2019-01-09
Il governo impegna 4 miliardi. Ma nessun risparmiatore perderà dei soldi con Carige
La bozza del decreto era pronta da novembre. Il testo definitivo prevede 3 miliardi a garanzia di nuove emissioni e 1 da usare in caso di crac., mentre il fondo stanzia in tutto 1,3 miliardi di euro. Non esistono obbligazioni subordinate in mano ai privati.I modi (diversi) nei quali si affrontarono le crisi bancarie precedenti hanno un punto comune: i correntisti tosati Con l'aggravante di obbedire a Bruxelles rinunciando al Fondo interbancario.Lo speciale contiene due articoliIn questi tempi così pieni di odio politico è difficile fare chiarezza. Il decreto Carige ne è l'esempio. Effettuato d'urgenza nella tarda serata di lunedì, ha sollevato critiche e illazioni di ogni sorta. In sintesi, molti commentatori ed editorialisti hanno subito tirato le conclusioni: il decreto è un salvataggio pubblico. Nelle 25 pagine di testo il concetto non è presente, salvo nell'eccezione di ricapitalizzazione precauzionale in ambito di burden sharing. Il tecnicismo è d'obbligo per spiegare le varie opzioni a cui si va incontro. La condivisione dei rischi prevede la partecipazione azionaria dello Stato a condizione che vengano penalizzati gli azionisti e pure gli obbligazionisti subordinati. E qui sta l'enorme differenza tra gli interventi in Mps e nelle due banche venete effettuati dal governo precedenti. Non esistono sul mercato obbligazioni subordinate Carige in mano a risparmiatori. C'è solo un bond da 320 milioni, ma è quello sottoscritto dal Fondo interbancario. Quindi, anche nella remota ipotesi che la banca fallisse gli stress test e dovesse essere ricapitalizzata, il governo gialloblù non si troverà nel medesimo dilemma etico di Pier Carlo Padoan. Le norme Ue prevedono che i bond subordinati debbano essere azzerati. La stessa cosa accaduta con Mps, salvo il fatto che poi il governo di allora ha provveduto ai rimborsi. Se mai Carige saltasse, i gialloblù non si troveranno ad affrontare il medesimo rovello: penalizzare i piccoli risparmiatori o salvarli con il soldi dei contribuenti? Semplicemente, metterebbe mano al portafogli per diventare azionista e avviare il percorso di vendita, come sta accadendo a Siena. Chi perderebbe tutti i soldi? Gli azionisti (che già hanno in mano titoli da 0,001 euro, e comunque non possono essere considerati risparmiatori) e le banche che hanno sottoscritto il bond da 320 milioni. Le altre erano zeppe di subordinati. L'assenza di tali bond non è merito del governo, ma questi sono i fatti. Così come lo è la ricapitalizzazione, che gli stessi commissari hanno definito ipotesi remota o residuale con un costo, in ogni caso non superiore a 2 miliardi di euro. «Remota» perché sia i commissari sia il governo hanno l'obiettivo, una volta emessi nuovi bond, di fondere l'istituto con un'altra banca italiana e poi vendere il tutto a un colosso straniero: potrebbe essere Credit Agricole. Tant'è che il decreto interviene nella sua parte d'urgenza - e quindi pratica - sul tema della liquidità, non sul capitale. Il governo ha stanziato a garanzia dell'emissione di nuovi bond una cifra non massima di 3 miliardi. L'intervento non è una spesa ma un «collaterale» laa cifra stanziata infatti è di 300 milioni a leva dieci. Stesso discorso per l'Ela, erogazione di di liquidità di emergenza. Se l'istituto genovese dovesse andare in difficoltà allo sportello potrà rivolgersi a Bankitalia. Per ottenere l'iniezione di cash dovrà presentare un piano di ristrutturazione in breve termine. Mentre nel caso di garanzia sulle nuove emissioni ha due mesi di tempo per documentare alle autorità finanziarie un nuovo piano industriale, e quindi la propria capacità di sostenere il nuovo debito. Per questo motivo bisogna distinguere i due stanziamenti. I 300 milioni sono stanziati a garanzia collaterale da usare solo in caso di collasso dell'istituto. Mentre l'altro miliardo è la cifra massima che il governo potrà spendere per Carige. Non è un nuovo stanziamento, ma quanto resta dal decreto firmato d'urgenza da Gentiloni e Padoan il 23 dicembre 2016, quando si stanziarono 20 miliardi per salvare le banche. Una parte infatti è andata a Mps e un'altra a Pop Vicenza. Adesso se Genova crollasse resta un miliardi da spendere (già inclusi nel deficit attuale). Il testo contiene anche un'altra notizia. La prima bozza è datata novembre 2018. Nelle ore in cui si trattava l'emissione del mega bond sottoscritto dal Fondo interbancario e quindi dalle altre banche, il governo era già al lavoro per stendere la bozza del salvagente. Come dire, se le banche avessero detto di no sarebbe servito un intervento pubblico per garantire l'emissione di nuova liquidità. L'accordo è stato trovato, ma il no dei Malacalza all'aumento di capitale ha reso necessario il decreto nel cdm di lunedì.Ora si aprono scenari bollenti. Chi ha avvisato il governo del rischio di non sottoscrizione da parte delle banche? Gli stessi manager che sono andati in assemblea chiedendo un aumento di capitale? Oppure il governo ha fatto tutto di sua iniziativa? Forse è per questo che la famiglia Malacalza, azionista di riferimento, ha sparigliato tutte le carte e si è sfilata dall'aumento di capitale da 400 milioni. Al di là delle ricostruzioni giornalistiche, qualche informazione in più la banca dovrebbe darla. Giusto per chiarire i dubbi in ottemperanza a quella spudorata richiesta di trasparenza che piace ai mercatisti. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-governo-impegna-5-miliardi-ma-nessun-risparmiatore-perdera-dei-soldi-con-carige-2625464358.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="bail-in-anticipato-e-favori-allue-il-pd-ha-sulla-coscienza-gli-sbancati" data-post-id="2625464358" data-published-at="1760583357" data-use-pagination="False"> Bail in anticipato e favori all’Ue Il Pd ha sulla coscienza gli sbancati Il coro Pd è assordante: «I gialloblù hanno agito come i governi di centrosinistra». Ma è proprio così? In massima parte no: e comunque è certamente più saggio esaminare le diverse crisi degli ultimi anni e le soluzioni via via adottate. Premessa fondamentale: alla vigilia del passaggio al bail in, alcune voci minoritarie ma avvedute avevano suggerito un'adeguata preparazione, se necessario anche un ulteriore rinvio per evitare di arrivare nudi alla meta. Ma la maggioranza di centrosinistra rispose di no. Dissero no perfino all'elementare richiesta di una grande campagna radio-tv di informazione a beneficio dei risparmiatori, per invitarli a differenziare gli investimenti, a non mettere tutte le uova in un solo paniere. Così - senza paracadute - fu recepita la nuova normativa Ue sui salvataggi, in base alla quale venivano coinvolti nelle conseguenze del dissesto anche azionisti, obbligazionisti subordinati e correntisti con depositi oltre la soglia di 100.000 euro. A novembre 2015 governo Renzi e Banca d'Italia diedero il via alla procedura di risoluzione delle banche che erano in amministrazione straordinaria (Banca Marche, Banca Popolare dell'Etruria, Cassa di Risparmio di Ferrara, Cassa di Risparmio di Chieti). E di fatto si ebbe un'applicazione dei nuovi principi del bail in. Furono create delle «banche ponte», il cui capitale fu ricostituito da un Fondo di risoluzione. Per un verso, gli oneri ricaddero sulle altre banche in base a vari criteri, ma per altro furono letteralmente travolti gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati, con l'azzeramento di un patrimonio di azioni e obbligazioni che valeva circa 2,7 miliardi prima del disastro. L'Italia fu commossa dal caso del suicidio di un pensionato di Civitavecchia che, a seguito dell'operazione, scoprì di aver perso tutto quello che aveva, 100.000 euro di obbligazioni subordinate di Banca Etruria. Va sottolineato che, prima di questo infausto esito, molte voci avevano proposto uno schema assai meno doloroso: un intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi: denaro privato (non pubblico) per un'iniezione di capitale a favore delle banche sofferenti. La risposta del ministro dell'Economia Padoan fu: l'Europa è contraria. In realtà, la lettera giunta dalla Commissione Ue, resa successivamente pubblica proprio dall'esecutivo, pur nell'ambiguità tipica di Bruxelles (come un responso della Sibilla cumana: non potete usare il Fondo se è un aiuto di Stato; potete usarlo se ci dimostrate che non lo è) lasciava uno spazio di mediazione politica. Un governo credibile avrebbe potuto insistere, difendendo l'opzione di un intervento del Fondo interbancario. Si preferì invece chinare la testa, riservandosi una trattativa solo per gli «zero virgola» della legge di bilancio. È forse il caso Monte dei Paschi di Siena, pur nella sua genesi diversissima, quello che, in alcuni aspetti delle soluzioni adottate a suo tempo, può invece richiamare l'intervento del governo gialloblù su Carige. Allora la base fu il decreto di fine 2016 che autorizzò ad aumentare il debito pubblico fino a 20 miliardi per eventuali azioni di salvaguardia rispetto alle banche (ed è lo stesso decreto al quale fa riferimento l'intervento deciso l'altra sera). Anche allora si pose (e continua a essere sul tavolo) il tema della cessione degli Npl. E anche allora si stabilì che, in caso di fallimento degli stress test e quindi in caso di necessità di ulteriori aumenti di capitale, sarebbe entrato lo Stato. A Siena si è arrivati al 70%. Per Carige l'ipotesi è residuale. In ogni caso parte del decreto è stato copia incollato dall'attuale governo, il quale non però ha messo soldi: si è riservato la possibilità di farlo, se sarà necessario. A giugno 2017 fu varato il decreto per la crisi della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. In questo caso, lo schema fu quello di separare la parte sana delle banche dalla cosiddetta «bad bank», della quale si fece carico lo Stato, cioè i contribuenti. Fu decisiva un'indicazione della Bce, che fece sapere di non considerare le due banche «sistemiche», cioè così grandi da incidere sull'intero sistema bancario, e che quindi non era indispensabile l'applicazione delle nuove norme Ue. Il governo prese dunque la palla al balzo per evitare l'attuazione del bail-in e per tentare di risparmiarsi l'inasprimento di polemiche che erano già inevitabilmente roventi. Resta una sfida. Ai tempi del caso Banca Etruria, diverse voci chiesero un atto di trasparenza a Banca d'Italia, invitandola a rendere noto (nelle forme possibili) chi avesse avuto denaro dalle banche finite in dissesto, in uno scenario di credito facile ben diverso da quel che milioni di normali cittadini e imprenditori sperimentano ogni giorno. Ma il governatore Ignazio Visco si trincerò dietro il segreto d'ufficio, e disse che tutto era nelle mani della magistratura, di fatto delegando i giudici a togliere le castagne dal fuoco. Per il futuro, senza gogne ma con trasparenza, sarebbe necessario voltare pagina, e far sapere chi abbia goduto (e perché) di corsie preferenziali. Daniele Capezzone
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)