al muro contro muro: Armando Siri non si dimette, e così sarà il Consiglio dei ministri, il prossimo 8 o 9 maggio, a esaminare la proposta di revoca del sottosegretario leghista indagato per corruzione, annunciata dal premier Giuseppe Conte. Una situazione inedita, quella che si è creata, che porterà con ogni probabilità a una lacerante spaccatura in Consiglio dei ministri. «Siri non si dimette», hanno fatto sapere ieri fonti del Carroccio, «e nella Lega nessuno lo molla. Siri non farà un passo indietro prima che il premier Giuseppe Conte ne proponga la revoca». Lo stesso Siri, ieri, ha deciso di intervenire con un post su Facebook per sgomberare il campo da ricostruzioni giornalistiche che lo dipingevano in contrasto con il suo stesso partito. «Da giorni», scrive il sottosegretario, «non rilascio alcuna dichiarazione né intervista agli organi di informazione, proprio per il rispetto che si deve in questi casi all'autorità giudiziaria, che è giusto che conduca le sue indagini e ascolti le parti interessate senza vizi di comunicazioni esterne. Leggo invece in queste ore dichiarazioni riportate a mio nome che, tengo a sottolineare, sono da ritenersi in assoluto destituite di ogni fondamento. Non esiste alcuna polemica con il mio partito che», aggiunge Siri, «anzi, ringrazio per tutte le manifestazioni di affetto, vicinanza e solidarietà dimostrate in questi giorni».Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, commenta: «Secondo me la vicenda Siri è stata trattata molto sui giornali, con molte dichiarazioni, e poco confronto diretto. Se si è in un governo bisogna parlarsi. Io sono un sottoposto, non sono un capo: quindi parlasse il capo. Questo governo è nato in circostanze strane, su un contratto in cui ci sono scritte delle cose da fare. Bisogna confrontarsi seriamente e serenamente per capire se quelle cose che sono scritte si possono fare e si vogliono fare. Se le tensioni nella maggioranza si dissolveranno? Bisogna avere fiducia», sospira l'esponente leghista, «se uno non ha fiducia pianta lì subito. Del resto se la fiducia non la si ha, la si deve trovare. Dopo Siri sarò io il prossimo? Non so, può darsi. A turno toccherà a tutti. Io sono tranquillissimo e il governo ha i suoi problemi, come potete vedere».«A turno toccherà a tutti»: la profezia di Giorgetti non va sottovalutata, nella Lega serpeggia la convinzione che l'artiglieria propagandistica del M5s sia già puntata su altri bersagli. L'atteggiamento muscolare di Luigi Di Maio, del resto, non promette nulla di buono per i rapporti all'interno della maggioranza. «Se Armando Siri non si dimette», dice Di Maio a Sky Tg 24, «si andrà in Consiglio dei ministri e si voterà il decreto proposto dal presidente. Conti alla mano il M5s ha la maggioranza assoluta attorno a quel tavolo, ma spero che non si arrivi ad un voto. Credo che il presidente Conte abbia fatto una scelta di buon senso. Non stiamo parlando di schierarsi da una parte o dall'altra», aggiunge il capo politico pentastellato, «la corruzione non ha un colore politico, in questo momento c'era un'indagine che riguardava un sottosegretario che avrebbe presentato delle proposte di legge per aiutare un singolo e non un'intera categoria e un interesse collettivo. Giustamente il presidente Conte ha valutato bene di metterlo in panchina finché questa inchiesta non sarà chiara e non si saranno delineati i fatti in maniera corretta. La Lega e Salvini sono intelligenti», punge Di Maio, «far cadere il governo per un'inchiesta per corruzione su un sottosegretario leghista mi sembra azzardato, l'ultimo è stato Mastella sul governo Prodi sull'inchiesta che partì a Ceppaloni». Matteo Salvini, da parte sua, non deraglia dalla linea zen che si è imposto: «Se ho parlato di Siri con Conte? No. Parlo di cose importanti e vere», aggiunge il ministro dell'Interno, «non ho tempo per beghe e polemiche. Gli italiani mi chiedono meno tasse, la flat tax è un'emergenza nazionale, il Consiglio dei ministri adesso si deve occupare di riduzione delle tasse. Conte mi sfidi sulle tasse, su qualcosa che interessa gli italiani, non sulla fantasia. Non ho sentito Giuseppe Conte, vorrei sentire Antonio Conte, per sapere se viene al Milan».La Verità ha chiesto un commento a Fabio Pinelli, avvocato difensore di Siri: «La cosa più grave, secondo me, è aver spiegato la necessità delle dimissioni sostenendo che il provvedimento non avesse contenuto generale e astratto. I provvedimenti che sono nell'interesse di talune categorie, come gli emendamenti in discussione, che avevano come destinatari i produttori di energia da minieolico», argomenta Pinelli, «il cui Consorzio è stato regolarmente accreditato al Mise, sono provvedimenti che hanno il carattere dei generalità e astrattezza. È come se dire che se c'è un provvedimento che prevede agevolazioni fiscali per chi ha un reddito inferiore a 30.000 euro, oppure per chi ha meno di 40 anni, oppure per gli anziani, allora non si rivolge a tutti gli italiani e quindi non ha il carattere di generalità e astrattezza. I provvedimenti sono per la maggior parte così». Intanto, a quanto si apprende, Armando Siri non sarà interrogato dai pm di Roma, ma fornirà spontanee dichiarazioni: la data non è stata fissata, gli inquirenti hanno «aperto l'agenda», come si dice in questi casi, dando piena disponibilità al sottosegretario. Sarà invece sottoposto a interrogatorio Paolo Arata, l'imprenditore indagato per corruzione con Siri. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/il-m5s-avvisa-i-leghisti-per-cacciare-siri-bastano-i-nostri-voti-2636219168.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-costituzionalista-la-revoca-non-e-detto-che-il-colle-la-firmi" data-post-id="2636219168" data-published-at="1758194738" data-use-pagination="False"> Il costituzionalista: «La revoca? Non è detto che il Colle la firmi» Il prossimo 8 o 9 maggio si riunirà il Consiglio dei ministri, e il premier Giuseppe Conte proporrà la revoca del sottosegretario ai Trasporti, Armando Siri, d'intesa con il ministro coadiuvato, Danilo Toninelli. Se non ci sarà unanimità, e quindi se la Lega si opporrà, si andrà al voto. Se la proposta di revoca di Siri sarà approvata, toccherà al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, firmare il decreto di revoca. Una pura formalità, la firma di Mattarella? La Verità ha chiesto un parere a Mario Esposito, docente di diritto costituzionale all'Università del Salento oltre che docente dell'Università Luiss Guido Carli di Roma: «Ritengo di no. Non è un atto dovuto», spiega Esposito, «come non lo sono gli atti di nomina, perché uno spazio di sindacato del presidente della Repubblica c'è sempre. Direi di più: in questo caso la revoca viene motivata in base alla pendenza di indagini a carico di Siri. Una fattispecie delicatissima, perché, nel caso in cui il Consiglio dei ministri dovesse deliberare per la revoca, saremmo di fronte per così dire a una atipica misura cautelare, interdittiva, nei confronti di Siri; dall'altra sarebbe come dire che il sottosegretario non ha più i requisiti per restare in carica, ma i requisiti sono previsti dalla legge». Esposito evidenzia le differenze con il precedente di Vittorio Sgarbi, che fu revocato da sottosegretario ai Beni culturali del governo guidato da Silvio Berlusconi nel 2002, dopo essere entrato in rotta di collisione con il suo ministro, Giuliano Urbani: «Non stiamo parlando, come accaduto in passato, ad esempio nel caso di Vittorio Sgarbi, di una revoca per motivi puramente fiduciari. Si noti bene: nel decreto di revoca si era dato atto tra le altre cose della reiterazione delle posizioni di contrasto “con le decisioni collegiali del governo" . Di qui la proposta di revoca, di natura puramente politica. In un caso come quello di Sgarbi, gli spazi di sindacato», aggiunge Esposito, «anche quelli del presidente della Repubblica, sono molto ristretti. Viceversa, quando la revoca è motivata con riferimento alla circostanza che Siri sia sotto inchiesta, mettendone in discussione per ciò stesso e non per atti ivi o altrove accertati la permanenza del requisito della onorabilità, si crea una sorta di sovrapposizione rispetto alle prerogative dell'autorità giudiziaria, peraltro in fase di indagini preliminari. In questo caso, a mio parere, il presidente della Repubblica potrebbe, e forse dovrebbe, svolgere un controllo su quest'atto, perché è un atto che si propone espressamente di intervenire su fatti che sono ancora di competenza dell'autorità giudiziaria. C'è anche un rapporto tra poteri che viene messo in gioco. Sarebbe stato opportuno», sottolinea ancora Esposito, «prima di proporre la revoca in Consiglio dei ministri, di dare luogo a una vera e propria istruttoria per verificare se il sottosegretario nell'adempimento delle sue funzioni fosse venuto meno ai doveri di disciplina e di onore imposti dall'articolo 54 della Costituzione. Mi chiedo: se dopo qualche giorno la posizione di Siri venisse archiviata, verrebbe allora meno la causa della revoca. Che si fa a quel punto? L'atto di revoca perde efficacia? È un caso borderline». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-m5s-avvisa-i-leghisti-per-cacciare-siri-bastano-i-nostri-voti-2636219168.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="lega-in-comizio-a-modena-sassi-sulla-polizia" data-post-id="2636219168" data-published-at="1758194738" data-use-pagination="False"> Lega in comizio a Modena, sassi sulla polizia Si sono raggruppati al presidio indetto dal centro sociale Spazio Guernica all'ingresso del parco Novi Sad e, sia prima sia dopo il comizio modenese del ministro dell'Interno Matteo Salvini in piazza Matteotti, hanno manifestato la loro idea di democrazia con un lancio di sassi contro le forze dell'ordine. E quando la celere si è accorta che alcuni manifestanti stavano cercando addirittura di sfondare il cordone, sono dovuti intervenire con una carica. Sono volate manganellate e un ragazzo è rimasto lievemente ferito. L'avvertimento, d'altra parte, era stampato su uno striscione: «Salvini scappa, Modena non ti vuole». E quando, per disturbare l'intervento del segretario leghista hanno intonato Bella ciao, Salvini, rivolgendosi ai militanti del Carroccio, ha alzato la voce: «Questa è la Modena vera, non quella di quattro zecche da centro sociale che vanno giù a fare casino». E ancora: «Non ci sono più i compagni di una volta. Hanno perso la voce, hanno fatto tardi ieri sera al centro sociale. Meno canne e più uovo sbattuto della nonna che state meglio». Le contestazioni si sono fatte più dure alla fine del comizio. La piazza piena probabilmente ha contribuito a far salire la rabbia dei manifestanti. Due facinorosi sono stati portati in Questura per accertamenti. A manifestare in tre cortei, in tre punti diversi della città, c'erano anche la Cgil e gli anarchici di Ligéra. Nervi tesi soprattutto quando il leader leghista ha fatto riferimento alla leva militare: «Magari sei mesi di servizio negli alpini non farebbero male, una cosa per volta». Il vicepremier ha poi cercato di smorzare i toni con qualche battuta, soprattutto per evitare che la situazione degenerasse. «Cari compagni, faremo un museo a Modena dopo il 26 maggio (giorno delle elezioni comunali nel capoluogo, ndr) a tutela del panda e dei comunisti. Sono esseri simpatici sia gli uni che gli altri». E a quel punto una sassaiola si è concentrata su una volante della polizia alla quale è stato sfondato il parabrezza. «Questi deficienti», ha commentato dopo la manifestazione Salvini, «hanno preso a sassate carabinieri e polizia. In un paese normale chi mette le mani addosso alle forze dell'ordine va in galera. Spero che accada così e che non ci sia un giudice che dica “poverini stavano manifestando pacificamente"».
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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