2020-11-17
Il governo rottama il Fondo salvastati ed ecco spuntare i soldi per la sanità
Smentita la propaganda che voleva il Mes essenziale per pagare medici e tamponi: subito dopo che il Pd ha rinunciato a chiederlo, in manovra si materializzano 2,8 miliardi. Non li si poteva tirar fuori prima?Ma guarda le coincidenze… Proprio quando il gotha degli eurolirici, dal presidente dell'Europarlamento David Sassoli all'ex premier Enrico Letta, ammette la sostanziale inutilizzabilità del Mes e la radioattività politica di un eventuale ricorso al Fondo salva stati, il governo estrae magicamente dal cilindro altri 2,8 miliardi aggiuntivi per la sanità per il prossimo quinquennio (per i feticisti delle cifre, si tratta di quasi 823 milioni per il 2022, di 527 milioni per ciascuno degli anni 2023, 2024 e 2025, e di quasi 418 milioni a partire dal 2026). I dettagli stanno all'articolo 71 dell'ultima bozza disponibile della manovra (ieri c'è stato l'ok in Cdm), che - annota la relazione illustrativa - «determina il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo stato». Obiettivi? È sempre la relazione a metterli in fila: «esecuzione di tamponi antigenici rapidi», «incrementare i contratti di formazione specialistica dei medici specializzandi», e «proroga delle disposizioni concernenti il reclutamento del personale sanitario» per fronteggiare l'emergenza Covid. L'ordinarietà e la naturalezza di questo intervento sono la migliore dimostrazione di quanto questo giornale ha scritto per mesi: non era e non è necessario ricorrere al Mes per investire in sanità. Anzi, vale la pena di ribadirlo ancora, perfino al di là di questi ultimi stanziamenti: se si è convinti che la sanità italiana abbia bisogno di investimenti urgenti e indifferibili, nulla vieta di dedicare parte del prossimo scostamento di bilancio (o eventualmente un ulteriore e specifico sforamento) esattamente a questo obiettivo, e di fare subito un'emissione di titoli nazionali per la somma necessaria. Al contrario, non si vede la ragione per cui ci si debba sottoporre al rischio di ulteriori vincoli e condizionalità esterne, negate a parole, ma purtroppo ancora possibili, visto che (come La Verità spiega da mesi) trattati e regolamenti Mes sono rimasti immutati, e dunque fanno temere che in futuro possano esserci richieste misure correttive. Alla luce di questi sviluppi, diventa perfino surreale rileggere alcuni passaggi del dibattito politico estivo sul Mes. Ancora a fine luglio, a riaprire le danze pro Mes fu - con virgolettati poi smentiti, o almeno in parte rettificati - il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, a cui era stata attribuita la tesi, in caso di mancato ricorso al Fondo salvastati, di «tensioni di cassa». Argomento sconcertante, tra l'altro: se per caso fosse stato vero, avrebbe dato l'idea di un ministero dell'Economia con le casse vuote, metaforicamente in mano agli strozzini, o comunque avrebbe trasmesso ai mercati una sensazione di vulnerabilità, di fragilità, di estrema debolezza. In ogni caso, la mezza giornata che servì al Mef per reagire a quelle indiscrezioni non depose né a favore della reattività del ministero né alla granitica credibilità politica della smentita. Poi, sempre a fine luglio, proseguì il ministro della Salute Roberto Speranza dalle colonne della Stampa, invocando almeno 20 miliardi per la sanità dal Fondo salvastati: «Meglio il Mes perché i soldi arrivano subito, mentre con il Recovery Fund, se va bene, li vediamo nel 2021». E ancora, sfidando i grillini e lo stesso Giuseppe Conte: «Nessun pregiudizio sul Meccanismo europeo di stabilità. È inaccettabile non avere risorse da investire». Buon ultimo, sempre in quei giorni, si fece vivo sul Corriere della Sera David Sassoli (non un omonimo, ma proprio lui), in quel tempo liricamente pro Mes: «Il Fondo salvastati è un'opportunità, tasso insuperabile». Non solo: il ragionamento estivo di Sassoli faceva acqua anche quando l'esponente Pd evocava, per quella via, una pioggia di assunzioni di personale sanitario. Chi sosteneva quella tesi dimenticava sempre di dire cosa sarebbe accaduto al momento della restituzione del prestito e alla fine del programma Mes: si sarebbero fatti scattare altrettanti licenziamenti?E invece, circa 100 giorni dopo, scopriamo che - senza Mes e con mezzi ordinari - si può spendere per tamponi, per la formazione degli specializzandi, e per l'assunzione di personale sanitario. Meglio tardi che mai. Certo, a essere severi, si potrebbe ricordare che molti degli attuali sostenitori (europei e italiani, con Mes o senza) dell'incremento della spesa sanitaria erano gli stessi che per anni si battevano con altrettanta (e contraria) energia a favore della tesi opposta, invocando tagli e risparmi, e levando alti lai (a volte anche motivati) su tutto, pure sui costi di garze e siringhe. Ora sono tutti improvvisamente divenuti spendaccioni.Ma resta un retrogusto politico amaro. Non solo la sostanza di questa parte della manovra, ma anche il timing della decisione e il dibattito politico dei mesi passati lasciano la spiacevole sensazione che tutta la discussione, più che essere centrata sulle necessità (reali) del sistema sanitario, sia stata condizionata da esigenze politiche. E che, per alcuni, il lungo e asfissiante pressing pro Mes non sia stato un mezzo, ma un fine in sé, per accelerare il commissariamento e il controllo esterno sul Paese. Svanita (per ora) l'immediata praticabilità di quella strada, si sono ricordati di avere la chiave del cassetto e di poter tirar fuori da soli - senza Mes - quasi 3 miliardi.