
Il segreto per operare bene è fare qualcosa in più di quanto richiesto: quell'aggiunta dimostra che non si è servi di nessuno. E i datori ricordino che defraudare la giusta paga agli operai è uno dei peccati più gravi che grida vendetta al cospetto di Dio.Il lavoro ci dà tre cose: denaro, fede in noi stessi, relazioni con gli altri. In passato era protetto da San Giuseppe. L'immaginetta di San Giuseppe era in tutte le botteghe artigiane, dall'elettrauto al calzolaio, e con lei l'informazione che c'è una sacralità nel lavoro, una dignità assoluta. Qualsiasi sia il nostro lavoro, dobbiamo amarlo; fare per sei, sette, otto, nove ore al giorno un lavoro che si odia è terribile. Noi dobbiamo essere i padroni di noi stessi, della nostra mente e della nostra anima, anche quando lavoriamo: questo è l'unico mezzo per non odiare il nostro lavoro, anche quando non è quello che noi vorremmo. Il solo fatto che quel lavoro lo stiamo facendo, vuol dire che non averlo ed essere disoccupati sarebbe peggio, quindi la frase magica dell'ottimismo si può inserire nel discorso. La frase magica è «potrebbe andare peggio».Il concetto di lavoro è che stiamo vendendo il nostro tempo in cambio del denaro necessario a sopravvivere. Non è divertente, ma potrebbe andare peggio. Se vendiamo solo il tempo e la fatica e non la nostra salute, se il pagamento è equo, non abbiamo diritto di lamentarci, quindi smettiamo di farlo. Ogni tanto andiamo indietro con lo sguardo alla storia: abbiamo una qualità di vita superiore a quella che in altri secoli era stata di re e grandi aristocratici. Possiamo non soffrire di mal di denti, mentre i re medioevali non avevano alternative, siamo certi di non morire né di vaiolo né di peste, né di peritonite, come il bambino del Re Sole. Enrico VIII Tudor è morto con le piaghe aperte nelle gambe e i vermi dentro a causa del diabete. Noi abbiamo antibiotici e insulina. Fa parte anche questo della nostra ricchezza.Cominciamo a essere grati al nostro lavoro e a una società che ci dà del denaro, permettendoci la sopravvivenza nostra e di quelli che amiamo. Questo non vuol dire non desiderare di migliorare la società e il nostro lavoro, al contrario, ma solo rendendoci conto di quanto già funziona, potremo migliorare tutto.Diventiamo padroni di noi e del nostro tempo anche quando lavoriamo, anche se facciamo un lavoro umile o dipendente. Come si fa ad ottenere questo miracolo? Lo intuisce Napoleon Hill, scrittore motivazionale: fare il miglio in più. Se vi hanno detto di fare 10 miglia, voi fatene 11: cioè fate il vostro lavoro meglio di come è stato richiesto, che poi è un criterio estratto di peso dalle pagine del Vangelo.Se mi pagano per fabbricare 30 tazzine in una giornata, io sto eseguendo gli ordini degli altri, ma se ne fabbrico 31, allora vuol dire che non sono il servo di nessuno, sto eseguendo la mia volontà. Come recita il Vangelo: se ti chiedono di fare un miglio con il tuo fratello, tu fanne due. È un testo che fa parte del manifesto programmatico di Gesù: le Beatitudini, Vangelo di Matteo, capitolo 5, versetto 41: «E se uno ti costringerà a fare un miglio con lui, tu fanne due».Ecco la scelta della grandezza, la tua grandezza divina.Attenzione, però: finora abbiamo parlato di lavori decenti. Lavori decenti e lavori decentemente pagati. Ci sono lavori mostruosi che sono abiezione. Il lavoro rende liberi: il lavoro è stato un mezzo di distruzione, nei lager, nei gulag in Cambogia e in Cina. Ma anche nelle nostre democratiche nazioni esiste lo sfruttamento ed esiste l'arbitrio. La malattia professionale, come l'infortunio professionale, è qualcosa che non deve esistere. Sui libri su cui ho studiato patologia generale era scritto che l'esposizione all'anilina causa negli operai il cancro della vescica, l'esposizione all'asbesto il mesotelioma pleurico, eppure operai lavoravano ancora con questi materiali. L'Occidente industriale è nato dalle miniere di carbone. I minatori erano pagati talmente poco che non potevano mantenere i loro figli, la cui unica possibilità di sopravvivenza era diventare minatori a loro volta. La norma era 12 anni, ma bambini più piccoli fino a 4 anni, sono scesi in miniera. La giornata lavorativa durava dalle 12 alle 14 ore. I bimbi più piccoli raccoglievano il carbone nei cunicoli più stretti. Tutti portavano cesti pieni di carbone su per ripide scale fino all'uscita dalla miniera. Il rachitismo per mancanza di sole era inevitabile, la tubercolosi frequentissima. La paga infima dei minatori come quella degli operai costringeva le famiglie a vivere in caseggiati sovraffollati, che fornivano immensi profitti ai loro proprietari, bevendo acqua putrida, e mangiando cibo scadente: le epidemie di qualsiasi malattia infettiva mietevano vittime in numeri folli. Ora l'inferno in terra anche per i bambini continua nel terzo mondo. Nel Burkina Faso a 150 metri di profondità, con 50 gradi, uomini donne e bambini scavano 10 ore al giorno. Ogni tanto la miniera crolla, si usa anche la dinamite per scavare e questo rende il tutto instabile. Niente di grave, ne aprono una un po' più in là. Non si va nemmeno a ricuperare i cadaveri. Ogni tanto la miniera non crolla e allora la morte arriva per intossicazione cronica di mercurio e cianuro e i loro fumi tossici.Essere il proprietario del maggiore forziere d'oro dell'Africa non impedisce al Burkina Faso di essere una nazione miserabile, dove 1 persona su 5 ha l'aids, e 1 su 4 la malaria.Il lavoro, il grande dono, protetto da San Giuseppe, diventa tortura e arbitrio, diventa inferno in terra anche per i bambini. La morte per intossicazione cronica da metalli pesanti, cianuro e altro è lenta e dolorosa. Dannatamente dolorosa. Il corpo di sfalda. Si comincia dai denti e dalla cute e si finisce con il sistema nervoso centrale, la testa che martella convulsioni, allucinazioni, spasmi, cecità, paralisi.E visto che abbiamo citato San Giuseppe citiamo anche il catechismo della Chiesa cattolica. Secondo il catechismo di San Pio X sono quattro i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio: commettere omicidio volontario, l'atto impuro contro natura, l'oppressione dei poveri, defraudare l'operaio della giusta mercede. La dicitura è tratta dalla Sacra scrittura che usa questo linguaggio di «gridare verso il cielo» proprio per i quattro peccati menzionati. San Pio X ha ripreso quanto afferma la Sacra scrittura in vari passi e l'ha messo in colonna. Il catechismo della Chiesa cattolica del 1992 tralascia il gridare vendetta e si limita a dire che questi peccati gridano verso il cielo, ma sulle Sacre scritture è scritta la parola vendetta. Si afferma che gridano verso il cielo perché «chiedono giustizia al Signore già nella vita presente a motivo della loro malizia e del grande turbamento che provocano nei rapporti tra gli uomini e nella società». L'assassinio sconvolge una società, anche l'assassinio di quel piccolo naufrago che è il bimbo non ancora nato. Quello che avrete fatto al più piccolo di voi lo avrete fatto a me. I più piccoli sono i bimbi cui non è permesso nascere, i più piccoli sono i bimbi nelle miniere.Quindi coloro che hanno schiavizzato o che schiavizzano i bambini nelle miniere, gli antichi proprietari - ma anche impiegati - delle miniere di carbone, gli attuali amministratori delegati - ma anche impiegati - delle multinazionali dell'oro: dei quattro peccati che gridano vendetta ne avete commessi tre, visto che nessun bimbo minatore è mai riuscito a campare molto. Avrete di fronte l'ira di Dio.
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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